
Imbarazzante.
Più che una "commedia leggermente drammatica",
come recita la frase di lancio, c'è da chiedersi non sia "leggermente
drammatico" definirlo "una commedia". Salviamo solo la nostra Giovanna
Mezzogiorno, che ha recitato in francese per poi ridoppiarsi (appiattendo la
propria recitazione, ahimé) e la splendida modella di colore Esse Lawson.
Uscito dopo 60 minuti, pare dalla cartella stampa che il film iniziasse a
brillare proprio da lì. Peccato solo che mancassero 30 minuti alla fine.
Voto: Che Voto?
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Non sappiamo se sia lecito recensire un film del quale si è persa una
mezz’ora abbondante di finale ma l’esasperazione ci ha costretto ad
abbandonare la sala prima dei titoli di coda evitando una penosa e
imbarazzante conferenza stampa. Non si capisce perché la bella e brava
Giovanna Mezzogiorno abbia deciso di imbarcarsi in questa avventura
d’oltralpe, le cui premesse peraltro non sembravano catastrofiche. C’era un
libro, un soggetto interessante come può essere una storia di amicizia che
attraversa l’infanzia e l’adolescenza per mantenersi solida, un patto di
fedeltà e sostegno reciproco tra personaggi alle prese coi propri personali
fantasmi (l’omosessualità, la paura di amare/essere amati, la voglia di fuga
da orizzonti ristretti e provinciali). Un potenziale narrativo notevole,
insomma, gettato alle ortiche da una regia incapace, sgangherata,
approssimativa, noiosa. Forse le uniche scene accettabili del film sono le
primissime: un paesaggio invernale sulla costa della Bretagna, tre bambini
che giocano sulla spiaggia, la voce fuori campo di Yann (Pierre Palmade), il
protagonista maschile della storia a presentarsi e a presentare la bella
Kathy (Giovanna Mezzogiorno) e la paffuta e insicura Tara (Nathalie Corrè).
Li ritroviamo, ancora assieme, vent’anni dopo, quando decidono di
abbandonare il paese natio, l’aria pura ma soffocante della provincia
moralista e bigotta, per andare a respirare un po’ di sano smog parigino.
Liberi, ma non troppo: Kathy, forse per reazione alla mamma libertina, una
ex sessantottina che sogna di allevare lama nella sua fattoria, è diventata
una rigida direttrice di un’agenzia pubblicitaria e tiene alla larga con
fare glaciale i bellimbusti seduttori, concedendosi solo sedute onanistiche
nella vasca da bagno. Tara non sa fare altro che portare in giro il proprio
ingombrante corpo con ostentata disinvoltura e menefreghismo per coprire il
dolore e i vuoti che compensa con incursioni nel frigorifero e con amanti
ammuffiti e poco avvenenti che le danno l’illusione e la fragile sicurezza
di essere amata, nella convinzione radicata che a lei non possa toccare di
meglio. Yann è un omosessuale sospeso tra l’amaro disincanto e la tenerezza,
dolce e protettivo quanto duro nei confronti delle due amiche di sempre che
vede con tristezza sprecare la propria esistenza nel cerchio senza via
d’uscita dei loro errori. La vicenda ha una svolta amara quando a Yann viene
diagnosticato un linfoma. La tragedia che si abbatte sulla vita dei tre
amici li costringerà, anche per il ricatto che Yann fa alle due ragazze, a
tentare un mutamento di rotta. Non sappiamo quale sia perché abbiamo
abbandonato come si diceva all’inizio la proiezione: dopo un’ora di nulla
abbiamo deciso che non era il caso di concedere alcuna chance ad un film cui
non sarebbero bastati gli ultimi minuti per riscattarsi. Attorno ai tre
protagonisti che si muovono per tutto il tempo in maniera insopportabilmente
smaniosa tentando di giocare la carta di una comicità da sit-com americana,
alla "Friends" per intenderci - battute veloci, confidenze, scene di
ordinaria quotidianità - una ridda di personaggi assolutamente inutili,
incapaci di dare vita a un qualsiasi spunto o sviluppo di idea, di vicenda,
di riflessione (non si capisce che ruolo possa giocare l’attoruncolo di
mezza età casanova che dispensa consigli su come rimorchiare belle donne
passando prima per le amiche racchie delle suddette, o il fratello ritardato
di Yann, inserti che vorrebbero essere comici ma finiscono solo per essere
ridicoli). Quale volesse essere l’effetto finale di questo calderone senza
capo né coda, che tenta senza riuscirci di trovare un equilibrio dolceamaro,
di sorriso nella tragedia, non ci è dato saperlo. Certo crediamo che di quel
"Club delle Promesse" di cui parla il titolo non entrerà, in grazia di
questo film almeno, la Chazel. Nel suo curriculum di tutto rispetto vanta la
partecipazione a numerosissimi film, con registi di tutto rispetto (uno su
tutti, Patrice Lecomte).
Forse per ora meglio sarebbe per lei tornare
davanti alla macchina da presa.
15:11:2004 |