Michael Clayton

di Tony Gilroy

con George Clooney, Sydney Pollack

64mo festival di venezia

di Chiara ARMENTANO

Michael Clayton (George Clooney) è un brillante avvocato di New York City che lavora come “miracle man” in uno studio di grido della città. Uno dei suoi migliori amici e colleghi, Arthur Edens (Tom Wilkinson), si ritrova a dover gestire un esaurimento nervoso in seguito alle perpetrate violenze psichiche di un lavoro da “spazzino” (parole sue), infame e poco incline alla trasparenza. In seguito a uno di questi attacchi di follia liberatoria, Edens è ritrovato in tribunale senza vestiti perdendo totalmente la credibilità sua e del suo studio. Ma la storia cela una verità più complessa. Scoperte le nefandezze della U/North, una società di prodotti chimici per l’agricoltura che il suo studio difendeva in una causa legale, Arthur decide di non prendere più farmaci per controllare le sue crisi di coscienza e si impegna ad approfondire il caso prima di essere messo fuori gioco dalla direttrice della malefica compagnia. Le conseguenze saranno irreparabili per Edens ma anche per Clayton prima che un colpo di scena (e di fortuna) non ribalti la sorte della società.
Chi non conosce i problemi etici di un avvocato forse non sa quanto labile sia il confine tra sanità mentale e follia. Ancora meno se siamo a New York City dove compagnie megamiliardarie sono impegnate ogni giorno a giocarsi il tutto e per tutto per continuare a fare soldi. Nobile la volontà di questo regista esordiente Tony Gilroy (esordiente si fa per dire, perché aveva già firmato varie sceneggiature tra cui L’avvocato del Diavolo, L’ultima Eclisse, The Bourne Identity e svariate altre) nel mostrare una realtà inconfutabile ma di non facile trattazione, soprattutto se il pubblico cui si rivolge è quello americano impegnato con sempre più fatica ad ammettere le falle insite nel proprio sistema giuridico/legale.
Il risultato è un film tutto sommato ben girato e sceneggiato ma che pecca dell’ingrediente fondamentale: il coinvolgimento emozionale. Quello cui assistiamo è una serie di accadimenti, al solito alterati nella cronologia (seguendo molto banalmente una strategia narrativa divenuta quasi regola imprescindibile per ogni film di Hollywood che si rispetti), che si affastellano tentando di far luce sull’intricata situazione familiare (divorziato, così sembra, con un figlio più intelligente, e rompipalle, del normale cui fatica a dare un insegnamento sensato), lavorativa (avvocato brillante ma con un problema grande quanto una casa: si gioca tutti soldi che guadagna) e giudiziaria (tenta di salvare vita, dignità e reputazione del suo caro amico e, quando questo scompare, ficca il naso nei suoi affari portando a termine il suo operato incompiuto) del nostro Michael Clayton, anti-eroe dell’upper class newyorkese. Uno spropositato spreco di energie che resta motivato dal desiderio di denuncia sociale (l’immancabile riflessione per cui multinazionali e sanità mentale - vedi la fine della direttrice della U/North, interpretata dalla bravissima Tilda Swinton - procedono raramente sulla stessa lunghezza d’onda) ma inutile nel suo risultato estetico.
Anche lo stesso George Clooney, nel ruolo dell’avvocato redento, vorrebbe esserci simpatico ma fino alla fine non è in grado di risollevare il film dalla mediocrità assoluta.
Senza infamia e senza lode.
 

01/09/2007

VOTO: 23/30

 

Tutte le recensioni di Venezia  2007

Michael Clayton
Regia: Tony Gilroy
Stati Uniti d'America 2007, 119'
DUI: 05 ottobre 2007
Genere: Azione