
A] Prima fondamentale osservazione: il film, considerato "a prescindere"
dai recenti precedenti di enorme successo internazionale - sapete a cosa
ci riferiamo…- è un ottimo "product", lavoro in pellicola
freddo, raffinato quanto basta nella confezione e frettolosamente prodotto
per contrastare, in maniera stizzita, "quel" film, che aveva
[come altrove l'inglese saga di HARRY POTTER e la neozelandese -???- simile
serie de IL SIGNORE DEGLI ANELLI ] osato sfidare soprattutto a livello
di produzione e di effetti speciali, cioè sul piano proprio della
sfida americana, il colosso hollywoodiano, ormai boccheggiante in quanto
a originalità d'idee e voglia di rischiare.
Come dire: se fossero stati girati in America, MOULIN ROUGE e i due film
appena citati, avrebbero conquistato una decina di statuette a testa,
è ovvio, vista la fantasia libera messa in campo, cioè proprio
ciò che ora manca a Miramax e in parte a Dreamworks [salvo CATCH
ME IF YOU CAN e in parte MINORITY REPORT, limitandoci ai blockbuster].
Ma il provincialismo imperante a Los Angeles ha costretto i due corpulenti
fratellini dell'ex dépendance colta della Disney a emarginare l'anno
scorso il capolavoro di Luhrman e la fantastica performance della Kidman,
con la scusa del politically correct black-oriented arrivato con 20 anni
almeno di ritardo, e a tirare fuori qualcosa che tenta d'imitare l'ironia
nera di Bob Fosse [sua la versione a Broadway di un testo già percorso
e ripercorso già dagli anni '20 e poi, successivamente, nei '40,
con Ginger Rogers qui replicata dalla maniacale Zellweger, comunque meglio
della manza Zeta-Jones, che affascina quanto un bel po' di chili di carne
ben tornita, mentre scalcia e sgroppa sui legni neri del palcoscenico].
Frenesia produttiva, voglia di rivincita persa in partenza: almeno una
delle due attrici è sbagliata e Gere, sì, decente, ma manca
il pathos, che abbondava in tutti i film di Fosse, la "poetica"
dell' Autore, la visione pessimistico-narcisistica che univa vita presa
a morsi [Fosse come playboy incallito] e costante intuizione della fine/
morte presente dietro la maschera del Teatro, usato come continua evocazione
e luogo di esorcizzazione di quella.
Marshall è un ottimo mestierante e copia dove può, soprattutto
nel posizionamento della M.D.P., con improvvisi dettagli sghembi, ravvicinatissimi
e noireggianti [ specie nei numeri iniziali ] e piani medi del palcoscenico
-una prigione ideal-virtuale - ripreso un po' da sotto, alla CABARET,
per intenderci, ma che qui sono maniera e non stile costante, ribattuto,
specchio di coerenza e consapevolezza stilistica.
I personaggi dovrebbero essere tanti, come le decine di tipi psicologici
che interessavano a Fosse, mentre invece tutto pesa su quelle quattro
figurine prive di spessore, a meno che non ne vogliamo concedere un po'
alla Bridget Jones rogersiana.
Tutto freddo, tutto velocizzato, tutto solo tecnicamente ineccepibile,
ma senza le invenzioni, le illuminazioni a volte anche sciatte o kitsch
- la morte-Jessica Lange in ALL THAT JAZZ avvolta in un flou costante
e metaforico- di Fosse, capace di fare un film, STAR 80, sulla triste
e un po' misera storia della playmate Dorothy Stratten uccisa dal fidanzato
23 anni orsono, dopo essere stata l'amante nientemeno che di Peter Bogdanovich
[!].
I numeri si susseguono un po' troppo catacombali e lividi, con ballerine
di seconda fila un po' prive di personalità o evidenti doti estetiche,
laddove invece la prosperosissima e assai sexy Queen Latifah, cantante
vera nella vita professionale, intriga il giusto nelle prime battute del
film e non solo.
QUINDI: come tale, il film è sufficiente, ma alla lunga persino
un po' noiosetto, con la parte processuale a dir il vero un po' prevedibile
e Gere, d'accordo, è bravetto, ma ammicca anche troppo e sinceramente
la voce è terribile…
La weinsteiniana foga di opporre al folle e libero cromatismo di MOULIN
ROUGE l'altezza fossiana di capolavori come CABARET, perdipiù con
il "gadget" non richiesto dell'impegno di fondo, cioè
la storia di cinismo e pseudoredenzione di due assassine [viva gli anni
'20 e, appunto, il loro cinismo che appiattiva tutto, mafiosi ed eroine
da tabloid macchiate di sangue e poi regine del… cabaret o si propone
un'altra morale? O alla fine si butta tutto in faccia allo spettatore
tanto per dire: vedi, qui si parla di carcere femminile, la cosa è
seria, non "frivola" come nel film australiano del regista di
ROMEO+GIULIETTA ? Mistero… ], fallisce del tutto, perché Fosse
rimane al suo posto, inarrivabile, e il CHICAGO in pellicola non vale
un decimo della versione teatrale del 1975, quella, tanto per essere chiari,
diretta dall' autore di LENNY.
Fosse ci parlava di perdenti, mentre qui la figura che fanno le due frizzanti
killer è quella di due "vincenti" tout-court, sempre
e comunque in perfetto e neutro american-style.
CHICAGO farà ingiusta incetta di statuette, come l'anno scorso
A BEAUTIFUL MIND [e vabbè…]: tanto varrebbe, vista la comune appartenenza
di scuderia di GANGS OF NEW YORK e THE HOURS, spostare l'attenzione verso
quei due film, mentre tutti sappiamo che il trionfatore dell'anno rimane
in ogni caso IL PIANISTA insieme all'ultimo Kaurismaki.
B] Seconda, altrettanto fondamentale osservazione: per tutto ciò
che si è detto, il film è stato pensato e prodotto per rendere
meno dolorosa la ferita aperta da MOULIN ROUGE [come osano quei trogloditi
degli australiani, meglio, come hanno fatto loro e i neozelandesi tolkeniani
a crescere così in fretta in questi ultimi anni? Se ci battono
sul piano degli effetti speciali e del musical siamo finiti!!!], il fantasmagorico,
ipercromatico, gioiosamente e continuamente inventivo film sull'amore
bohemiènne in lotta con le ragioni del denaro, a cavallo di due
secoli.
Ma se per il confronto con Fosse abbiamo argomentato a lungo, qui, per
motivi di manifesta inferiorità del prodotto americano, tralasciamo
ulteriori giudizi.
Per non dire dell'impossibile confronto sulla recitazione dei singoli
attori [ Kidman! Mc Gregor! Broadbent! Leguizamo! Tutti al meglio e divertitissimi,
oltreché divertentissimi, contro una manciata di insipidi protagonisti
nell'altro film ], sulle scenografie, sui costumi, sulle infinite invenzioni
tecniche e registiche presenti in MR, opera pensata e girata col "cuore".
Sulla colonna sonora, poi, non ha neanche senso iniziare a parlare.
Gli americani perdono colpi dappertutto, anche dove un tempo erano maestri
assoluti: ben vengano i cugini australiani, neozelandesi o gli odiati
inglesi, che, imparata anche grazie all' AVID e all'uso del PC la lezione
tecnologica, mettono in campo la proverbiale ironia e gioia di fare, creare,
inventare di chi sta da troppo tempo ai margini dell'industria cinematografica
[ ma a questo punto questo è un bene! Vedasi Benigni, il comico
una volta libero e gioioso, che, "inceramicato" e americanizzato
a dovere, si è subito intristito e ha creduto di dover fare il
kolossal che qui nessuno gli chiedeva, col risultato di tirar fuori una
delle cose più tristi del cinema italiano degli ultimi anni ].
Sono passati i tempi della Miramax-casa-alternativa-che-rischia con neo-talenti
alla Tarantino…
Forza Kiwi e forza Aussie, dunque, che il pachiderma è pronto a
crollare prima di quanto si potesse immaginare!
Voto: 22/30
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