Lorna non viene da un film di Russ Meyer ma dall’Albania, vive a Liegi con
un tossico che ha sposato per contribuirne alla morte, per ragioni, diciamo
così, “finanziarie”. La malavita, che le regge e organizza il gioco anche
dopo la morte del malcapitato continuandolo con altri, a forza di girare la
vite porta Lorna al ripensamento, al pentimento, e a qualche forma di follia
mistica che la conduce a ammazzare la sua guardia del corpo e a scappare in
un bosco con un bambino in grembo (del tossico) che forse c’è e forse è
immaginario.
I Dardenne, abbandonando il 16mm per il 35, non hanno più bisogno di
muovere la macchina a mano per dare l’illusione della presenza. I tagli di
montaggio come la regia ossessivamente Lornacentrica testimoniano la volontà
di spingersi verso la narrazione, verso l’affabulazione pura, verso la
religiosità al solito para-bressoniana che non c’è più bisogno di fare
soltanto intravedere, ma può ora essere l’anima stessa del film. Un film che
più degli altri ha lo spessore, gli spigoli e le durezze del racconto. La
loro Lorna è una cavia sguinzagliata in spazi autentici per illustrare la
schietta parabola di un ravvedimento miracoloso tanto più sublime quanto più
imbarazzante a livello di plausibilità. Anche prima di arrivare al lungo
mozzafiato finale fiabesco nella foresta, la messa a morte del realismo dei
Dardenne (che fanno morire il loro attore-feticcio) passa attraverso Lorna
che fa l’amore col tossico due secondi averlo picchiato per sottrargli i
soldi, Lorna che abbraccia il medico che sta per farla abortire cambiando
idea da un momento all’altro, e quant’altro. I Dardenne, insomma, marcano
stretto il punto di vista di Lorna per vederlo cambiare “in diretta” e
misteriosamente, da avida strozzina a santa.
Tutto il resto è realtà, e quindi si può trascurare; tanto, basta marcare
stretto il tortuoso percorso del Denaro (cosa che i Dardenne fanno da
sempre, attentissimi al viaggio concreto delle banconote di mano in mano,
qui già dalla prima inquadratura) per avvicinarsi compiutamente a quello che
volendo si potrebbe chiamare “il reale”. Per il resto, lo spazio è solo
quello che Lorna (il perno del film) attraversa e fagocita in attesa di un
miracolo che finalmente arriva senza più gli alibi di un rapporto mimetico
con la realtà. Per essersi finalmente lasciati alle spalle questo falso
bisogno, i Dardenne firmano il loro film più bello. Il “figlio”, la parola
chiave dell’universo dardenniano, non conta che sia reale o meno: Lorna
crede che esiste a dispetto dei medici che affermano il contrario. Molto più
della realtà e dei realismi più o meno abili, l’importante è la fede.
20:05:2008
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