
Le teorie artistiche indiane richiedono che l'autore crei soltanto dopo
lunga meditazione e mosso da profonda ispirazione, e che si attenga alle
prescrizioni dei testi riguardanti l'iconografia delle divinità induiste
e buddhiste. E' un tipo di rappresentazione esclusivamente religiosa e
fortemente intrisa di valori speculativi e mistici, caratterizzata da
esiti figurativi alquanto statici e dall'assenza della prospettiva. Ma
è un'arte che si arricchisce durante i periodi di maggiore potenza espressiva,
e cioè tra la fase "Moghul" e quella dei nuovi sovrani, tra XVI° e XVIII°
secolo, con l'apparire di motivi decorativi e di un movimento interno
alla figura umana derivanti dall'arte islamica, come nelle miniature,
ove la cura del dettaglio raggiunge livelli altissimi.
Da questa necessaria premessa, comprendiamo quali siano i riferimenti
figurativi di Tarsem Singh, regista indiano di spot pubblicitari di successo,
alcuni dei quali conservati al Museum of Modern Art di New York, talmente
inusuali e affascinanti da richiedere un'analisi al ralenti e una visione
meno superficiale.
La stessa premessa, peraltro, ci porta a dire questo: il regista non si
è dedicato a "lunga meditazione" prima di concepire il film e non sembra
aver attinto a "profonda ispirazione", rivolto com'era alla semplice costruzione
di un vertiginoso meccanismo visivo che emargina l'interessante spunto
iniziale. La neuropsichiatra infantile impersonata da Jennifer Lopez,
deve aiutare a scoprire il luogo dove l'ultima vittima di un serial killer
rischia di morire affogata in una gabbia di vetro, che va riempiendosi
d'acqua: e può farlo trasferendo la propria coscienza nella mente dell'assassino
- Vincent D'Onofrio, nel frattempo caduto in coma per colpo apoplettico
- e seguendone i tragitti psichici.
Tarsem, inoltre, è colpevole di uso improprio della citazione di elementi
d'arte figurativa del suo paese, in ragione di un discutibile approccio
concettuale: come puoi tradurre un'arte BIDIMENSIONALE usando gli EFFETTI
IN 3-D della computer graphic? Le possibilità di controllo della figura
all'interno di un sistema bloccato di rappresentazione, quadro o immagine
statica che sia, non sono garantite dalla messa in opera di uno spazio
tridimensionale in movimento, dove ciò che era DECORAZIONE diventa ORPELLO.
Possiamo "scaricare" Giotto nella memoria fissa dell'Industrial Light
and Magic? Possiamo forse girare attorno ad un'icona? La risposta è implicita,
anche se non vogliamo togliere al regista la libertà di esplorare mondi
visivi crossover, capaci, tra l'altro, di permetterci una buona mezzora
di reiterato orgasmo ottico.
Ciò che ci preme ribadire, è l'occasione persa in presenza di uno script
non tutto da buttare, dove ci saremmo aspettati una fase di preparazione
meglio calibrata. Avremmo gradito un più approfondito scandaglio della
personalità borderline del killer prima di diventare tale (D'Onofrio era
Palla di Lardo in FULL METAL JACKET, inno alla potenza dello sguardo;
ora si affida alla mimica di un pupazzo) e un migliore studio dell'approccio
della protagonista a un'esperienza "limite", che doveva essere complessa
e sofferta, mentre finisce col sembrare una corsa sulle montagne russe
in sella a una pasticca di LSD.
Avevamo già visto un bellissimo, vecchio film, del quale non ricordiamo
il titolo, girato anch'esso all'interno del Neurosciences Institute di
La Jolla, con gli stessi corpi dei pazienti sospesi a mezz'aria: anche
questa citazione appare un po' gratuita, per quanto probabile frutto di
sceneggiatura e, quindi, attribuibile a Mark Protosevich, che ha lavorato
anche in I AM A LEGEND e STRANGER IN A STRANGE LAND. In ogni caso, lo
stacco tra le location di La Jolla o i luoghi abbandonati dove vive l'assassino
e la "playstation" mentale che segue, non è gestito con quell'equilibrio
che solo l'esperienza ti consente. Ma, almeno qui, concediamo al regista
le attenuanti del caso: è la sua prima pellicola. Senza dimenticare che
il lavoro su tutta la parte del trip psichico è stato condotto in coppia
con Tom Folden, già nel remake di PSYCHO.
Da sottolineare come, all'interno di tale vertigine visiva, i costumi
del pluripremiato Eiko Ishioka, Academy Award per il BRAM STOKER'S DRACULA
di Francis Ford Coppola, risultino essere forse l'unico elemento perfetto,
capaci come sono di vestire e rivestire la Lopez secondo i ritmi di un
balletto mistico sincopato, in cui era difficile seguire la vocazione
cinetica della regia.
Voto: 25/30
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