THE CAT'S MEOW
di Peter Bogdanovich

Di Bunuél e del suo Angelo Sterminatore la notte di ieri conserva solo la claustrofobica impotenza di chi non puo né uscire né entrare nella sala cinematogtrafica perché fuori si è scatenato l'impossibile. L'interminabile attesa ha infine trasformato lo scoramento in un attimo di lucida follia alla Mel Brooks e dallo stage antistante il grande schermo un esimio collega ha diretto la platea come fosse una corale senza frontiere. Tutti a cantare Le coque est morte. L'applauso più forte del temporale, poi finalmente Bogdanovich. The Cat's Meow è coerenza, è il punto di non ritorno del regista di The thing called love e Texasville dalla zona di chiara matrice fordiana o di ispirazione wellistica. La pellicola, bagnata in cromatiche definizioni per un film tutt'altro che privo di sfumature, immortala generosa primi piani che sottendono almeno il triplo dei possibili punti di vista della m.d.p e le zoommate espongono all'ennesima potenza la forza delle espressioni. Siamo nel 1924, a bordo dello yacht più invidiato da Hollywood, dentro la prima versione di Quarto Potere. Il miliardario W.R.Hearst (Edward Herrmann), immagine e sostanza della casa di produzione cinematografica Cosmopolitan Pictures, salpa da San Pedro in compagnia dell'amante e attrice Marion Davies (Kirsten Dunst) e di una non peggio improvvisata boutade di ingrati e pettegoli esponenti del mondo in cellulloide americano. Ispirata ad un fatto realmente accaduto - fu raccontata a Peter Bogdanovich da Orson in persona - la storia è inizialmente il falò vanitoso di celebrità corrotte dal successo e di soubrette dell'ultim'ora. Tutto sembra, ed è sul sembra che il regista muove ambigui e spiazzanti cambi di scena, scivolare sulla scia del mare e nel senso di prua, tra benji scatenati al ritmo di charleston e movide degli anni del proibizionismo. Poi, come continue interferenze, aumentano le pose, gli sguardi insinuanti, i giochi dell'inganno come sulla nave di Messieur Pouarot e s'inverte simbolicamente la rotta. Qualcosa si spezza. Il contro-campo dagli oblò dello scafo prima in partenza poi in attracco al piccolo molo di San Pedro, rispettivamente l'inizio e la fine del film, doveva per lo meno far sospettare . Dietro il vetro qualcuno guarda fuori, ma da fuori qualcun altro ricambia e lancia sfide mute recependone di ben più intriganti. Sarebbe un peccato svelare gli altarini in un film che ha come unico grosso punto interrogativo il volto del morto. Adattata dalla pièce di Steven Peros, questa parabola sul fatalismo (la vittima non è quella predestinata) ci parla in fondo anche della difficile gestione del successo e della maledizione che si porta dietro. Brillanti e giusto appunto narcisi il Charlie Chaplin Eddi Izzard, il magnate Ed Herrmann e il reduce dalla Storia Fantastica Cary Elwes. Attenti al nome!!!!!

Voto: 29/30

Sandra SALVATO
04 - 01 - 02


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