Caterina va in città
di Paolo Virzì
Con: Sergio Castelletto, Margherita Buy, Alice Teghil

di Lucia LOMBARDI


Caterina va in città, è il nuovo film del regista Virzì, che sfrutta ancora un volta il tema del mondo giovanile, in rapporto a quello degli adulti, mettendo in scena un piccolo “gruppo di famiglia in un interno”, ma soprattutto in esterno!. I luoghi comuni, sembrano prendere il sopravvento, ma risulta infine, un espediente per mettere in risalto un modo di essere, che di generazione in generazione, nonostante le aderenze politiche, si perpetua. Atteggiamenti egoistici, alzano muri invalicabili tra classi sociali differenti, sempre più differenti e tutt’altro che allineate ad un XXI° secolo che si vuole bandiera dell’uguaglianza. Caterina (Alice Teghil), è l’elemento scevro dalla realtà, incontaminato-vittima, suo malgrado, si trova a dover fare i conti con una realtà sociale che non le appartiene. Alice, è figlia unica, e da un piccolo paese sulla costa tirrenica, Montaldo, si trasferisce con i genitori Giancarlo e Agata Iacovoni, nella casa romana dei nonni deceduti. Il padre (Sergio Castellitto), insegnante, è un uomo frustrato, scontento di sé e del mondo che lo circonda. La filosofia che lo muove, è per certi versi veritiera, oggettiva, ma esagera nel manifestare il proprio risentimento, la propria rivoluzione personale, passando nevroticamente dalla parte del torto, nonché per squilibrato agli occhi della società e della famiglia. Virzì, mette in scena un bel ventaglio di caratterizzazioni, una sorta di caleidoscopio sull’Italia dei nostri giorni, che a tratti pare un girone dantesco. L’arma vincente del regista, rimane, quale caratteristica peculiare del suo cinema, l’umorismo indagatorio delle psicologie, dei comportamenti umani alla luce dell’attualità, e di cliché persistenti: denaro-potere.
La giovane protagonista, ha cercato con tutte le sue energie adolescenziali di integrarsi con gli indigeni del luogo, con le aspirazioni paterne, ancora di là da venire, ed una madre (Margherita Buy), vittima di egoismi famigliari, che per non schierarsi, né mutare l’ordine degli addendi, preferisce celarsi dietro la maschera della stupidità e dell’estraneità apparente.
Giovani rampolli di destra e di sinistra, sfilano davanti alla macchina da presa, con i loro modi di vivere, che paiono dettami inculcati, assiomi assunti come tali, non verificati, in quanto prescindono dalla natura dall’ideologia stessa. Si odono in bocca ad adolescenti discorsi ed atteggiamenti, non adeguati alla loro età, o quanto meno, ciò che disturba, è il perpetrarsi indefessamente di atteggiamenti di una limitatezza agghiacciante, anche nelle nuove generazioni. La conseguente domanda che nasce spontanea, è: non cambia mai nulla in questo mondo?
Il ceto alto, per il regista, è sinonimo di debosciamento, di giovani le cui menti, sono manipolate dai genitori, persino nella scelta di un amore puro ed adolescenziale; il quadro è farcito da egoismi, nevrosi, manie di protagonismo e protezionismi di classe. Dopo il film chicca (che ha subito problemi di distribuzione) My name is Tanino, Virzì ripropone una commedia graffiante, ben architettata nei tempi e nei modi, in una chiave parossistica, metaforica, in cui la grande città diviene simbolo, sì, della tradizione, ma anche del divario, delle eccedenze negative. La capitale d’Italia appare qui una città vacillante - cornucopia contenente negatività socio-comportamentali: città in cui la presenza dello straniero (quale si trova ad essere Caterina giungendo a Roma, così come lo è il vicino di casa australiano), diventa stimolo per riappropriarsi della propria identità e purezza.

Sito ufficiale
 

Voto: 27/30

18.11.2003

 


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