
Come si poteva, dopo L'ULTIMO BACIO, tornare a parlare dell'amore al cinema
e, più strettamente, dei meccanismi di coppia? Inevitabilmente,
alla luce di quel fenomeno da tutti conosciuto, il rischio più
concreto era quello di passare per imitatori o per chi ha preso la strada
al momento meglio spianata. In CASOMAI i temi - è quasi ovvio -
sono quelli, ma con alcune, decisive, variazioni. All'inizio, è
cosa nota, tutto sembra possibile ma poi il lavoro, i figli, l'abitudine
portano allo sfacelo. Qual è la differenza tra amore e matrimonio,
e in nome di cosa è giusto mantenere aperto un rapporto spento?
L'ultimo lavoro di Alessandro D'Alatri inizia dove molte pellicole d'amore
potrebbero finire: in chiesa, per il matrimonio. Tommaso e Stefania hanno
scelto un luogo lontano dalla città, quella città dove invece
il film porterà lo spettatore per buona parte dei suoi cento minuti.
Il luogo in cui si trovano è però significativamente "fuori
dal mondo": solo lì, infatti, può capitare che un prete
metta in discussione tutto invece di portare acriticamente a termine il
proprio ufficio. In dubbio, tuttavia, non c'è la sincerità
dell'amore da consacrare, ma la possibilità che avrà di
rimanere indipendente.
Tommaso fa il pubblicitario (sono tanti gli spot firmati da D'Alatri),
per cui conosce il valore e il potenziale di un "consiglio":
la parola o l'immagine giusta possono influenzare le scelte in maniera
determinante. E se buona parte del racconto ce lo mostra nel tentativo
di scegliere il "suggerimento" giusto, lui e Stefania sono il
bersaglio, come tutti, di moltissime pressioni, anche se di natura più
morbida e intima. Pressioni che spesso giungono proprio da chi - amici,
familiari - dovrebbe (e forse vorrebbe) invece essere d'aiuto. Perché
l'universo (anche amoroso) del film di D'Alatri è composto di tante
individualità, siano esse parte o meno di una coppia. Motore di
tutto sembra essere l'invidia per chi "possiede" qualcosa: una
posizione sociale o, ancora di più, la felicità negli affetti.
Un mondo di sotterranee competizioni (chissà quanto involontarie),
in cui ognuno sopravvive con armi improprie quali il continuo confronto,
il giudizio, un motto di saggezza, la battuta salace, ma anche un parere
spesso non richiesto. Inevitabile, allora, che tutto questo impedisca
un regolare corso alle cose, anche in amore. Eppure, ad ascoltare Don
Livio, su tutto questo c'è modo di riflettere…
Il principale merito di D'Alatri è in un lavoro di sceneggiatura
(scritta con Anna Pavignano, cui si devono anche gli ottimi script de
IL POSTINO e di alcuni film di Troisi) che preferisce sempre lasciar intendere
piuttosto che dire. Il punto di forza del racconto è infatti nell'aver
trovato una strada nuova per affrontare temi sempre attuali ma a concreto
rischio di usura. Un film sull'amore che - proprio in quanto tale - sa
ragionare, senza banalità, anche su altro motivo non certo nuovo
come i danni di un contesto sociale in cui il tornaconto privato (e/o
aziendale) ha fatto perdere le coordinate di una giusta politica (anche
mediatica) dei consumi. Nel film, ad un certo punto, si avanza una teoria
cui si preferirebbe non credere: due single consumano di più rispetto
ad una coppia felice, per cui faranno almeno il doppio degli acquisti…
Voto: 28/30
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