Parlare di BORAT al di là dell’hype che ha circondato la pellicola
negli ultimi mesi, al di là della sovraesposizione mediatica che, nel bene e
nel male, ha contribuito a noi italiani di emettere un (pre)giudizio sul
film mesi prima che uscisse nelle sale. Non farsi vincere dalla tentazione
di osannarlo, in virtù del successo ottenuto, ma neanche di criticarlo a
priori, per quella sorta di antipatia spontanea che capita di sviluppare nei
confronti dei successi annunciati.
Ma procediamo con ordine. BORAT è il (finto) reportage sulla “gloriosa
cultura americana” del giornalista kazako Borat Sagdiyev, interpretato dal
comico inglese Sacha Baron Cohen, già celebre per il suo personaggio
televisivo (ma trasposto anch’esso su grande schermo) Ali G.
Accompagnato dal suo produttore, il grosso e irsuto Azamat (Ken Davitian),
Borat intraprende questo viaggio negli USA sperando di poter insegnare
qualcosa ai suoi compatrioti - dipinti come sporchi, ignoranti e
superstiziosi - sul modo di vivere statunitense. Razzista, misogino,
nazionalista e scorretto oltre ogni misura, il giornalista non manca di
mettere in imbarazzo o di stupire chiunque incontri sulla sua strada da New
York a Los Angeles, dove spera di rintracciare e sposare (alla maniera
kazaka) Pamela Anderson, di cui si è innamorato vedendola nel ruolo di CJ
nel telefilm Baywatch, dimenticandosi dello scopo principale del suo
viaggio.
Per quanto buona parte del film sia costituito da parti di “fiction”, alcune
interviste ed interventi di Sacha Baron Cohen sono stati effettivamente
girati “dal vero”, in puro stile Gonzo, con interlocutori ed astanti ignari
di trovarsi vittime di una burla. Come risultato, queste persone reagiscono
alle volte stizzite, alle volte perplesse, altre ancora approvando le uscite
politically uncorrect del finto giornalista.
Il punto è che, negli intenti di Baron Cohen, Borat avrebbe dovuto
riflettere i (malcelati) pregiudizi, le meschinità e i difetti della cultura
americana, fintamente aperta e liberale. Alle volte non ci riesce come
avrebbe probabilmente sperato, ma altre coglie in effetti i suoi
interlocutori con le mani nel sacco. Notevole, a tal proposito, la scena in
cui si offre di presentare una gara di Rodeo, in Virginia, e improvvisa un
discorso a favore della guerra in Iraq in cui “si augura che il Signore
della Guerra George W. Bush possa bere il sangue di ogni uomo, donna e
bambino sul suolo iracheno”, fra le iniziali urla di acclamazione della
folla. Soltanto andando avanti nel suo discorso, susciterà nell’audience
perplessa il dubbio di essere presa in giro, per essere poi esplicitamente
fischiato ed insultato mentre intona il finto inno del Kazakhistan, una
versione nazionalista e razzista dell’inno americano.
Con il suo stile dimesso da “documentario povero”, il film colpisce
piacevolmente per l’originalità, suscitando a tratti risate sincere, pur
scadendo ogni tanto in qualche battuta grossolana che poteva essere evitata.
Lo stesso Baron Cohen, con il suo personaggio di Borat, si costituisce quale
“corpo comico” che, con le espressioni stralunate, i modi di dire e la
pronuncia improbabili, fa ridere di per sé, senza quasi bisogno di altro. In
alcuni momenti il film si perde in conversazioni o interviste senza
particolare senso o interesse, che rischiano in più punti di compromettere
il ritmo sostenuto del film. Ma alcune scene sono davvero esilaranti nella
loro demenzialità e, bisogna ammetterlo, difficilmente ci saremmo immaginati
di poterle vedere su grande schermo.
Dal punto di vista del contenuto sociopolitico della pellicola, è necessario
infine fare un paio di notazioni.
Cohen ed il regista Larry Charles sono riusciti a creare un film critico nei
confronti degli Stati Uniti, e allo stesso tempo a renderlo appetibile per
un pubblico americano. Chissà poi se se quest’ultimo avrà modo di digerire
ed assimilare il boccone o finirà semplicemente per masticarlo e risputarlo
come nulla fosse.
Bisogna infine sottolineare che, per quanto si tratti di una produzione
americana, Sacha Baron Cohen rimane comunque un comico inglese. Facile
quindi criticare gli altri… sarebbe forse allora stato opportuno
coinvolgere, in qualche misura, anche quella Gran Bretagna (e quella parte
di Europa) che troppo docilmente si adatta ai capricci dell’alleato di
Oltreoceano.
Voto: 25/30
20:02:2007 |