
Proviamo a lasciar stare, almeno per il momento, tutti i discorsi che,
per diversi motivi (pare, ad esempio, che BLACK HAWK DOWN sia stato finanziato
direttamente dall'esercito USA), vanno oltre il film - su cui comunque
torneremo - e concentriamoci sul film stesso, in quanto tale. A prescindere
quindi dalle ragioni, anche narrative, che vi sono alla base.
Schematizzando, potremmo dividere la pellicola di Scott in due parti:
l'introduzione ed un'unica, lunghissima, scena di battaglia. Tralasciando
la prima, le sequenze belliche sono quanto di più estremo si sia
visto finora in materia: da molti punti di vista. Innanzitutto due ore
di film per narrare una sola battaglia magari si saranno anche viste,
ma certamente sono asfissianti, e riescono a restituire quantomeno l'idea
di cosa debba significare trovarsi sul campo e resistere. Gli stacchi
qui sono momenti di un unico macro-evento la cui conclusione - e conseguente
catarsi - vengono continuamente posticipate all'episodio (sparatoria,
dialogo, volo) a seguire, senza che questo sembri mai essere quello decisivo.
Impressione che non viene meno nonostante le "visite" alla base
del generale Garrison e l'accelerata finale quando, dopo le frequenti
apparizioni iniziali, ritornano sullo schermo le coordinate temporali
e in pochi minuti si passa dalla notte al mattino. Per ottenere questo
risultato Scott fa ovviamente propri diversi punti di vista, compresi
(per quanto molto meno rispetto agli altri) quelli dei Somali impegnati
a contrastare le truppe americane. Perché il nucleo del film è,
come noto, la traduzione per immagini di un fatto reale accaduto a Mogadiscio
nell'ambito della fallimentare missione "Restore Hope": parliamo
di "traduzione" perché, come di consueto in casi simili,
nessuno concorda con i fatti raccontati dalla pellicola. Di certo c'è
il risultato finale, con 19 tra marines e rangers uccisi. E sicura è
anche l'incredibile durezza di quella battaglia, restituita - questo sì
- appieno dalle immagini di Scott. Estremo, quindi, il film lo è
anche nella messa in scena: guerra significa cadaveri, mutilazioni e pazzesche
sofferenze di cui - facendo propria e portando ai limiti l'esperienza
spielbergiana di SALVATE IL SOLDATO RYAN - l'autore di HANNIBAL e BLADE
RUNNER non esista a riempire lo schermo. Non mancano infatti momenti davvero
difficili da reggere. La macchina da presa affianca, insegue, supera e
ruba lo sguardo ai soldati e, grazie anche al solito immenso lavoro di
Pietro Scalia al montaggio, il risultato - fatta eccezione per alcuni
momenti - è davvero eccezionale.
Tuttavia un film è anche storia e posizione, non solo stile. Purtroppo
questo non può essere ignorato per quanto abbia, a nostro avviso,
lo stesso peso dell'altra componente, che non deve mai essere offuscata
dalla bontà del soggetto. Non conosciamo bene la vicenda storica
del '93, ma è francamente difficile crede alla versione di Scott,
non fosse altro per il ruolo di assoluta comparsa attribuito ai Somali
del generale Aidid, che saranno cattivi quanto mai, ma non esiste che
- proprio come fece Spielberg coi tedeschi - ancora oggi i nemici degli
americani (siano essi charlie, crucchi o smilzi) vengano rappresentati
senza un barlume di umanità o sentire. I soldati USA sono manichini
senza troppa ragione - questo, volendo proprio, potrebbe essere anche
interpretato come una critica alla condotta marziale - e non abbandonano
i compagni nemmeno se morti e contro ogni logica. Ma in fondo, dide il
film, fanno solo il loro dovere. Ecco allora che ritorna la questione
della committenza occulta di questo film: se è vero che il Pentagono
- comunque accreditato come consulente - è alle spalle dell'operazione,
non sarebbe difficile ipotizzare una sorta di "risarcimento in celluloide"
sotto forma di patriottismo hard. Chi ha visto IL NEMICO ALLE PORTE di
Annaud ricorderà il valore che i russi davano alla propaganda mediatica
e all'esaltazione dell'eroe nonostante tutto. Ecco: qui, a volte, ci sembra
di essere da quelle parti.
Prodotto da Jerry Bruckheimer - già suoi titoli tutt'altro che
privi di sciovinismo, quali ARMAGEDDON, PEARL HARBOR, TOP GUN - BLACK
HAWK DOWN è un film che vive anche oltre le sale per l'inevitabile
riferimento all'11 settembre. Volenti o meno, è impossibile non
rileggere il film con la chiave dei tempi di Bin Laden e della guerra
afgana, cosa che lo avvicina molto al filtro televisivo con cui giungono
le news dal fronte. Da un lato, quello patriottico, potrebbe funzionare
anche oltre le aspettative; viceversa, corre il rischio di essere odiato
anche oltre i propri demeriti.
Voto: 25/30
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