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"Un
po' si cammina un po' si canta", la traduzione letterale del film di Cheng
Kaige, lascia intuire che in "Life on a string" il protagonista vive come
musicista itinerante nella Cina delle antiche leggende. Di cantautori
ce ne sono stati tanti nella storia artistica cinese, ma il nostro eroe
è addirittura creduto un santo da chi lo vede e lo conosce. Le parole
cantate dal vecchio e cieco maestro "Shifu" non trattano solo del perché
della vita ma riescono anche a rappacificare le anime in guerra. In un'atmosfera
suggestiva, in una scenografia monumentale che spazia sopra le vaste lande
aride intorno al Fiume Giallo, il vecchio maestro vagabonda ininterrottamente
da quando è bambino da paese a paese in attesa della realizzazione delle
parole dette dal suo maestro in punto di morte: quando la millesima corda
del tuo banjo si spezzerà tu riaquisterai la vista. Il suo giovane discepolo
cieco Shitou si oppone a questa credenza e pur nella disperazione di non
poter vedere, preferisce restare con i piedi per terra e di vivere la
sua vita fino in fondo, abbandonandosi anche ad un amore tragico con un
fanciulla del paese. Tra il realismo disincantato del giovane pur innamorato
e il sogno illusorio del vecchio ci si chiede chi è il più felice, il
più saggio. Chen Kaige, grazie a questo dramma atemporale può sperimentare
le sue visioni paesaggistiche e filosofiche e ci mostra quanto egli sia
erede e ribelle, come gli altri cineasti cinesi della quinta generazione,
dell'arte cinematografica socialista e propagandistica dei decenni precedenti.
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Daniela KAPPLER |
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