Per parlare di THE BROTHERS GRIMM, ultima fatica di Terry Gilliam, autore di
straordinarie visioni quali BRAZIL e L’ESERCITO DELLE DODICI SCIMMIE, è
necessario utilizzare una certa cautela. Forse è opportuno cominciare
spiegando che si è trattato di una sorta di aut aut cui Charles Roven
- produttore del film assieme a Daniel Bobker - ha posto di fronte Gilliam,
e che quest’ultimo, appena uscito dalla tragica esperienza del set di THE
MAN WHO KILLED DON QUIXOTE (mai portato a termine a causa di una sequela di
inconvenienti) e con alle spalle flop colossali quali IL BARONE DI
MUNCHAUSEN, ha pensato bene che accettare gli avrebbe permesso di tornare a
girare film a modo suo (o addirittura di tornare a girare film in generale,
data la fama poco lusinghiera che si è conquistato negli anni presso le
società di produzione).
In secondo luogo, pare che durante le riprese Gilliam sia stato
continuamente alle prese con le pressioni dei fratelli Weinstein, produttori
esecutivi del film, che hanno tentato in ogni modo di spingere il regista a
girare un film il più appetibile possibile per il grande pubblico. Così ad
esempio è stato imposto Matt Damon nel ruolo di uno dei due fratelli Grimm,
Will (anche se bisogna ammettere che alla fine l’attore riesce a cavarsela
con dignità, al pari di Heath Ledger nei panni del secondogenito Jake). E
così è stato licenziato a metà riprese Nicola Pecorini, fidato direttore
della fotografia di Gilliam, nel tentativo di “normalizzare” il film quanto
meno dall’aspetto visivo (invano, dato che grandangoli e riprese oblique
permangono quali firme stilistiche del regista).
Questa lunga premessa dovrebbe essere sufficiente a far intuire che non
stiamo parlando di uno dei film più riusciti dell’ex Monty Python e,
soprattutto, che si tratta dell’opera meno personale della sua carriera. Ma
arriviamo finalmente alla trama.
Il film romanza la vita di Willelm e Jacob Grimm, i leggendari fratelli
autori del repertorio di fiabe che da Cappuccetto Rosso si estende fino a
Pollicino, mostrandoceli come due truffatori che inscenano esorcismi di
mostri e streghe interpretati dai loro complici, e girano così per la
Germania degli inizi del XIX secolo soggiogata dall’invasione francese,
guadagnandosi da vivere fra un raggiro e l’altro. Ma quando verranno
catturati dall’inquietante boia Cavaldi, maestro di torture e campione di
servilismo, e consegnati al cinico sovrintendente Delatombe, si ritroveranno
loro malgrado ad indagare su alcuni misteriosi eventi attribuiti a qualche
loro “collega” imbroglione. Ben presto però, il bosco antistante il
villaggio di Marbaden si rivelerà un condensato delle fiabe degli autentici
fratelli Grimm, e così Jake e Will dovranno convincersi di essere alle prese
con “veri” esseri fantastici. Aiutati dall’affascinante Angelika,
cacciatrice di pelli di impostazione druidica (come dimostra il suo essere
in grado di comunicare con gli animali) e tenuta al margine della società
perché ritenuta vittima di maleficio, e affiancati dal crudele quanto
grottesco Cavaldi, i due si dovranno confrontare con una strega-regina che,
punita dal suo stesso desiderio di immortalità, ambisce ora a recuperare la
bellezza perduta. Fulcro della vicenda, il rapporto intenso fra i due
fratelli Grimm: l’uno, Will, scaltro e affascinante, ma del tutto scettico
nei confronti delle leggende popolari; l’altro, Jake, sognatore e convinto
dell’effettiva esistenza delle creature fatate (e dei fagioli magici…).
Nonostante inizialmente sia il primo, fermo nel proposito di proteggere il
fratello minore, a comandare fra i due, man mano che la situazione scivola
nel fantastico sarà il secondo a prendere le redini della situazione,
trascinando Will nel “suo” mondo.
Quel che ne esce è un curioso ibrido, un incrocio fra un colossal
d’avventura ed una fantasia di Terry Gilliam, e il risultato è una sorta di
blockbuster un po’ cialtrone. Sebbene la pellicola sia ricca d’azione e di
trovate gradevoli, la trama risulta a tratti confusa (anzi, confusionaria…)
e i personaggi male sviluppati (al di là del comportamento schizofrenico di
Cavaldi, a convincere meno è forse Angelika, troppo sexy e determinata per
risultare credibile). Le due tensioni del film, quella standardizzante dei
produttori e quella ipertrofica di Gilliam, si manifestano in una sorta di
mostro a due teste che non riesce a soddisfare nessuno. Gilliam oscilla fra
horror, grottesco, fantastico e commedia, senza riuscire questa volta nella
sua specialità di amalgamare ingredienti tanto diversi fra loro.
Rimane un ammirevole lavoro di ambientazione, affascinante nei suoi toni
cupi da fiaba del terrore e nelle ingegnose scenografie di Guy Dias, che fra
le altre cose si è ritrovato a dover costruire da zero l’intero paesino di
Marbaden. Inoltre, come già detto, Ledger e Damon fanno il loro lavoro, e la
recitazione teatrale di Peter Stormare e Jonathan Pryce risulta in qualche
modo piacevole ed appropriata. Inconsistente Lena Headey nel ruolo di
Angelika, mentre per fortuna Monica Bellucci ha così poco spazio da non
riuscire a fare danni particolari.
Nonostante il film non gli appartenga, ad un’analisi maggiormente
approfondita, Terry Gilliam riesce comunque a dare un’impronta
caratteristica all’opera nello stile di ripresa, come accennato, e nei
materiali tematici. Ritornano infatti molti elementi tipici della
filmografia gilliamesca, quali strumenti di tortura creativa, bizzarri
marchingegni e strumenti risemantizzati attraverso un utilizzo inedito
(pensiamo alla buffa combinazione di un diapason e di un auscultatore di cui
Will si serve per “individuare eventuali entità maligne”). Inoltre, il tema
di fondo rimane quello del sogno, o meglio della libertà di sognare.
Il vero protagonista è difatti Jake Grimm, il fratello che crede nelle
favole, che accetta quindi di sognare e che grazie a questa sua capacità
riuscirà a prendere in mano la situazione. All’opposto, c’è invece lo
scettico Will, e ancora più Delatombe, che non esita a dichiarare sprezzante
che “Il tempo delle favole è finito”, per essere poi spazzato via assieme al
suo esercito dal vento della strega regina, divenendo così simbolo
dell’Illuminismo che, al principiare del nuovo secolo, è costretto a deporre
le armi di fronte alla forza illogica del fantastico. Ancora, sarà proprio
l’accettare di credere nelle favole a salvare il non poi così crudele
Cavaldi.
Insomma, alle prese con un progetto così poco personale, pressato come
sempre da produttori poco avveduti, Gilliam riesce comunque a metterci del
suo e a realizzare un film tutto sommato godibile, sebbene fra i suoi meno
significativi. E forse, nel prevalere del sognatore Jake sul burocrate
Delatombe possiamo vedere una futura rivincita del regista dalla fantasia
ipertrofica sui burocrati del cinema hollywoodiano, o almeno così mi piace
credere.
Un’ultima nota di colore: in Italia la distribuzione ha pensato bene di
sfruttare l’appeal della Bellucci sul pubblico nostrano, intitolando il film
I FRATELLI GRIMM E L’INCANTEVOLE STREGA e confermando così la tradizione
nazionale di rovinare i titoli dei film stranieri.
Voto: 23/30
28:10:2005 |