
Chi è Betty? Una, nessuna e centomila: una nullità per il marito Del..
una bambola burrosa per i suoi vicini.. una cameriera di provincia dalla
vita piatta e dai sogni in tre dimensioni.. un tipetto alla Doris Day
capace di incantare con la sua fragilità il sicario che la cerca.. Betty..
delirante di alienazione e lucida seduttrice di una società che vede brillante
anticonformismo nel suo smarrimento. Neil LaBute, dosando in questo lungometraggio
atipico per il target della sua produzione la mordente e cinica arguzia
dei suoi lavori precedenti da NELLA SOCIETÀ DEGLI UOMINI ad AMICI E VICINI,
sapientemente non scioglie questo nodo e lascia la libertà di amare il
suo piccolo film per l’interpretazione ed il valore che ciascuno riterrà
di dargli. Una favola noir che attrae l’occhio per il sofisticato impatto
visivo delle immagini e nutre lo spirito per la compiaciuta perfezione
della sceneggiatura, premiata all’ultimo Festival di Cannes. Betty sfugge
alla violenza del trauma subito tessendo un velo tra sé e la realtà, frugando
nel suo mondo artefatto alla ricerca dell’appiglio del naufrago, in una
vicenda surreale di alienazione e follia. Da una parte lo scalpo di Del,
il sangue e la morte.. dall’altro la soap, i sogni, un mondo che si muove
in punta di piedi… la mente, sopraffatta, sceglie di isolare fino a soffocarlo
l’elemento che incrina il vaso di Pandora e ne lascia uscire il seme della
follia.. Betty che non pretende qualcosa di speciale dalla vita ma che
qualcosa comunque vuole, immedesimandosi in un personaggio televisivo,
parte all’inseguimento di quell’angolo caldo che al mondo aspetta solo
lei. Un allucinato viaggio on the road la porterà, sulla via del Grand
Canyon, tramite e fine con la sua valenza catartica di una certa malinconica
umanità, ad incontrare personaggi che si muovono barcollando lungo i bordi
sfilacciati dell’esistenza, tutti senza un legame con la realtà.. tutti
senza un perché.. il viaggio come metafora di rigenerazione.. il deserto
con le sue aperture e fughe sconfinate riconduce a misura, stemperandola,
la disperazione di chi non è più grande di un granello di sabbia.. la
televisione, origine di straniamento è anche l’unico strumento capace,
infrangendo la follia nel confronto con i suoi miti virtuali, di far recuperare
alla protagonista la sua mente perduta con l’effetto placebo dell’assunzione
del mito di carta. Betty insegue il bel Dr. Ravell aggrappandosi al sogno
che la sua vita non è mai stata.. i due sicari sui generis cercano Betty
in un viaggio denso e profondamente intimo che li rivelerà l’un l’altro
in una complice dimensione a due.. tutti, insomma, inseguono il simulacro
del desiderio, tutti lo cercano, volendolo disperatamente.. qualcuno si
avvicina, qualcuno crede di possederlo o pretende di incatenarlo, ma alla
fine nessuno vince la sfida con la passione che cova sotto il compromesso.
In uno stato di patologica dissociazione tra essere e voler essere Betty
percorre un cammino di crescita interiore che la porterà a comprendere
di non aver bisogno di nessuno per essere completa, per essere se stessa..
Betty vince perché fa propria la lezione di vita che il sicario innamorato
le regala al termine del suo percorso di esperienza e maturità: l’autostima
è la lente attraverso cui gli altri ci vedono. Questa sofisticata commedia
pulp mescola con grazia e talentoso gusto rétro spunti sociologici importanti,
trovate grottesche o puramente comiche, finezza dialettica nel calibro
delle battute, misurate come note di un’armonia, gioco cinefilo del meta
teatro in cui origine e fine di ogni male vengono fagocitati e ricondotti
ad unità da quel frullatore globale di vita quotidiana che è la televisione.
Manca, volutamente, lo scontato diktat moralista di un epilogo che dia
a tutto il lavoro una chiave di interpretazione autentica di monocorde
matrice sociale perché, in fondo, la causa dello straniamento di Betty
ne è anche naturale cura. L’eroina di questo psicodramma dei sensi obnubilati
ha il viso intenso e deliziosamente imperfetto di Renee Zellweger che,
in un’interpretazione che le è valsa il Golden Globe, rende amabile la
piccola psicopatica artefice di una inattesa rivincita là dove la vita
dissemina solo polvere e deserto, una Zellweger che dopo i dolori della
giovane Bridget Jones dà anima e corpo all’altra faccia dell’America,
quella della provincia insoddisfatta e minimalista, ripiegata su se stessa
fino a soffocare. L’affiancano meravigliosamente Morgan Freeman, killer
netto e spietato come il taglio di un bisturi, che fa innamorare in questo
ruolo crudo e romantico di professionista dell’omicidio che vive in pace
con se stesso e con la natura ed il sorprendente Chris Rock che in questo
ruolo di sicario esuberante e fragile esce dalle righe di uno stereotipo
collaudato intenerendo lo spettatore anche laddove eccede in violenza
e spietatezza. Alla fine della sua esperienza di crescita Betty incamera
le energie per diventare ciò che vuole: attrice, infermiera, un’altra
persona.. tutto ciò che ha sempre desiderato è finalmente alla sua portata
perché scopre di averlo sempre avuto.. basta stringere le mani.. Betty
non si lascerà mai più scoraggiare da niente al mondo: giusta o sbagliata
che sia la sua decisione sarà sempre la cosa più bella fatta.. perché
fatta e non rimpianta.. questo sì è il messaggio..
Voto: 26/30
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