Il
sequel di Bella di giorno di
Bunuel. L'invecchiato signor Husson (interpretato ancora dal grandissimo
Michel Piccoli) riincontra Séverine, la “bella di giorno” di 40 anni prima,
un tempo moglie del suo miglior amico e dedita segretamente alla
prostituzione fino alla morte di lui. Ancora una volta, lei lo fugge. Lui si
rifugia nell'alcool, raccontando la bizzarra vicenda di lei a un impassibile
barista, mentre rifiuta la corte di due prostituta: preferisce guardare il
quadro di un nudo femminile di schiena attaccato alla parete. Riesce a
invitare Séverine a cena. Lei è decisa a sapere: la lacrima che ha visto
sull'ultimo sguardo del marito poco prima che morisse, era dovuta al fatto
che Husson gli aveva rivelato le nefandezze della moglie?
Il genio lusitano colpisce ancora, e firma la somma assoluta delle sue
saltuarie frequentazioni bunueliane (La
caccia, Party...).
Husson sogna “la donna”, l'amazzone tutta d'un pezzo che ama rimirare nelle
statue davanti all'hotel Regina o nelle statuette a casa sua. Ma, come le
prostitute e come il quadro nella parete del bar, la donna (Séverine) è
sdoppiata e nascosta, spaccata a metà tra l'amore e l'indifferenza (per il
marito morto) come Husson sdoppia lei nel suo modello e nella vera Séverine.
Perciò il loro incontro andrà a finire male: entrambi cercano nell'altro
un'integrità, un'identità unilaterale, una rassicurazione unitaria, e
trovano ancora la stessa propria doppiezza.che provano a nascondersi.
“La donna è il più grande mistero che ci sia al mondo”, ci dice Husson.
Oliveira prende da Bunuel la fatale incompatibilità tra i sessi e la
continua “fuga” del femminile verso l'inafferrabile (il punto di vista è e
rimane esplicitamente, dunque onestamente, maschile). Non gli interessa
neanche più di filmare una trama né un “racconto” retto dal potere della
parola, perché il racconto di Husson al barista (e, potenza
dell'inquadratura oliveriana, davanti allo specchio), in cui dissimula la
sua innocenza quando invece sappiamo dal film di Bunuel che è lui quel
“miglior amico” di cui si parla, si regge sugli stessi meccanismi della
sessualità sadomasochista di Séverine: sdoppiamento, rimozione,
nascondimento. Un dialogo tra sordi (e dunque monologo allo specchio),
perché, come il barista ripete due volte, se è a lui che Husson racconta
tutto questo è precisamente perché lo sente senza ascoltare. Se il desiderio
e il racconto sono dunque “la stessa cosa”, la stessa impasse invalicabile,
la sovrana, ironica leggerezza di de Oliveira consiste nel filmare la nostra
placida sopravvivenza a quelle chimere: il puro e semplice passare del tempo
che si srotola davanti ai nostri occhi in un trasognato concerto
orchestrale, in una timida rincorsa tra due anziani, nell'attesa
dell'invitata a cena, durante una cena ripresa in tempo reale quasi tutta in
piano medio di profilo, nel consumarsi lento delle candele dolcemente
accompagnato dalla macchina da presa.
Oliveira filma l'unica cosa che ci sfugge più del desiderio (e delle
parole): il tempo, della cui fluidità possiamo solo illuderci, dato che è
puntellato di sublimi, bunueliane parentesi surreali – che non riveliamo,
rimandando alla visione di questa eccezionale opera del quasi centenario
cineasta portoghese.
Voto: 30 e lode
09:09:2006
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