Una semplice parodia, un
“J’accuse” abilmente diretto sul cinema oppure un omaggio al cinema stesso?
L’ultimo film di Michel Gondry non può essere “incastrato” in una sola di
queste categorie, poiché verrebbe svuotato in un archetipo vuoto e
vanificante di tutte le possibili emozioni che attiva questa pellicola.
Non è di certo solo una parodia di
Ghostbusters o di Rush hour,
forse può essere un processo alle grandi catene di distribuzione che hanno
inghiottito le piccole videoteche di quartiere: senza ombra di dubbio, è un
omaggio al cinema. Il cinema dei
Ghostbusters con cui molti di noi sono cresciuti, con quello Slimer
tutto verde e gelatinoso, il mitico omino gigante fatto di marshmallow, il
fascio di flussi da non incrociare mai. Il cinema che ha popolato la
fantasia probabilmente dello stesso Gondry, riletto e reinterpretato solo
apparentemente in chiave del tutto comica. Tutti possono essere degli
Acchiappafantasmi, o dei Jackie Chan: basta avere il coraggio di volerlo.
I due protagonisti del film, un po’ come coloro con cui condividono lo
stesso disgraziato quartiere, non hanno il coraggio di volerlo all’inizio. È
necessario un improbabile sabotaggio alla centrale elettrica del paese per
mettere in moto la serie dei colossal “maroccati”( e una incredibile
traiettoria di gag originalissime).
Vengono così rifatti Men in Black
(bellissima la scena “maroccata” della corsa sul soffitto della galleria),
Il Signore degli Anelli, A spasso
con Daisy e tanti altri, sempre schernendo (e senza andare per il
sottile) la Hollywood dei colossali effetti speciali. Dopo questo film
sicuramente nessuno guarderà più con un occhio di sufficienza a carta
argentata e addobbi di Natale (visto quello che ne tirano fuori Jerry e
Mike).
I personaggi di Be kind rewind
non si limitano solo a rigirare dei film, ma crescono assieme ad essi, si
formano, diventano delle piccole star: senza rendersi conto iniziano a
conoscersi l’uno con l’altro.
Nemmeno l’arrivo della spietata Sigourney Weaver, nei panni non della
violinista Dana Barrett ma in quelli di una avvocatessa decisa a far
trionfare i diritti del copyright a ogni costo, riuscirà a fermare Jack
Black e compagni nella loro ultima impresa…
Be kind rewind, nel suo
procedere superficialmente demenziale, riesce a innescare direttamente
dentro il film lo spettatore: questo grazie a pochi ma geniali stratagemmi
adottati da Michel Gondry.
Il motivo per cui i ragazzi della videoteca sono costretti a maroccare i
film è la smagnetizzazione dei nastri, a causa del magnetismo di Jack Black.
Il suo magnetismo però non disturba solo gli apparecchi elettronici presenti
nel film, ma anche la pellicola stessa di
Be kind rewind, quasi
correndo il rischio di smagnetizzarla. In questo modo, così come tutto il
quartiere può rigirare il suo film e divenirne protagonista, allo stesso
modo lo spettatore può innescare il suo simulacro all’interno della
videoteca del signor Fletcher.
Gondry non costringe lo spettatore a vedere, ma gli permette di vedere: un
cinema nel cinema dal richiamo quasi hitchcockiano. Se Truffault aveva visto
ne La finestra sul cortile
una facile similitudine fra le finestre e lo schermo cinematografico, qui è
possibile leggere un metacinema al contrario, sul lenzuolo bianco appoggiato
alla grande vetrata della videoteca “dove nacque Fats Weller”.
Quel lenzuolo bianco, come uno specchio in cui è possibile entrare, se da un
lato mostra solo un film, dall’esterno, per la gente della strada, dà a
vedersi il rovescio di una medaglia vista da dentro: è lo specchio del
cinema. Un gigante che si scopre nella sua semplice voglia di sopravvivere
agli eventi.
Una visione poetica decisamente alla Gondry. E se dopo aver visto Eternal
sunshine of the spotless mind non è più possibile guardare ai ricordi
con gli stessi occhi, dopo “L’arte del sogno” è diventato più semplice
abbandonarsi alle proprie schizofrenie quotidiane, con
Be kind rewind si omaggia il
mostro sacro del cinema. Che dà a ognuno la possibilità, per un momento, si
scegliere la vita che si vuole vivere.
02:06:2008 |