
Prima di discutere della riuscita di un film sarebbe sempre necessario
comprenderne gli scopi. BEHIND ENEMY LINES è un film di guerra
ad altissimo potenziale di patriottismo, che sembra concepito apposta
per ridare fiducia all'America post-11 settembre. In realtà, il
film nasce prima di quegli avvenimenti, per cui l'impressione è
di trovarsi di fronte ad uno di quelle auto-apologie su pellicola in cui
lo sciovinismo non ha limiti, nemmeno quando la Storia ha dimostrato il
contrario (basta pensare a molti film sul Vietnam, in cui, alla fine,
sventolano le stelle e le strisce…). Inizialmente, si spera che questa
sia un'impressione sbagliata, che si tratti di un film bellico vecchia
maniera, solamente aggiornato nei tempi e nei nemici (qui i serbi). E
la primissima parte del film regge bene: il solito strafottente soldato
si lamenta dei compiti di pura ricognizione cui spesso è assegnato
e decide di fare da solo; incaricato di fotografare dall'alto il campo,
sconfina volontariamente in terra nemica, dove atterra solo col paracadute
perché abbattuto. Interessante l'idea - peraltro figlia di un fatto
di cronaca di qualche anno fa - dell'uomo solo braccato dai nemici, non
fosse per il fatto che questi sono dei ridicoli Petrovic e Sasha (possibile
che gli slavi debbano tutti chiamarsi così, vestire con la giacca
tuta e avere la cicca sempre in bocca?!), cattivi quanto mai e disposti
a tutto pur di ucciderlo. Sulle sue tracce viene messo uno di questi duri
che, nonostante i boschi, il gelo, la guerra, sa sempre dove si trova
ma lo manca ogni volta per un secondo.
Così facendo il film si trascina tra qualche frecciatina alla NATO
e l'incontro con gli unici serbi buoni, ovvero un fan di Ice Cube e un
altro vestito come Elvis (…). Il tutto non prima che Burnett (questo il
nome dell'ammiraglio, interpretato dal lanciato Owen Wilson) inciampi
in una fossa comune e riesca a salvare contro tutto e contro tutti il
prezioso CD con le foto dei campi di sterminio e delle fosse che - così,
circa, le didascalie finali - indigneranno il mondo.
Bene: se lo scopo del film era il patriottismo la missione è senz'altro
compiuta. Ma se - come appare più plausibile - c'era anche delle
velleità da prodotto di consumo, qui il discorso cambia: non basta
sostituire i vietcong con le belve di Milosevic e ambientare il tutto
tra i boschi per fare un film anche semplicemente godibile. Potrebbero
servire delle buone scene d'azione (come quella iniziale), dei dialoghi
un po' meno consumati dal tempo e soprattutto un manicheismo quantomeno
sfumato. Non servono nemmeno gli attori: c'è Gene Hackman, ma non
sembra. Ci si annoia spesso, nonostante i tentativi di regia cool dell'esordiente
John Moore.
Voto: 23/30
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