
Ci sono dei film la cui regia non eccelsa è riscattata dal valore
umano della vicenda che trattano. Fra questi può tranquillamente
accomodarsi anche il secondo film del pittore newyorkese Julian Schnabel
che, come per BASQUIAT (1996), ha scelto di trasferire in pellicola una
vicenda personale ed artistica ai limiti. Questa volta non si è
rifatto all'esperienza personale ma alla memorie di Reinaldo Arenas, romanziere
cubano in fuga da Castro e morto suicida in America. Una vicenda senza
dubbio affascinante, in pratica già scritta per lo schermo, tanti
sono gli avvenimenti drammatici che l'hanno caratterizzata. Ma la biografia
è un genere cinematografico tutt'altro che privo di rischi; lo
dimostrano casi quali il gelido CHAPLIN (1992) di Attenborough o il Besson
di GIOVANNA D'ARCO (1999). Ciò che nella vita è stato straordinario
può, sullo schermo, trasformarsi senza troppe difficoltà
in qualcosa di trito e noioso. Lo sapeva anche Schnabel, perché
il suo film non è privo di tentativi di trasformare la vita di
Arenas in un'opera cinematografica capace di trasmette emozioni visive
oltre che intellettuali. Non sempre, però, è riuscito a
tradurre in pratica le sue intenzioni.
Le premesse sono buone perché Schnabel dà il meglio del
suo potenziale registico proprio nell'incipit: fin dall'infanzia, per
Reinaldo, è fondamentale la libertà, una libertà
che implica un costante e fisico rapporto con le cose della natura, con
la terra [1]. La m.d.p. plana a volo d'uccello sul quel bambino che diventerà
romanziere, poi si alza, torna ancora a sfiorare la terra, e così
facendo rende tangibile allo spettatore un prodigioso mescolarsi di libertà
e miseria che, per certi versi, ci ha fatto pensare alle prime pagine
di Cent'anni di solitudine. È la medesima sensazione che si prova
anche nel leggere i capitoli iniziali del romanzo di Arenas, nonostante
Schnabel snellisca molto tale premessa, perdendo la magia della scoperta
del mondo e la prepotente componente erotica di quei momenti di formazione.
L'adesione da parte di Reinaldo alla rivoluzione castrista sembra essere
il passo successivo, date tali "libere" premesse. Ma se nel
libro essa è da subito smitizzata [2], qui assistiamo a quanto
di più convenzionale non era forse possibile immaginare: camionette
stracolme di ribelli un po' tutti simili a Che Guevara, bandiere al vento
ed una fotografia calda e sgranata assai vicina a quella di molti documentari
dell'epoca. Non che tali cose siano falsi storici, ma la scelta di un
trattamento così scontato è spia del difetto maggiore di
questa pellicola: la discontinuità. Perché piuttosto che
piatto - come hanno scritto in molti - BEFORE NIGHT FALLS ci sembra un
film squilibrato, dove i citati tentativi "poetici" spiccano
rispetto ad una diffusa tendenza all'accumulazione (di taglio pressoché
televisivo) di un gran numero di episodi significativi, senza che ciò
basti a realizzare un racconto cinematografico realmente definibile come
tale. Ecco allora la pedissequa traduzione in immagini delle tappe iniziali
del percorso di Reinaldo: la vittoria al concorso letterario, i primi
amanti de L'Avana, gli amici scrittori. Il tutto narrato di volta in volta
in velocità o ricorrendo a dilatazioni temporali incredibilmente
fuori luogo (si veda soprattutto la lunghissima sequenza della festa,
dove il sonoro diegetico è coperto da un brano musicale, le cui
ultime note accompagnano un bacio tra Arenas ed un suo giovane amante).
Solo più avanti appare la prima vera invenzione di regia: nel romanzo
un capitolo si intitola "Le quattro categorie di checche" dove,
oltre alla descrizione, ad ognuna delle famiglie viene associato un conoscente
dell'autore. Schnabel, al contrario, trasforma tale dissertazione "tassonomica"
in un racconto a viva voce di Reinaldo, sostituendo a tutti e quattro
i personaggi lo stesso Arenas, protagonista di una scenetta esplicativa,
ed intento ad auto-classificarsi in ognuna delle tipologie in questione.
La parte che segue è relativa alla prime persecuzioni di Castro
contro gli omosessuali e all'arresto dell'autore de Il mondo allucinante.
A p. 126 dell'edizione italiana si legge: "Non saprei come chiamare
i giovani cubani di quei tempi; non so se omosessuali attivi o bisessuali.
Avevano fidanzate e mogli, ma quando stavano con noi godevano moltissimo
[…] Sono convinto che quello che scatenò la repressione sessuale
a Cuba fu la liberazione sessuale. Forse in segno di protesta contro il
regime, le pratiche omosessuali proliferarono con sempre maggiore sfacciataggine"
[3]. Un clima del quale nel film si perde la forza, perché l'attenzione
è in pratica tutta concentrata su Reinaldo, la cui vitalità
gay, sullo schermo, è per giunta decisamente attenuata rispetto
a quanto capita di leggere nelle sue pagine autobiografiche. Schnabel
si accontenta della superficie, per quanto tragica, per (ri-)spiegare
come il regime castrista, alla maniera di ogni dittatura, non tollerasse
le diversità e facesse di tutto per annientarle. Allo stesso modo,
anche la vita a El Morro, il terribile penitenziario castrista, è
ripercorsa come una registrazione di fatti orribili, il cui effetto psicologico
sul protagonista rimane tuttavia solo qualcosa da intuire. L'unica eccezione
riguarda le visite della madre anziana, fonte di ricordi e sensazioni
che il regista di BASQUIAT rende condivisibili mantenendo la donna giovane,
identica a come l'aveva vista il figlio bambino.
Un discorso simile può essere fatto a proposito della tormentata
genesi di alcuni libri di Reinaldo - quali proprio BEFORE NIGHT FALLS
- scritti prima in fuga e completati segretamente in carcere. Anche in
questa occasione Schnabel liquida tutto con poco più di qualche
immagine del romanziere al lavoro ed una descrizione degli eventi ad opera
della voce fuoricampo. Dedica al contrario una lunga parentesi al personaggio
di Bon Bon: è a lui infatti che Reinaldo affida le proprie pagine,
e compito di questo variopinto travestito è portarle fuori dal
carcere mediante un mezzo di trasporto quantomeno sui generis. Di tale
figura non vi è traccia nel romanzo, nonostante un breve cenno
ai cosiddetti "facchini", ma ci si ricorda di lui perché
ad interpretarlo Schnabel ha chiamato Johnny Deep. Così facendo
ha dato vita ad un'operazione indubbiamente piacevole (è molto
divertente vedere Deep con trucco e reggicalze) ma che, proprio in ragione
dell'eccezionalità di tale cammeo, fa passare in secondo piano
l'autentica ragione di tale iniziativa: Reinaldo non poteva più
diffondere il proprio pensiero e rendere note le condizioni in cui si
trovava [4].
Il discorso relativo alla sproporzione tra intenti ed effettive realizzazioni
può includere anche il ricorso che Schnabel fa alla citazione.
Se in un primo caso richiama un po' freddamente la primissima immagine
di CITIZEN KANE di Welles ("no trespassing"), in altra occasione
il regista chiude una sezione, già di per sé assai prolissa,
con un calco dell'inquadratura che chiude il primo episodio di ANDREJ
RUBLËV. Laddove tuttavia in Tarkovskij la soggettiva dalla mongolfiera
in caduta era coerente ad un disegno ben preciso, qui appare assolutamente
slegata dal contesto e ricorda, per antitesi, quanto sia importante, assieme
alle immagini, riuscire a riprendere anche il valore emozionale che esse
all'origine sapevano trasmettere. Altrimenti, come in questo caso, si
ha l'impressione di trovarsi di fronte ad un puro sfoggio di cultura.
All'ultima Mostra di Venezia Il film di Schnabel ha vinto un Gran Premio
della Giuria molto discusso, magari proprio in ragione di quanto abbiamo
cercato fin qui di analizzare. Sta di fatto, tuttavia, che grazie al lavoro
dell'artista statunitense l'opera e la vita di Reinaldo Arenas ora possono
dirsi note ad una platea certamente più vasta rispetto al passato.
E forse proprio in ciò, tornando a quanto dicevamo in apertura,
andranno cercate le ragioni di tale riconoscimento. C'è comunque
anche un secondo motivo per cui spesso un film minore trova il modo di
essere ricordato, ed è la grandissima prova del suo protagonista
(sarebbe sufficiente sfogliare la filmografia di DeNiro o Pacino per scoprirla
ricca di titoli del genere). E in questo non ci sentiamo proprio di criticare
la scelta veneziana di premiare Javier Bardem.
Voto: 25/30
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1 - Ed anche il romanzo omonimo si apre così: "Ero nudo, in
piedi; mi piegavo verso il suolo e passavo la lingua sulla terra. Il primo
sapore che mi ricordo è quello della terra. Mangiavo terra […]".
(R. Arenas, Prima che sia notte, Parma, Guanda 20002, p. 14). Lo stesso
Schnabel si preoccuperà di mantenere vivo il contatto di Reinaldo
con un altro elemento naturale, il mare, anch'esso citatissimo nel romanzo.
2 - Scrive infatti Arenas: "La rivoluzione castrista iniziò
dopo il 1959. E, con essa, iniziava il grande entusiasmo, il grande fracasso
e un nuovo terrore. Cominciava la caccia ai soldati di Batista […] Nei
primi giorni molti furono giustiziati senza processo […] Ora moriva molta
più gente di quanta ne fosse morta nella guerra che non c'era stata.
Nonostante l'euforia generale, molti non erano d'accordo con le fucilazioni".
(R. Arenas, op. cit., p. 63).
3 - R. Arenas, op. cit., p. 126.
4 - Qualcosa di simile vale anche per l'apparizione, prima della parte
ambientata a L'Avana, di Sean Penn, protagonista di una parentesi - anch'essa
assente nelle pagine di Arenas - che pare scritta appositamente per la
sua eccezionale apparizione.
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