bastardi senza gloria

di Quentin Tarantino

con Brad Pitt, Christoph Waltz, Daniel Brühl

Altri interpreti: Diane Kruger, Eli Roth, Michael Fassbender. Mélanie Laurent

di Marco GROSOLI

 

30/lode

 

Inglorioso no, ma l’aggettivo “bastardo” Tarantino se lo merita. E gli farebbe pure piacere. Pompare la presenza di Pitt per mesi e fargli fare una particina solo per poter mettere in piedi questo stupefacente film politico la cui storia centrale nessuno si filerebbe, è uno dei sempre nuovi motivi per celebrare il suo genio. Anche se certo, dal punto di vista di un produttore, è difficile non chiamarla una carognata.
Ma i buoni, nel film, sono le carogne, e viceversa. Aldo Raine (Brad Pitt) è un eroe americano al 200%, tanto burbero, violento e scorretto quanto i nazisti sono quasi sempre creature impeccabili, coltissime, gentilissime, educatissime, squisite, affabili e quant’altro. Che poi questo faccia venire in mente Lubitsch, non è per nulla un caso, se è vero che la prima, lunga scena del film (che è anche il primo dei cinque capitoli in cui è composto) cita apertamente il suo immortale Vogliamo Vivere del 1942 (“E così… com’è che mi chiamano? Colonnello…?”), su un gruppo di attori teatrali che sovvertono dall’interno, infiltrandovisi, gli alti ranghi nazisti.
Similmente, la “storia centrale che nessuno si filerebbe”, accennata poc’anzi, si infiltra e sovverte dall’interno l’obbligo dello star-system pittian-hollywoodiano. Si tratta di un’allegoria di resistenza attraverso il cinema: durante la guerra, Shosanna, giovane ebrea cinefila rifugiatasi a Parigi dopo lo sterminio della propria famiglia nella Francia occupata di pochi anni prima, mette in piedi nella sala cinematografica che gestisce la prima di un film che celebra le gesta di un eroico militare tedesco, affinché tutta la gerarchia nazista al gran completo vi si rechi, e la si possa far esplodere insieme al cinema stesso in un ineffabile complotto che coinvolge l’intero mondo teutonico della celluloide dell’epoca. La cinefilia è esplicitamente tematizzata (“Siamo in Francia, noi rispettiamo i registi”): i film di Pabst una cinefila ebrea li mostra lo stesso, anche se lui è tedesco: ciò che il cinema ha di universale è proprio questo sciogliere tutte le differenze e le identità del visibile in un medesimo godimento. Godimento che è ovviamente la cifra chiave del fare cinema di Tarantino, l’unica semplice complicatissima sostanza che informa ognuno dei suoi innumerevoli guizzi di regia – e così in questo film americani, indiani ed ebrei si scambiano le parti con misurata confusione, in un medesimo elogio della Minoranza (in senso soprattutto deleuziano). Minoranza che è, non a caso, la dimensione in cui è incastrato, oggi, il cinema – con il quale comunque Tarantino “marchia a fuoco” (cfr. il finale, irrivelabile) lo spettatore rendendolo complice del suo infernale godimento pellicolare, togliendogli l’innocenza e soprattutto qualunque illusione di “purezza”: la resistenza di fatto coincide con questo sporcarsi le mani. Chi si illude di essere puro, anche se imbattibile come l’”acchiappa-ebrei” tedesco Landa (interpretato dall’incredibile rivelazione austriaca Christoph Waltz), finisce beffato dall’essere caratterizzato con tutti i cliché possibili delle sue “vittime” (gli ebrei).
Mai come qui Tarantino è virtuoso nel saper “cucinare” la sostanza misteriosa del Godimento della pelle del cinema (“Sono schiavo delle apparenze”, proclama alla fine Aldo Raine) sapendo alternare lunghi dialoghi sapientemente stiracchiati come un elastico a scene di violenza improvvisa montate con imprevedibilità di altri tempi (e di altre latitudini). Non ci sono buoni né cattivi, ma solo diversi modi di avere a che fare con quell’”essere sopra le righe” che è, in definitiva, l’esistenza – e che Tarantino mette in scena in ogni secondo, spiazzando completamente la situazione da un istante all’altro attraverso un leggero movimento di macchina, un inserto che si conficca inaspettato… E’ questo “essere sopra le righe”, tanto generico quanto carnale, a compiere il miracolo dell’universalità; è questo il collante ideale per quella “comunità di non appartenenti” che, a prescindere delle identità, dei ruoli e delle circostanze geografiche, costituisce l’humus della resistenza. E questo “essere sopra le righe”, questo essere in eccesso rispetto a quel visibile che si è, è la definizione stessa del cinema secondo Tarantino. E non solo.

 

14:05:2009

Inglourious Basterds
Regia Quentin Tarantino

Stati Uniti 2009, 152'

DUI: 02 ottobre 2009
Universal

Grottesco