I BANCHIERI DI DIO - IL CASO CALVI
di Giuseppe Ferrara
con Omero Antonutti, Pamela Villoresi e Giancarlo Giannini



Il film ripercorre gli ultimi anni di vita del presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi (interpretato da Omero Antonutti): La bancarotta dell’istituto, l’arresto (e successiva condanna a quattro anni) per esportazione illegale di capitali, gli intrallazzi con le finanze vaticane (in primis lo IOR di Monsignor Paul Mrcinkus, amico di Calvi), la fuga disperata all’estero e il ritrovamento del cadavere, il 17 giugno 1982,  appeso con una corda al collo sotto il  ponte dei Frati Neri di Londra. Nonostante le apparenze, una sentenza del tribunale di Milano riconoscerà che non si è trattato di un suicidio. L’intenzione di mettere le mani su quel torbido impasto di criminalità, malaffare e mala politica che fa da sfondo ad una delle pagine più nere e misteriose dell’Italia repubblicana  era venuta al regista già intorno alla metà degli anni ottanta. Il progetto si era poi arenato in una serie di difficoltà produttive molto probabilmente legate a motivi di opportunità politica. Solo oggi, dunque, è potuto arrivare sugli schermi questo I BANCHIERI DI DIO, un condensato di tutta la buona volontà e di tutti i limiti del cinema "di impegno civile" a cui ci ha abituato Ferrara fin dai tempi di CENTO GIORNI A PALERMO. Il genuino spirito di denuncia degli intrighi del potere che anima il film, l’accuratezza del lavoro sulle fonti (le carte processuali), la scelta di rappresentare la vicenda con pignoleria documentaristica, si scontrano con una confezione da b-movie paratelevisivo, dal tono sempre fastidiosamente didascalico e di una verbosità fuori misura. I momenti di alleggerimento riflessivo (che consentano anche allo spettatore meno avvezzo alla vicenda di riordinare le idee) sono troppo pochi e alla fine si esce dalla sala più rintronati che indignati per il "marcio" che il film vorrebbe riportare a galla. Ma c’è di più. Oltre allo svantaggio di arrivare tardi, la vicenda narrata non riesce mai a elevarsi a metafora di qualcosa di più generale e che potrebbe ben adattarsi anche a questi nostri tempi. Quando poi entrano in scena i sosia di Andreotti e Craxi (il Santo Padre è inquadrato sempre di schiena "per rispetto") si sfiorano i confini del trash. Con tali premesse va da se che I BANCHIERI DI DIO rischia di essere rifiutato dal pubblico e di passare inosservato, con buona pace dei quei "poteri forti" che a suo tempo ne osteggiarono la realizzazione. Ma al di là di queste considerazioni, che Roberto Calvi emerge dal film di Ferrara? Sicuramente un uomo molto contraddittorio. "Eminenza grigia" nel mondo dell’alta finanza, pedina (ma non solamente vittima) di un gigantesco intrigo internazionale (che coinvolgeva la P2, la mafia, i servizi segreti, il vaticano, i partiti di maggioranza, il traffico d’armi, l’appoggio finanziario a dittature sudamericane, e altro ancora), avido di potere e caparbiamente deciso a non mollare l’osso, ma anche uomo che nella difficoltà si dimostra fragile e indeciso, padre sensibile e marito fortemente condizionato dalla moglie petulante (una convincente Pamela Villoresi). E queste contraddizioni sono ben espresse da Omero Antonutti in una scena emblematica. Durante una discussione con la moglie, Calvi prima scoppia pateticamente a piangere come un bambino per poi, sul consiglio di lei a lasciare l’Italia, voltandosi verso la telecamera e uscendo dalla semioscurità che gli nasconde il volto, affermare con tono perentorio: "No! Non li lascio andare così facilmente dieci anni di potere". Miseria e orgoglio di un uomo e del suo film.

Voto: 13/30

Loris SERAFINO
10 - 03 - 02


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