Attenberg

di Athina Rachel Tsangari

con Ariane Labed, Evangelia Randou

di Marco GROSOLI

 

27/30

 

Marina, 23 anni, vive con il padre architetto in una città tirata su dal nulla come complesso industriale. Ingaggia bizzarre e ingessate coreografie a due in mezzo alla strada (che puntellano il film) con la sua amica Bella, con la quale condivide una, diciamo così, adolescenza piuttosto tarda. Tra le sue poche passioni, guardare i documentari di Sir David Attenborough.

Poi, come si conviene in questi casi, il padre muore e lei cresce.

Implicato nel cast e nella produzione c’è il grande Yorgos Lanthimos di Kinetta (2005) e Kynodontas (2009), figura di spicco del nuovo cinema greco. Come nei suoi film, al centro del suo assetto visivo c’è uno spiccato, accesissimo interesse per la geometria. Ogni inquadratura vibra di una spigolosa tensione grafica. Le ragioni le spiega chiaro e tondo l’architetto: la Grecia è passata direttamente dai pastori agli arzigogoli modernisti saltando la fase industriale. Le geometrie moderniste sono dunque letteralmente appiccicate sul nulla. Analogamente, il film è lacerato da un’alternanza deliberatamente schizofrenica, che segue criteri di successione pressoché marziali, tra le scene propriamente rilevanti da un punto di vista drammatico (quelle che fanno “progredire l’azione”) e le parentesi di pura tensione visuale.

Dunque? Catastrofe in arrivo? Neanche per idea. Il film è anzi tutto costruito sulla stigmatizzazione di questo rischio. Tutta la prima parte si dibatte tra immagini letteralmente tirate col righello e col goniometro, e il suo opposto – ovvero, l’animalità pura e semplice, che sia quella degli scimmioni cui fa visita Attenborough (imitati da padre e figlia in piedi sul letto) o quella delle strane pose fauve e urlate delle due amiche. Basta questo (e magari l’ombra dell’incesto nel triangolo tra Bella, Marina e suo padre, tra cui, tuttavia, nulla succede) per far presagire “lo scoppio imminente dell’energia repressa al di là delle costrizioni architettoniche”? Nemmeno per sogno. Anzi. Tutta la seconda parte verterà sulla lenta, “naturale” (!) morte del padre, come un dolce, lungo, sereno trapasso che dissolverà senza nessun trauma le rigide pose e mossette cartoonesche di Marina (che si separerà dunque da Bella) e la farà diventerà grande. Riuscirà persino a fare sesso con un ragazzo, superando quindi la grottesca rigidità che all’inizio le era assai concretamente di ostacolo a tal proposito.

Come si suol dire, quello di Attenberg è un “messaggio di speranza”: coraggio, al di là della polarità tra animale e artificiale c’è qualcos’altro, anche se non sappiamo e non possiamo sapere cos’è. Dobbiamo rassegnarci alla fine di questa polarità e stare a vedere che succede, in tutta tranquillità. Altro che “postmoderno” e balle varie: il sesso comincia solo adesso, “dopo” l’animalità e “dopo” il suo opposto.

 

11:09:2010