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BANGDOKI di Gok Kim, Sun Kim con Jo Young Jin, Jang Liu |
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27/30
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I fratelli Kim (già a Venezia qualche anno fa con un corto sperimentale) di una cosa non difettano: la cerebralità. Bangdokpi è uno dei film meno offuscati da questa loro costante. Anche se, in qualche misura, non manca neanche stavolta.Si comincia con una bambina che scopre un omicidio effettuato da uno strano assassino con la maschera antigas. Dopodiché, vengono introdotti alcuni personaggi accomunati in qualche modo dall’ossessione per lo strano assassino mascherato che minaccia Seoul. Tra essi, un militare americano, una ragazzina-lupo con tanto di barba che cerca insieme a una strana setta di coetanei di farsi uccidere dal killer misterioso, un candidato sindaco che riceve minacce di morte… Il film si fa notare soprattutto per il suo impressionante, graduale, cesellatissimo crescendo. Poco succede ai personaggi, se non imbattersi in eventi forse simbolici, probabilmente enigmatici, sicuramente inquietanti e poco spiegabili. Lentamente, si insinua una strana atmosfera, un’impalpabile inquietudine. Impalpabile fino a essere gassosa: ecco perché la lunghissima sequenza finale fa invadere tutta la città da una strana nebbia che obbliga tutti a indossare maschere antigas – con risultati estremamente incontrollabili e violenti. Così, al termine di questo calibratissimo crescendo di tensione, tutte le piccole simbologie che disseminavano (e infestavano) il film si risolvono in una sola, chiarissima allegoria che si vuole applicata innanzitutto al contesto politico/sociale coreano: il nemico è qualcosa che diventiamo “agitandoci” per ritrovarlo nonostante la sua plateale assenza. Abbiamo bisogno di un nemico che non c’è, e ci affanniamo per ricercarlo fino a diventare noi stessi il nemico che cerchiamo. Il nemico è quindi questo principio assolutamente astratto da cui ci facciamo impadronire. L’aggressività è un virus omnipervasivo, invisibile, incontrollabile fino alla gassosità… e se ci difendiamo o ce ne chiamiamo fuori (ecco perché la maschera antigas), è ancora peggio. Proprio il non esistere del nemico ci consegna mani e piedi all’aggressività, che è ovunque e dunque non localizzabile in un nemico specifico… Ai due Kim, che peccano a volte di cerebralismo, va dato atto di aver saputo dare al film (anche prima dell’interminabile, oscura, esagitata e delirante sequenza finale) un incedere lento, sfrangiato, incerto, confuso. Si direbbero tutti difetti, ma si ribaltano in pregio nel momento in cui ciò che bisogna rendere è proprio questo “nulla” in cui ci agitiamo alla ricerca di un nemico che dia senso alla nostra esistenza, questo vuoto angosciante che non ce lo fa trovare nonostante tutto il nostro dimenarci insensato.
11:09:2010 |
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