
Un film incorniciato nelle
circumnavigazioni interplanetarie della sonda spaziale voyager che, sospesa
nel silenzio interstellare, reca in dono a civiltà lontane frammenti e suoni
del pianeta terra, non può che suscitare suggestione, anche quando il
carattere cronachistico degli ‘intermezzi’ rende il film un po’ indigesto
per chi, come il sottoscritto, non si accende di entusiasmo ai ritmi
popolari del blues né alle voci vibranti dei suoi autori. Di certo non si
può accusare Wenders di eccessivo documentarismo, dato che il suo intento
creativo, è fin troppo evidente, non era quello di drammatizzare a scopo
commerciale le vicende di figure carismatiche, e neppure, forse, di portare
all’attenzione della storia il dramma di chi non vede riconosciuto in vita
il proprio talento, quanto quello di rendere un appassionato tributo
assolutamente e deliziosamente personale a tre individui che egli
profondamente ha amato, come artisti e come personaggi. Per tutta la durata
della pellicola si sente correre il respiro commosso di un regista, che
racconta la storia ingrata di tre autori alle radici del blues: Blind Willie
Johnson, Skip James e J.B. Lenoir - di cui dice: “c’è più vita in loro che
in qualsiasi film o libro sull’America” - lasciando alla loro voce, alle
loro note, alla loro arte il compito di mostrarne la grandezza. Attraverso
un ricorso massiccio a sequenze orginali dell’epoca, a estratti di un
inedito filmato casereccio girato da studenti d’arte, l’inserimento di
esibizioni dal vivo di nomi cult della musica alternativa come Nick Cave,
Lou Reed, Cassandra Wilson, ed un modesto uso di parti recitate e voce
narrante, monta un oggetto che dentro l’etichetta di “documentario” ci sta
alquanto stretto. Se non altro per la maestria con la quale Wenders muove la
macchina da presa e si diverte a giocare con le potenzialità creative del
montaggio, dimostrando ancora una volta come il suo talento, sebbene
esibisca i segni di qualche colpo subito e riveli di volta in volta
cambiamenti ascrivibili più al coraggio della sperimentazione che al
compromesso necessitato, sia in grado, in fondo, di resistere ai rischi di
un azzardosa confidenza con l’oltreoceano.
Secondo le cronache THE SOUL OF A MAN è il primo di sette film nell’ambito
di un progetto sul blues concepito e finanziato da Martin Scorsese e che
coinvolge, tra gli autori degli altri episodi, anche Clint Eastwood e Mike
Figgis. Ma prima di tutto è un esempio di come un cinema che nasce dalla
esperienza personale e spirituale del suo autore, soprattutto quando porta
il marchio inconfondibile del maestro tedesco, non tema di confrontarsi con
le regole interne alla scrittura tradizionale, e sia capace di scavalcare
con elegante disinvoltura i paletti che impongono le limitazioni di
‘genere’. Forse quest’ultima fatica di Wenders non finisce per appassionare
alle sonorità dei neri d’america chi ha gusti musicali troppo distanti, ma
riesce comunque a confermare la devozione per un autore che ha inciso
decisamente sulla storia del cinema.
Voto:27/30
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