
"Con questo film intendevo trattare la questione
dell'esodo dalle campagne e dei radicali mutamenti che hanno interessato
lo stile di vita dei contadini…" Con queste parole Yves Caumont commenta
AMOUR D'ENFANCE, il suo primo lungometraggio, in concorso per il Torino
Film Festival.
Il dramma è incombente: Paul è tornato per assistere suo
padre, malato terminale, negli ultimi giorni della sua vita. La morte
del genitore però, scivola lentamente in sottofondo, di fronte
ai cambiamenti ed alle nuove situazioni con cui il giovane si deve confrontare.
La ragazza di cui era innamorato, Brigitte, si è sposata e non
vive più nel paese. Sua sorella Odile invece, è cresciuta,
e Paul rimane colpito dal suo fascino. Il suo amico Thierry, fidanzato
con Odile, maneggia abilmente una macchina fotografica automatica, dimostrando
una familiarità con la tecnologia che sorprende un impacciato Paul.
Jean Marie, un altro ragazzo del luogo acquista tutti i terreni dei dintorni.
Paul è dapprima disorientato da questi cambiamenti; poi, lentamente
riscopre il suo legame con la terra, si prende cura dei campi al posto
del padre. Ma non riesce a ritrovare completamente le sue radici: troppa
distanza lo separa da questa nuova realtà agricola che si evolve
in modo lento ma inesorabile. Il suo "amour d'enfance" ormai
è perduto per sempre.
Quest'opera prima del regista francese Yves Caumont è un buon film,
che tratta un tema sicuramente non originale servendosi però di
una bella fotografia, di inquadrature naturalistiche notevoli ed una certa
eleganza e ricercatezza stilistica. Il ritmo rispecchia quello della vita
in campagna: le situazioni maturano e si evolvono lentamente, quasi senza
bruschi cambiamenti. La morte stessa del padre malato avviene in un contesto
indubbiamente drammatico, ma raccontato senza eccessi, con la consapevolezza
dell'inesorabile. I lunghi movimenti di camera, le panoramiche sui campi,
i piani lunghi che seguono lo spostamento dei protagonisti, ben si adattano
al ritmo del racconto.
Tuttavia, come spesso accade in un certo cinema francese, in alcune inquadrature
l'eleganza pare diventare autocompiacimento, l'indugiare della camera
sul personaggio o sul paesaggio sembra guidato più da una ricerca
eccessiva di un naturalismo spettacolare che da esigenze narrative.
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