Un film di sconfinata dolcezza, una soave riconciliazione con
la morte che rincorre e afferra la magia, riservata esclusivamente
all'adolescenza, di saper vivere i momenti pieni del presente insieme alla
coscienza che se ne stanno andando per sempre.
Enoch è orfano: i genitori sono morti in un incidente stradale. Per
esorcizzare il trauma (a distanza di anni, non è ancora minimamente capace
di elaborare il lutto), si è messo a parlare con un amico immaginario (un
kamikaze nipponico della seconda guerra mondiale che lo batte sempre a
battaglia navale) e a frequentare funerali. Lì conosce Annabel, anche lei
alla fine dell'adolescenza – ma pure al termine della vita, visto che ha un
tumore al cervello.
Van Sant si concentra sul tenerissimo idillio che si crea tra i due, decisi
ad assaporare ogni istante che resta ad Annabel. Segue compiaciuto i loro
dialoghi stralunati, le loro dolcezze, e gli allestisce intorno un perfetto
autunno dell'Oregon impaziente di diventare inverno. Nessun dramma: solo una
serena accettazione.
In qualche modo, per Enoch e Annabel “crescere” significa (perversamente)
venire a patti con la certezza che il proprio infantilismo non se ne andrà
mai. Parimenti, i due sembrano ingaggiare un rapporto con la morte
alternativo rispetto alla sepoltura, ovvero rispetto al tradizionale pensare
il passato come qualcosa rispetto a cui il presente fissa una continuità
tagliata su misura per potersene allontanare. Qui no: il presente “sente
suo” il passato solo a seguito della certezza di aver vissuto il presente
come qualcosa che si avvia a diventare passato. A queste condizioni, il
passato davvero non passa mai: è sempre lì. Il “senza riposo” del titolo è
dunque innanzitutto un “senza possibile sepoltura”. Ecco perché l'immagine
ricorrente del film vede i personaggi sdraiati sull'asfalto tracciare “in
diretta” la loro stessa sagoma. Il presente non deve che adagiarsi alla sua
forma passata che è sempre/già lì con lui. Ecco perché non potrà essere
Enoch ad accompagnare Annabel nel momento estremo, ma l'amico immaginario
già morto. Anzi: non lui, ma la sua (bellissima) lettera d'addio in
giapponese. I preziosismi stilistici “pop” sfoggiati da Van Sant
inquadratura dopo inquadratura sono altrettante lettere d'addio, altrettanti
cenni di saluto a una vita sul punto di diventare morta, ovvero di diventare
immagine, manichino, carta da parati con una palette di colori mozzafiato.
22:05:2011
prima pubblicazione festival di cannes 2011 |