
È un film molto particolare questo LA VEUVE DE ST. PIERRE (LA VEDOVA DI
ST. PIERRE), che Patrice Leconte ha realizzato subito dopo LA RAGAZZA
SUL PONTE, mantenendone alcune atmosfere e l'attore protagonista, l'onnipresente
Daniel Auteuil. Singolare per almeno due motivi: l'eccentrico registro
stilistico adottato e la presenza di Emir Kusturica, praticamente nel
ruolo di protagonista.
Tratta da una vicenda realmente accaduta a metà dell'ottocento nell'isoletta
di St. Pierre (al largo del Canada francese), la pellicola è assolutamente
rigorosa nella cura dell'ambientazione (le scenografie sono di un fedelissimo
di Leconte, Ivan Maussion) e dei costumi per cui, almeno sulla carta,
potrebbe essese tranquillamente scambiata per un'opera, magari moderna,
ma dall'impostazione classica: qualcosa del tipo ZONA DI GUERRA. E invece
il regista de IL MARITO DELLA PARRUCCHIERA, RIDICULE e del sottovalutato
quanto splendido TANGO, sorprende con un uso assolutamente eccentrico
della camera a mano, fatto di improvvise accelerazioni, scarti violenti
ed un insolito uso dello zoom che - nonostante appaia assolutamente fuori
contesto - pare influenzato nientemeno che dal cinema di Hong Kong. In
realtà tali passaggi sono in minoranza rispetto ad uno stile fatto di
intensi primi piani e di una regia d'interni piuttosto corretta, per cui
pare arduo - sempre che ci sia - trovare dietro tali soluzioni le basi
di una precisa scelta di regia; regia che, nel complesso, appare dunque
un po' estemporanea ed incoerente, nel senso meno buono.
La vicenda si muove su corde apparentemente di natura politica: un assassinio,
la condanna a morte e la lotta tra i governanti locali affinché questa
abbia il suo corso. Più in profondità - e questo, per una volta, rende
una qualche giustizia alla scelta del titolo italiano - la storia narrata
è soprattutto una storia d'amore, quello intenso, immortale appunto, che
unisce il Capitano (Auteuil) alla Signora La (Binoche). Un amore in virtù
del quale non si consumerà, pur rimanendo palpabile, la passione tra la
donna e Neel (Kusturica, l'assassino in costudia presso il marito), e
in nome di cui, anche ingenuamente ma non senza sincerità, l'uomo sacrifica
tutto quanto possiede.
Non solo: l'assenza di una ghigliottina, condizione anche legale perché
l'esecuzione possa aver luogo, apre la strada che porta tutta la cittadinanza
di St. Pierre ad amare e stimare Neel, dopo l'istintivo odio dei primi
momenti. Il film si concentra così anche sugli effetti che una verità
umana, differente rispetto a quanto voluto dal diritto degli uomini, può
avere sulle reazioni della gente e sul significato autentico di sacrificio
in nome di qualcosa in cui si crede.
Per quanto concerne il cast, dell'orami divina Juliette Binoche - il cui
breve soggiorno statunitense le è bastato a portarsi a casa quanto di
più importante laggiù hanno da offrire, cioè l'Oscar (per IL PAZIENTE
INGLESE) - si è detto tutto, e pur correndo il rischio, con il tempo,
di farsi omologare in ruoli di nobili signore del passato, avvenenti ma
annoiate, dimostra una bravura ed una bellezza sempre più intense. Daniel
Auteuil, raggiunti i cinquant'anni, è ormai un'icona del cinema francese,
e capita di vederlo dovunque: a Venezia era in SADE di Benoit Jacquot.
La vera sopresa, dicevamo, è però Emir Kusturica, fantastico talento registico,
tre volte Palma d'oro a Cannes: che fosse un personaggio carismatico chi
scrive può assicurarlo per esperienza personale; la sua ecletticità era
già evidente dalla sua doppia occupazione di regista e bassista in un
gruppo rock, ma sul fatto che fosse anche un attore davvero intenso e
misurato, sinceramente non ci avremmo scommesso. E invece il suo volto
oscuro incorniciato dalla capigliatura selvaggia e dal quale spiccano
due occhi profondissimi sono divenuti parte di un personaggio (Neel) certo
non complesso, per una certa mancanza di cultura e furbizia, ma comunque
affascinante ed insolito. Grande intuizione di Leconte.
Un film europeo che volentieri avremmo visto a Venezia.
Voto: 29/30
|