AMNESIA
di Gabriele Salvatores
con Diego Abatantuono, Sergio Rubini, Alessandra Martines e Martina Stella



Non un film sulla nostalgia, non l'ennesima apologia della fuga, non una celebrazione degli eroi di MEDITERRANEO ma una storia di raggiri e guai, una sorridente black comedy generazionale, un incrocio di destini in cui si ritrovano i ragazzi di Marrakesh Express diventati, ormai, adulti con figli, coscienza e qualche cicatrice in più. Non nostalgia, dunque, ma un po' di amarezza sì, di rimpianto per il tempo perduto che si stempera nella felice capacità di tornare a sorridere dopo i momenti difficili. Il messaggio è paradossalmente ottimista e, nonostante la nuova generazione dipinta sia ribelle, rancorosa e trasgressiva, quando non addirittura drogata e corrotta, alla fine le famiglie storte, ritorte e ferite riescono davvero, con un colpo di coda, a rimettersi insieme. Tutti i personaggi dell'ultima pellicola di Salvatores non sono esattamente ciò che appaiono: ognuno ha un segreto da custodire o da rinnegare, ognuno un percorso di infelicità da affrancare, ognuno una deviazione da scegliere o abbandonare. Quello in cui il regista crede è che si può diventare adulti senza tradire gli ideali della gioventù: ricordarli e rispettarli oltre il velo del tempo che tutto offusca e nasconde è la strada per sfuggire all'amnesia che sembra aver colpito un'intera generazione. Amnesìa, dunque, come vuoto in un percorso di crescita umana, come gap tra lo spazio del sogno e quello piatto del reale, come perdita di un bagaglio culturale ed emozionale infranto contro la barriera del compromesso. Ma anche Amnèsia come luogo reale cui ancorare la pesante solidità dei fatti, come una delle più grandi discoteche di Ibiza, scelta per la sua realtà felice e complessa di razze, costume, divertimento e paure, un supermercato di varia umanità, sogni e sudore, un laboratorio musicale e sociologico, il motore dell'azione di tutti i protagonisti che si muovono ai margini di coscienza e legalità. Un'originalissima struttura a mosaico narra il momento in cui tre storie diverse, eppur incredibilmente convergenti, si incontrano. Quella di Sandro (Diego Abatantuono), regista pornografico alle prese con l'arrivo improvviso di una figlia diciassettenne quasi sconosciuta (Martina Stella) che ignora tutto di lui se non il suo abbandono, quella di Xavier (Juango Puigcorbè), capo della polizia integro ma molto umano, padre di Jorge (Ruben Ochandiano), un teppista senza legge che è il suo cruccio ed il suo contrappasso, quella di Angelino (Sergio Rubini), proprietario di un chiringuito, un bar sulla spiaggia, e piccolissimo spacciatore di Marijuana, che, sognando una casa che non sia la baracca sulla pista di atterraggio dell'aeroporto ed un futuro fatto di figli e serenità per sé e la moglie Alicia (Maria Jurado), si lascia tentare da speranze effimere di ricchezza facile, decidendo di vendere i quattro chili di cocaina contenuti in una valigetta nella quale casualmente si imbatte. Le storie, sebbene intrecciate, sono narrate in tempi cinematografici diversi, rinunciando al montaggio alternato per dare corpo ad una tecnica audace e di grande presa emotiva che prevede lo svolgimento completo del primo plot nell'arco dei tre giorni nei quali è ambientata la vicenda, una sorta di rewind accelerato che riporta il tutto all'episodio iniziale e comune da cui si dipartono come fili di una matassa i cento casi del destino, il racconto di una seconda storia e così via. L'esperimento riesce ed è, forse, proprio quest'originalità narrativa la vera spina dorsale di un progetto altrimenti poco sentito. Così, dal funerale dell'Hippy maturo, morto felice a cavallo della sua Norton Commando, la stessa moto di Che Guevara, momento in cui sono presenti tutti i personaggi che ignoriamo essere i protagonisti di inattesi sviluppi, e per tutta l'ora successiva, sembra di essere dinanzi ad una rivisitazione senza anima né emozione del miglior repertorio di Salvatores fatto di paesaggi deserti e riarsi, di personaggi piccoli ed auto ironici che vivono di espedienti in un luogo che è "altrove" rispetto alle loro origini, di purezza e bontà al di là delle apparenze di compromesso e dissipazione. La vera svolta del film si ha quando, fuori da ogni previsione, si torna improvvisamente indietro nella narrazione per rivedere nuovamente la storia da un'angolazione che spiega, integra e ricompone i frammenti perduti nella precedente rappresentazione dei fatti o, comunque, sfuggiti all'attenzione dello spettatore. Accanto ai giovani protagonisti della notte che all'alba si sdraiano sulla spiaggia fissando, dagli occhiali scuri, un punto perso nell'orizzonte, compaiono, in un'insalata esotica per colori e sapori, hippy irriducibili, esuli politici, contadini a caccia con i loro "podenchi" (cani che cacciano in branco lepri e cinghiali), viaggiatori solitari e qualche poeta. Assecondando questa chiave di lettura che celebra la realtà multi etnica della società moderna che centrifuga le diversità per farne amalgama inseparabile, altro carattere affascinante e peculiare del film è la scelta di una lingua che associ al colore dello spagnolo tutte le contaminazioni che, interagendo l'un l'altra, danno vita ad un vero nuovo dialetto dell'integrazione. Anche il cast, naturalmente, rispecchia questa visione del regista per il quale appare evidente che "il mondo è diventato piccolissimo e, forse, non è più così sensato parlare di cinema spagnolo, francese o italiano". Capita, allora che, provando "a raccontare le nostre storie con il nostro cuore e le nostre lingue confrontandoci, però, con quelle degli altri", agli attori feticcio del cinema di Salvatores, i sempre perfetti e calibrati per passione ed intensità Abatantuono, Rubini, Conti, si affianchino in un crogiuolo multi culturale affiatatissimo consumati attori di teatro, star iberiche (Antonia San Juan, la Agrado di Pedro Almodovar), ex ballerine e grandi della recitazione inglese (Ian McNeice) che accettano di mettersi in discussione per recitare in ruoli secondari e talvolta caricaturali. Non sempre, però, pur nella ricchezza degli spunti e della lettura, talvolta addirittura sorprendente, delle due anime del film disvelate e stravolte a seconda del punto di vista privilegiato di momento in momento dalla macchina da presa, il film appare compiuto e davvero corrispondente all'ottimismo della volontà di Salvatores. Gli interpreti eccellenti, puntuali ed accattivanti, diverse scelte artistiche e di confezione davvero meritevoli ed una colonna sonora coinvolgente, rendono la pellicola godibilissima e, pur nella dimensione grottescamente pulp fortemente cercata, in qualche modo positiva e leggera rispetto a film più cupi ed introflessi quali NIRVANA e DENTI ma ciò che, forse, rende più difficile la digestione ed impedisce al progetto di decollare è, oltre a qualche indecisione di troppo sullo stile da seguire e qualche cambiamento di rotta esageratamente brusco sui caratteri messi in scena, il sapore costruito ed artefatto di un messaggio che, in un carosello di disgregazione ed incompatibilità, pretende di giustificare un happy end brutale e non necessario per riconciliarci forzatamente con un'aspettativa del futuro che non può non essere di speranza.

Voto: 25/30

 

Elisa SCHIANCHI
03 - 03 - 02


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