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Quest’indimenticabile
commedia riproposta a Pesaro in occasione della retrospettiva su Monicelli
è immortale come il "riso" che come ci ricorda M. Bachtin è il principio
organizzatore della cultura popolare, non-ufficiale in opposizione a quella
alta, istituzionale fondata sul "serio". Gli sberleffi, le buffonate,
i calembour di Tognazzi, le parodie (non da ultimo quella del "noir" come
genere cinematografico) sono le "forme carnevalesche" di cui è intessuto
l’intero film e trasformano, facendoli giocare o giocandoli, non solo
i 4 o 5 protagonisti ma tutti quelli che vengono a contatto con loro.
Il riso carnevalesco, quello dei travestimenti e dei ruoli usurpati è,
per la durata della festa, "la seconda vita del popolo" e le sue trovate,
i suoi scherzi non sono "artistiche" ma "forme reali della vita stessa",
forme che non conoscono il confine tra ribalta e spettatori e quindi calzate
da tutti. Nello spirito del carnevale si mette in scena una vita ribaltata,
"altra" fondata su principi migliori, dove si eleggono "re" o "capi" per
burla, si deride la morte si infrangono le identità e i ruoli sociali…
"Non era nessuno!" si affretta a chiarire la moglie di P. Noiret raccolta
al suo letto di morte facendo mostra di aver compreso benissimo (pur non
accettandolo) chi era l’ex-marito e negandogli quella pietà che lui per
primo avrebbe deriso. Ma come suona comica allo spettatore quella definizione
- "nessuno" - che lo stesso personaggio si era affibbiato da solo rievocando
al telefono atmosfere omeriche nell’intento di conquistare una donna. |
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Alessandro MAZZANTI |
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