AMICI MIEI
di Mario Monicelli

Quest’indimenticabile commedia riproposta a Pesaro in occasione della retrospettiva su Monicelli è immortale come il "riso" che come ci ricorda M. Bachtin è il principio organizzatore della cultura popolare, non-ufficiale in opposizione a quella alta, istituzionale fondata sul "serio". Gli sberleffi, le buffonate, i calembour di Tognazzi, le parodie (non da ultimo quella del "noir" come genere cinematografico) sono le "forme carnevalesche" di cui è intessuto l’intero film e trasformano, facendoli giocare o giocandoli, non solo i 4 o 5 protagonisti ma tutti quelli che vengono a contatto con loro. Il riso carnevalesco, quello dei travestimenti e dei ruoli usurpati è, per la durata della festa, "la seconda vita del popolo" e le sue trovate, i suoi scherzi non sono "artistiche" ma "forme reali della vita stessa", forme che non conoscono il confine tra ribalta e spettatori e quindi calzate da tutti. Nello spirito del carnevale si mette in scena una vita ribaltata, "altra" fondata su principi migliori, dove si eleggono "re" o "capi" per burla, si deride la morte si infrangono le identità e i ruoli sociali… "Non era nessuno!" si affretta a chiarire la moglie di P. Noiret raccolta al suo letto di morte facendo mostra di aver compreso benissimo (pur non accettandolo) chi era l’ex-marito e negandogli quella pietà che lui per primo avrebbe deriso. Ma come suona comica allo spettatore quella definizione - "nessuno" - che lo stesso personaggio si era affibbiato da solo rievocando al telefono atmosfere omeriche nell’intento di conquistare una donna.
In ogni caso il "riso" ci sembra talmente forte in questo film da dissacrare e mettere in crisi la separazione tra personaggi e spettatori soprattutto nella sequenza in cui il morto giace sul letto, mani incrociate e il regista ce lo propone con troppa ostinazione e discrezione mentre… respira. Un’allusione non certo all’ennesima messa in scena degli "zingari" ma alla disponibilità del pubblico ad accondiscendere e non troppo al gioco della finzione, a giocarlo da inventore e non da puro spettatore, come a dire: guardate che se lo volete morto ne possiamo ridere o piangere assieme! Così quell’indecisione di riso misto a pianto dell’ultima sequenza - in cui di fronte all’allocco di turno gli amici fingono di aver eliminato il morto in quanto "Traditore" - chiama veramente il pubblico a recitare la sua parte, il suo ruolo, il suo carnevale. Se di certo non era possibile proiettare l’intera retrospetiva su Monicelli all’aperto, ci sarebbe almeno piaciuto vedere questo film non in sala, luogo che istituzionalizza, ma appunto nella "piazza", esposti ai colpi d’occhio dei passanti e alle burle dei ragazzi per calare così ancora una volta il "riso" nel suo luogo di provenienza e magari avvicinare la mostra del cinema ad una cerchia meno elittaria di cittadini, cioè a quella cultura che viene dal basso di cui forse tanto ha bisogno.

Voto: 28/30

Alessandro MAZZANTI
04 - 01 - 02


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