AMERICAN SCHOOL
di Amy Heckerling
con Jason Biggs e Mena Suvari



"Papà, non ci capisco più niente: New York è come una grande orgia continua…" (dialogo padre-figlio, da AMERICAN SCHOOL). "Figliola, vedendoti ballare sui tavoli di quel bar, per la prima volta in vita mia…mi sono vergognato di te" (reprimenda paterna, da LE RAGAZZE DEL COYOTE UGLY, ambientato nella stessa città). Più che di procedimento narrativo, si dovrebbe parlare di procedimento rappresentativo per la quasi globalità del cinema americano a funzione educativa, quello, per in tenderci, del filone "da ateneo demenzial-buonista". Le pellicole risultano essere una sorta di show-case di slogan, precetti, suggerimenti ad uso dell'arrendevole pubblico giovanile medio, trovando immediata corrispondenza in momenti-immagine (più che in scene strutturate, ricche di sviluppo), che ne sono lo spazio, appunto, di rappresentazione fine a se stessa. A questo punto, non solo scompare la storia, ma, supponendo la paternità esterna dei "significati" che il prodotto dovrebbe veicolare, si dissolve anche il fantasma dell'autore presunto. Non-film assemblato da un non-regista. Se, inoltre, come dice Jung, il bambino rappresenta l'inizio dell'uomo e la sua creatura finale, e tutti riteniamo gli Stati Uniti nella loro fase adolescenziale dal punto di vista storico, va peraltro detto come il perdurare di una agghiacciante tendenza semplificativa nel tentativo di gestire certe tematiche e certi aspetti della cultura, cominci a essere preoccupante. Che si tratti di un inizio infinito? Di un costitutivo stato embrionale di intelligenza delle cose? Certo, da un popolo così poco auto-dotatosi di senso della fine (noi europei siamo degli specialisti in escatologia…) difficilmente potremmo aspettarci illuminazioni improvvise di senso contrario. In questo (misero) caso, si tratta di fornire un decalogo comportamentale allo studente che passa dal liceo al college, e più precisamente va a studiare a New York: la Grande Mela ha solida reputazione maudit, e siccome un anno di università costa 35mila dollari (!?!), sembra che l'Associazione Genitori Ricchi degli Stati Uniti si sia coalizzata per finanziare questo capolavoro di moralismo d'accatto. Evitiamo di dirvi, per un po' di pudore, il nome del regista e se esiste una trama: assistiamo inermi alla contrapposizione di due modelli comportamentali antitetici. L'ingenuo e stolto, ma molto forrest gump, cioè passivamente ben disposto nei confronti del prossimo (esempio da preferire); e il furbo impenitente, alla moda, impegnato a fare scempio di tempo e denaro (da rifuggire). Il problema è che il protagonista (il buono, ma poco selvaggio) sopporta con "stoico autolesionismo" il ruolo che la vita gli ha assegnato, accumulando i fardelli di una borsa di studio da conquistare, di tre compagni intenti solo a farsene beffe, di una ragazzetta (Mena Suvari) che non ama lui, ma il cinico professore di letteratura. Mentre quello viene mandato a vivere in una stanzetta ricavata all'interno del dipartimento di veterinaria, gli altri si dilettano in party a base di Roipnol e superalcolici: la mistura adatta a far strage di studentesse. Tra scene di gattini salvati al momento del parto e sballi di gruppo, la contrapposizione non poteva essere più sommaria e, a conti fatti, inoffensiva. Come si può pensare che un film del genere possa servire a sostenere il non-uso della marijuana o di altri additivi nei college? E' dicendo "non farti una canna" che si ottiene l'effetto voluto (e ci fermiamo qui…)?
L'infantilismo degli americani, quella che chiamavo non-intelligenza delle cose (quindi il lato deteriore dell'essere ancora bambini, e non la purezza o la capacità di lasciarsi andare…), risiede tutta nel moralismo gretto e ipocrita che ispira molti dei loro tic ideologico-comportamentali. Dopo un film che termina sui fermi-immagine dei vari personaggi, con didascalia dei loro esiti nella vita (tizio per colpa degli spinelli adesso è in carcere; caio non riesce neanche ad allacciarsi le scarpe da quanto è fumato; il professore è sotto processo perché continuava a "molestare" le studentesse e via di questo passo), chiunque avrebbe voglia di fare l'esatto contrario. Questo cinema straccione e insulso, in definitiva, fa uso di rappresentazioni analogiche della realtà (immagini isolate, poiché assente il racconto), quasi si trattasse di cartelloni pubblicitari, dove lo slogan è, di volta in volta, scritto - come nel finale - o parlato. I personaggi non possono dirsi tali, l'interpretazione inesistente non certo per difetti d'impostazione, ma perché esattamente quello viene richiesto al prodotto: di essere strumento di una propaganda, di una successione di enunciati che, superando la limitatezza disciplinare degli strumenti specifici, trova qui un nuovo campo d'azione e potenzialità infinite.
Il tutto risulta assolutamente chiaro se passiamo alla, breve, analisi del messaggio commerciale, presente ormai senza pudore nel testo (non più nel sottotesto) filmico. A) Jason Biggs, lo stolto, va al concerto degli EVERCLEAR, dove ha invitato la sua amica. Che si tratti di QUEL gruppo, piuttosto di un altro, è assolutamente ininfluente. I musicisti sono ripresi male e per una manciata di secondi, il che conta poco, mentre il brano va avanti per più di un minuto: dal momento che si voleva semplicemente far conoscere il prodotto musicale, lo scopo è stato ottenuto. B) stessa cosa per il mezzo minuto di un'altra parentesi assolutamente gratuita: lo spettacolo de LES MISERABLES, in cartellone a Broadway (spettacolo vero: notiamo, tra gli altri, Alan Cumming, già in EYES WIDE SHUT e TITUS), che è un vero e proprio spot pubblicitario. C) il logo della VIRGIN, ripreso a lungo tra le teste dei due protagonisti (ma qui siamo nella norma). D) un brano dei CURE, che sinergia vuole appartengano al catalogo della stessa Virgin.
Forse dovremmo inventare una nuova categoria nel campo della settima arte: gli advertising-movie, i film che allungano all'ora e mezza la durata di uno spot tradizionale, con l'aggravante di contenere ben più gravi incursioni nel campo dell'etica personale.

Voto: 13/30

Gabriele FRANCIONI
17 - 08 - 01


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