
Niente appassionata dichiarazione d'amore; niente confetti e bomboniere;
niente sorrisi e sguardi languidi.
Un divorzio. E' un duro, arido, snervante divorzio magistralmente orchestrato
dalla signora giudice Lucia Poli il fulcro e la colonna portante
di un film originale e preciso, amaro e divertente.
Una commedia che parla d'amore nutrendosi di litigi, che descrive la vita
passando per un'espressione.
Vincente la trovata del flash back per ripercorrere, in stile processo
Perry Mason, le gioie e i dolori, la passione e la rabbia, l'amore e il
disinganno di due giovani trentenni che, superata la fase tardo-adolescenziale
descritta recentemente dall'applauditissimo Muccino (non lo avremo forse
sopravvalutato?!) si trovano ora ad affrontare, con l'ingenua immaturità
che sembra caratterizzare la nuova generazione chiamata in causa (è proprio
il caso di dirlo!), una prova di certo difficile e dolorosa, ma forse
per questo assolutamente necessaria.
La storia tra Davide (innamorato confuso e insicuro) e Giulia (studentessa
impulsiva e ansiosa di metter su famiglia), una grande storia -come la
definisce un convincente Claudio Santamaria dopo una parabola di incomprensioni,
bugie e tradimenti s'è ormai conclusa (ma sarà vero?). E' il momento della
resa dei conti, il momento della verità, il momento del rimpianto…
- "Voglio vedere come ne esci" - attacca Davide alla vista della bella
Giulia rigida e sprezzante all'interno dell'algida aula di marmo-incomunicabilità.
- "Senza di te" - lo liquida una vibrante Claudia Gerini (lodevole nella
sua interpretazione e impeccabile per abilità espessiva e caricaturale).
E' un film di volti, di sguardi, di smorfie!
Un'opera prima, questa di Taraglio, (ma non dobbiamo dimenticare la precedente
esperienza come aiuto sceneggiatore in COSÌ RIDEVANO di Gianni Amelio
- Leone d'oro nel '94 - e la realizzazione dell'episodio La Tv fa male
ai bambini all'interno del corpus DE GENERAZIONE - premio del pubblico
al Mysfest 1994-) che restituisce al primo piano classico tutta la sua
carica espressiva senza sminuirne l'aspetto grottesco e caricaturale (Chaplin
docet) che fa dei personaggi (prima tra tutti la giudice-di ferro) dei
modelli comportamentali, dei fenomeni sociali, degli stereotipi umani.
Al di là del limite obbiettivo che une tale scelta di regia comporta,
l'effetto complessivo e la resa straniante che traspare dalle espressioni
e dai gesti più che dalle situazioni contingenti (straordinaria la scena
girata nella casa scandinava in cui alla surreale freddezza e intransigenza
della posa lei frontale-lui laterale e degli sguardi lei immobile-lui
furbetto si contrappone la fastidiosa concretezza degli argomenti trattati
calcolo del ciclo mestruale-preservativi bucati di proposito) conferisce
alla narrazione un taglio fumettistico dando a tutta la storia quella
dose di teatralità da cui forse trae la sua maggiore forza.
Ancora da notare i preziosismi e la cura del particolare; l'inserimento
di personaggi apparentemente privi di senso, ma metaforicamente insostituibili
(la bambina cicciottella vestita di bianco al mancato matrimonio dei due);
la scelta di un finale aperto, ambiguo, irrazionalmente convincente come
la loro storia d'amore… come ogni storia d'amore… come ogni storia…
Non mancano certo le ingenuità e i cali di stile (ridicolo il professore
saccente che si approfitta della studentessa credulona), ma AMARSI PUÒ
DARSI è un bel lavoro nel complesso.
Un bel lavoro che, contrariamente a quanto dicono in molti, in comune
con il film di Muccino ha giusto il bravo Santamaria e la sfortuna di
essere uscito cronologicamente in ritardo - quasi come una timida appendice
ai capricci amorosi di Accorsi e compagni - pur possedendo invece i caratteri
e i meriti dell'opera totalmente autonoma.
Voto: 27/30
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