La masseria delle allodole

di Paolo e Vittorio Taviani

Con Alessandro Preziosi, Paz Vega

di Chiara DAINO

I fratelli Taviani, ormai testimoni diretti di un ragguardevole segmento di Storia, affermano di aver realizzato il film spinti da un generico senso di colpa: ritenevano intollerabile il peso di non aver mai affrontato con la loro arte la "shoah" armena del 1915, durante la quale i Nuovi Turchi, fascisti, sterminarono un milione di persone colpevoli di appartenere ad un'etnia accusata di appoggiare la Russia ancora non comunista scesa in guerra.
Seguendo un ragionamento solo parzialmente paradossale, la totale assenza di qualità de LA MASSERIA DELLE ALLODOLE sgombra il campo da valutazioni critiche di sorta e aiuta, come nel caso di altre opere di autori non più giovani (Monicelli), a sospendere il giudizio, ormai superfluo, e a concentrarsi sul documento. Forse l'età avanzata è matrice di un disincanto alternativamente declinato in forma di levigatissimi saggi di formalismo più o meno rinforzato da contenuti (IL MESTIERE DELLE ARMI, CANTANDO DIETRO I PARAVENTI, quindi Olmi prima di CENTOCHIODI), o di un documentarismo da soap opera pieno di malizia registica, aperto a ogni espediente espressivo adatto al piccolo schermo.
La categoria del regista anziano, insomma, sembra collocarsi a metà tra eccesso di scrupolo e opposta assenza di freni inibitori, quasi che il redde rationem al termine di una carriera comportasse comunque una revisione, uno scarto, un ripensamento parziale o totale dei propri codici espressivi.
LA MASSERIA DELLE ALLODOLE, come in parte LE ROSE DEL DESERTO, si pone quasi fuori dalla filmografia di chi l'ha concepito, pieno com'è di ammiccamenti ad un'estetica cheap, televisiva, asservita al dominio di primi piani invasivi e alle necessità di una drammaturgia elementare, che sovrappone visi inespressivi all'insondabile profondità della Tragedia, privilegiando vicende private rispetto al campo lungo dello sterminio di un popolo, non a caso rappresentato degnamente solo da immagini d'epoca.
La storia d'amore - ma solo secondo i trailer - tra l'ufficiale turco interpretato da Preziosi e l'armena Paz Vega non ha luogo, non c'è letteralmente, è puro pretesto pubblicitario e contribuisce semmai, come per tutti gli altri attori, alla composizione di un cast folle, istericamente multiverso perché obbligatoriamente specchio della co-co-coproduzione. Eliminata quindi l'unica giustificazione per la sovraesposizione dei corpi attoriali (le storie, che però non reggono, non ci sono), il film veicola solo l'informazione storica e per questo ha grandi, indiscutibili meriti.

Un secondo ordine di considerazioni, legato a tali meriti, ci obbliga a sgombrare il campo da possibili equivoci: in epoca di sentimenti no-global (condivisi), di antiamericanismo inteso come anti-bushismo (condiviso) e di opposizione radicale ai giochi di guerra destinati solo ad aumentare la forbice tra primo mondo e quarti, quinti universi vessati e maciullati dall'oscena greed a stelle e strisce (condivisa, l'opposizione), è bene evitare di descrivere univocamente la sfaccettata complessità del mondo islamico.
La Turchia, forse a un passo dall'entrata nella Comunità Europea, non può godere in nessun modo della benevolenza e solidarietà con la quale occorre guardare a Iraq o Palestina, per limitarci a due soli esempi: sia perché Istanbul è ampiamente occidentalizzata e non univocamente islamica, quindi non povera e assolutamente non vessata, sia perché, cosa assai più grave, la nazione turca si ostina a coltivare un nazionalismo ottuso e cieco di fronte all'evidenza della Storia, sia essa presente (l'infinita questione cipriota), sia essa passata (genocidio degli Armeni e espansionismo all-time verso i Balcani e non solo).
Il film dei Taviani, tratto dall'omonimo libro di Antonia Arslan (ma si veda anche il testo di Marcello Flores), va inteso leggendo tra le righe televisive il testo di pura informazione verso tutti coloro che nulla o poco sapevano di un genocidio che fece un milione di vittime, secondo solo alla mostruosità hitleriana. Un Paese che a distanza di quasi un secolo si ostina a negare l'evidenza solo per poter entrare nel consesso dei (presunti) grandi e che a intervalli regolari sembra cedere alla deriva nazionalista, forse non merita benevolenza e neppure l'apertura di credito che l'Europa, a fatica, sembra volergli concedere. Non sono e non devono essere i fantasmi di un Passato ancor più lontano a condizionare il giudizio (come se giudicassimo Roma e l'Italia, nel 2007, per il colonialismo imperialista di Cesare), ma l'idiozia di un atteggiamento politico-diplomatico odierno assolutamente da censurare, cui si devono anche le proteste contro questa stessa pellicola da parte del governo turco.
In definitiva, un film "da usare", magari insieme a opere di ben altro spessore, come VIAGGIO IN ARMENIA di Robert Guèdiguian e ARARAT di Atom Egoyan: due registi nati lontani dalla madre patria (in Francia e a Cipro), testimonianze viventi di un esodo crudele, figli o nipoti di una generazione quasi totalmente sterminata dai Turchi del 1915.
 

Voto: 21/30

29:03:2007

la masseria delle allodole
Regia: Paolo e Vittorio Taviani
Italia 2006, 117'
DUI: 23 marzo 2007
Genere: Drammatico