ALEXANDER

di Oliver Stone
Con: Colin Farrell, Angelina Jolie, Val Kilmer, Rosario Dawson

e con Jared Leto, Anthony Hopkins, Jonathan Rhys-Myers, Christopher Plummer

di Gabriele FRANCIONI

 

Parlare di un film spesso coincide con il dover decidere a quali aspetti della "produzione" nel suo complesso, e ai suoi eventuali molteplici significati non prettamente artistico-espressivi, dare maggiore spazio e rilievo.
ALEXANDER ci porta innanzitutto a chiederci dove mai siano finiti i 160 milioni di dollari spesi per la realizzazione. Non tanto o non solo perché se ne sottintenda un uso improprio o scriteriato, quanto perché veramente, calcoli alla mano, risulta incomprensibile come si sia arrivati a tanto. Il cast da solo e l'insieme delle comparse, oltre a location inusuali, sono certo voci importanti: ma la computer graphic, ormai, costa un po' meno degli anni passati.
O, se non è così, ci domandiamo che senso abbia strapagare i migliori creativi del settore per inturgidire via-montaggio Avid solo un paio di sequenze di battaglia, quando nel caso di Megalexandros era assolutamente necessario mostrarne almeno un altro paio in più. Il periodo iniziale delle campagne greche, ad esempio, e la distruzione di Tebe, o Persepoli città sacra data alle fiamme, sono episodi tranquillamente cassati da una specie di "ellissi" macro-temporale degna di un libro di storia dei giorni d'oggi. E l'Egitto? La fondazione di Alessandria, anche se avvenuta senza particolari spargimenti di sangue?
Alessandro Magno fu anche, certo non solo, un grandissimo stratega sul campo di battaglia e la comprensione visiva del suo genio sarebbe stata assai gradita.
Avremmo, cioè, gradito vedere rappresentati i movimenti detti "dell'incudine e del martello", grazie ai quali le schiere avversarie venivano prima compresse dalle falangi rettangolari di fanti armati di lance anche di 5/ 6 metri (inusuali e innovative), già sperimentate dal padre di Alessandro, il grande generale Filippo II (Kilmer...), e poi schiacciate da tergo, grazie all'accerchiamento della cavalleria. Se la potenza della C.G. deve esprimersi in qualche modo, meglio così, piuttosto che finalizzata a facilitare un ipermontaggio fastidioso (diecimila "tagli"? ventimila?), o a moltiplicare le comparse in battaglia, cosa che ormai fanno tutti i neo-pepla hollywoodiani, a cominciare da GLADIATOR. Ma va anche detto che quelle formichine viste dall'alto hanno un livello di definizione ancora inaccettabile, come succedeva per il pubblico del Colosseo di Ridley Scott, se si metteva ben a fuoco l'occhio, o per Achei e Troiani seminati sulla spiaggia di TROY. E i ritocchi da "Première 300.0", con piccolissimi ralenti e accelerazioni o la momentanea saturazione del colore, non hanno un senso e una giustificazione profondi, se non nella scena dello scontro con gli elefanti, virata verso un bel rosso autunnal-lisergico.
Ci siamo immaginati, durante la visione del film, dei campi lunghi o lunghissimi molto old style, molto "Lawrence d'Arabia", che avrebbero aiutato il film molto di più di questa orgia cromatico-cinetica. O anche i lentissimi zoom kubrickiani di BARRY LYNDON!
Ma Oliver Stone, oltre che un pasionario in acido che si fa spesso prendere la mano, è anche un americano al soldo delle major, checché ne dica lui stesso.
Se voleva realizzare un diario intimo, ma solo quello, dei dolori del giovane Alex in preda a visioni di gloria e a passioni omosex, non doveva servirsi del consueto partner (Warner Bros), ma di un piccolo produttore indipendente.
Il difetto principale del film sta proprio nella giustapposizione di segmenti di battaglia visivamente ipertrofici e vaste zone di racconto privato verboso, il tutto supportato dal consueto gigantismo kitsch dell'immarcescibile compositore Vangelis.

ALEXANDER è un'occasione mancata. Il film di una vita gestito con furia trasandata o, peggio, filmato non pensando tanto al risultato finale, quanto al piacere del sentirsi coinvolti in maniera troppo partecipe in una sorta di sprofondamento nella Storia, senza lucidità e professionalità.
I registi visionari, come Stone o Abel Ferrara, ma non solo loro, si perdono frequentemente nel "trip" della lavorazione, immergendosi fisicamente e mentalmente nel progetto attraverso il quale vogliono distaccarsi dalla realtà, forse nel tentativo di drogarsi per procura o, per così dire, "metaforicamente". Un conto era Fassbinder, portato a forza sui set, ma capace di tornare lucido per il tempo limitato delle riprese quotidiane, prima di tornare a sprofondare nella narcosi, Morto a 36 anni, produsse una sessantina di opere e diversi capolavori. Un altro conto sono coloro che campano su cospicui anticipi della produzione senza avanzare di un passo nel lavoro, immemori delle proprie splendide carriere.
Solo in particolari circostanze (JFK, PLATOON, TRA CIELO E TERRA) Stone è stato capace di controllare la materia trattata col necessario distacco e, spesso, la ricostruzione storica riguardava un periodo recente, da lui conosciuto e vissuto direttamente e raccontato con dovizia di particolari ed equilibrio tra invenzione e documentazione.

ALEXANDER, invece, non è troppo dissimile da THE DOORS, poiché analogo è il rapporto di amore e di disprezzo che Stone stabilisce con le due figure di visionari con le quali si confronta.
Megalexandros, come Jim Morrison, è un eroi morto in gioventù; entrambi furono capaci di immaginare e quindi mettere in pratica devastanti superamenti dei limiti percettivi della mente, coadiuvati in ciò da additivi di varia natura. Le doors of perception vennero già abbattute da Alessandro quando immaginava di raggiungere i limiti del conoscibile, fosse questo spaziale (le folli campagne in Asia nord-orientale e poi in India) o culturale e scientifico (la biblioteca d'Alessandria e le invenzioni tecnologiche là messe in pratica). Entrambi capaci di grandi atti di amore e di sadismo assoluto, entrambi amati ed odiati dai sodali o presunti tali, entrambi capaci di portare all'auto-distruzione alcune delle figure femminili che li circondavano.
Stone pensa di essere, o è effettivamente, portatore degli stessi tratti distintivi dei suoi eroi (anche J F Kennedy era un visionario) e in ciò sta la sua grandezza e ovviamente il suo limite.

ALEXANDER indugia molto sul condottiero bambino e adolescente, tra mancato rapporto edipico con la madre e amore contrastato verso il padre, del quale voleva essere la replica ingigantita.
Ma il tratteggio della figura di Olimpia, costantemente associata al simbolo del serpente e a tragiche raffigurazione "grottesche" ispirate a Medea e alla sua vicenda, è condotto seguendo un'attitudine ossessivo-compulsiva più del regista che del personaggio storico. Per quanto crudele e possessiva, Olimpia non può essere la summa del Male in chiave femminile, a meno che non si creda ad una misoginia del regista. Anche Roxane, la moglie afgana di Alessandro, segue lo schema e replica persino i tratti somatici della Jolie: entrambe donne-medusa, animalesche e androgine, aiutano a creare un solco netto tra universi maschile e femminile.
Non crediamo che così si fornisca un buon servizio alla Storia, poiché al di là di documentate discriminazioni, la donna macedone, greca, ma anche persiana (barbara), non era classificabile in categorie sommarie che la volevano alternativamente vittima-prostituta o matrona capace di ordire trame e tessere la tela attorno a chiunque.
La promiscuità e l'adulterio reali, inoltre, erano tipici di ogni epoca, per cui non sembra opportuno soffermarsi troppo a lungo sui contenziosi tra moglie e marito sulla paternità del condottiero.
Tutta la prima parte del film soffre di questa "ipertrofia" didascalica nel raccontare le vicende familiari. Anche la regia si siede presto su schematismi da "espressionismo" di secondissima mano, tra posizionamenti sghembi della m.d.p. e ossessione per il dettaglio, ma senza un attento studio dell'illuminazione contrastata (utile nel caso di Olimpia e Alessandro bambino, sino al momento del tentato omicidio da parte di Filippo) e con un decor solo apparentemente attento e documentato.
I blocchi narrativi si succedono un po' meccanicamente, con raccordi garantiti dalla sola voce fuori campo del narratore Tolomeo, che "salta" anni importantissimi e crea le ellissi di cui si diceva. Ritrovare il macedone improvvisamente cresciuto, dopo i brevi insegnamenti di Aristotele e le lunghe scene d'iniziazione teorica e pratica al binomio azione-vita ("assolo" di Filippo sul tema Gloria & Necessità del Dolore, supportato da rozze raffigurazioni di Eracle e Medea; dimostrazione di destrezza e potere magico-divino del piccolo eroe nel domare il cavallo Bucefalo), ci lascia sorpresi e indispettiti. Siamo già a Gaugamela e la storia è troppo spostata verso la fase "decadente" (o pre-ellenistica, se vogliamo considerarne la futura portata culturale) della vicenda storica del grande Re di tutti i popoli.

Per essere coerente con l'idea di Alessandro sensibile uomo di cultura, unificatore e pacificatore, simbolo di tolleranza verso etnie diversa dalla propria e, in definitiva, anticipatore della convivenza tra Oriente e Occidente quale sarebbe stata più volte auspicabile nei secoli, Oliver Stone avrebbe dovuto girare un film meno survoltato e meno attento all'altro tipo di "apertura" del condottiero: quella verso le varie forme di sessualità. Il regista è ossessionato dalle ambiguità, ma dimentica che nella Grecia del IV° secolo prima di Cristo certi schematismi o definizioni di precise identità sessuali non avevano cittadinanza alcuna.

Il tono epico della parte finale, che non riesce a toccare le corde della tragedia, sta tutto nell'incommensurabile grandiosità di una Fine fortemente voluta da Alessandro, che concepiva solo l'esplorazione di nuove mete, spazi, frontiere e spesso faceva riferimento all'Ade e alla volontà di gloria eterna ottenuta in una breve vita.
Precedentemente, la fase persiana risulta essere un po' troppo lunga, anche se non si può negare il fascino della malata ricostruzione scenografico-computeristica di Babilonia e della corte di Dario sottomessasi al nuovo re, con una efficace illuminazione dall'alto (naturale?) del palazzo appena conquistato e i cupi cromatismi orientali così diversi dalla lucentezza greca.

Il cast è anch'esso spesso sopra le righe, meno la Jolie, che non riesce ad essere veramente fatale o adeguatamente perversa. Farrell, al di là del set di parrucche, non è plausibile nelle vesti di Alexander the Gay, come lo hanno ribattezzato gli americani, specie se Efestione, la replica di Patroclo nel sogno del Re di essere Achille, ha la faccia inespressiva di Jared Leto, che con quelle "extension" avremmo visto meglio in PARTY MONSTER.
Da non dimenticare che il figlio di Alessandro e Roxane, fu ucciso tredicenne da Tolomeo, qui uno zoppicante Anthony Hopkins, e non da Cassandro.

Voto: 23/30

21:01:2005


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