
Membro della comunità ebraica di una città
argentina, Ariel (Hendler) lavora con la madre Sonia (Aizenberg) nel negozio
di biancheria intima di una galleria. Diviso fra la voglia di cambiare vita
e stabilirsi in Europa, e il desiderio di incontrare finalmente il padre (D’Elia),
partito per combattere in Israele quando lui era appena nato, Ariel
trascorre le giornate confrontandosi con l’eterogenea umanità della
galleria, nella inconsapevole ricerca della propria identità.
Anche se gli elementi di base sono quelli delle tante commedie multietniche
di moda negli ultimi anni, più o meno fedelmente ispirate alla letteratura
di Daniel Pennac, fra le maglie del vivace dialogo di questo film di Burman
(autore anche della sceneggiatura assieme a Marcelo Birmajer) affiora con
prepotenza la commedia statunitense, da Woody Allen a Kevin Smith, che il
regista argentino riadatta alla realtà del proprio paese sul bordo del
baratro. E anche se si poteva porre un maggior accento sugli aspetti seri
della vicenda, la descrizione pur ironica di tante piccole solitudini riesce
ad emanare efficacemente il senso di un malessere più ampio e radicato.
è forse da subordinare a
questo pessimismo e disorientamento di fondo la scelta di una regia
isterica, perennemente movimentata, tratto comune a molti registi emergenti
contemporanei dietro cui, spesso, non si cela nessuna vera esigenza se non
quella di apparire a tutti i costi originali, con l’inconveniente di perdere
qualcosa in efficacia espressiva. E se nel caso di Burman possiamo dirci
certi della sua sincerità, in alcuni momenti rimane l’ingombrante
conseguenza di un livellamento di immagini che si tramuta in appiattimento
narrativo, per cui di ciò che succede al protagonista alla fine ci interessa
poco, e il racconto rimane per lo più affidato alla brillantezza dei
dialoghi e alla stramberia dei personaggi e delle situazioni. Tutto sommato
poco male, tenendo conto che gli attori offrono davvero un’ottima prova (fra
tutti, ancor più di Hendler, premiato a Berlino, la Aizenberg) e le risate
non sono poche. Una piccola opera fresca e convincente che probabilmente
nutriva alcune aspirazioni più alte rimaste allo stato embrionale. Un
gioiello, comunque, nell’arrancante stagione cinematografica a cui stiamo
assistendo. Orso d’Argento a Berlino.
::: LO SCRIPT IN ESCLUSIVA :::
Voto: 25/30
06.06.2004
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