IL VESTITO DA SPOSA

di Fiorella Infascelli
Con:
Maya Sansa, Andrea Di Stefano

E con: Piera Degli Espositi, Chiara Conti, Alberto Cracco

di Federica FERRARI


Stella è in procinto di sposarsi, il suo vestito è quasi pronto. Stella assapora ogni istante dell’attesa, respira con tutto il suo essere il corso che sembra dettato da una rara armonia di sensi ed eventi quando di colpo l’incanto si rompe. Una violenza improvvisa quanto inspiegabile le mozza il fiato e le lacera l’anima. Quell’atto di brutalità ferina non viene indagato, ma viene sepolto nel silenzio, lasciando Stella chiusa nel suo dramma in preda ad ancestrali quanto incomunicabili turbamenti. Stella riesce ad uscire dal baratro solo prendendo decisioni radicali: lascia il fidanzato, gli studi e inizia a lavorare in una pasticceria. Intorno permane un clima di ovattati silenzi: il fidanzato esce dignitosamente di scena, la madre sopporta premurosamente senza commenti. La vita di Stella riprende all’insegna di una quotidianità senza ambizioni, e senza emozioni. Ma presto il cuore le torna a battere, e questa volta di una passione viscerale, ineluttabile quanto minata alla radice. Perché Franco non è per Stella uno sconosciuto e l’attrazione di lei non è del tutto nuova, ma affonda in un passato subconscio. Perché tanto meno per Franco Stella è una sconosciuta e il sentimento di lui si dimena nei meandri di una coscienza malata, schiacciato dal peso di indicibili trascorsi. Ma soprattutto, l’incontro tra Stella e Franco non è casuale. Ciò che lui sa, e drammaticamente, in lei si specchia in una tacita intesa che sfiora i più profondi desideri inconsci.

Perché a Stella non sembrano essere del tutto alieni gli strazi dell’animo di Franco: il passato li unisce ineluttabilmente e li affida a un destino in comune. Ciò che le parole non dicono, lo suggeriscono le inquadrature, gli sguardi, le pause, e i dettagli: Stella in un certo qual modo sa, anche se non fino a quel punto, ed acconsente. Perché il corteggiamento stesso di Franco si presenta fin da subito con un fascino deviato, ambiguo. E il retrogusto amaro è già percepibile dai suoi eccessi e dalle sue stranezze – l’acquisto di un’enorme quantità di paste per il primo appuntamento, a sorpresa, la scomparsa dopo il primo incontro, il conto del vestito saldato per dieci euro, senza controbattuta da parte di Stella, la sorpresa notturna in pasticceria, la reazione alla vista delle nudità di Stella. Tutto il comportamento di Franco è evidentemente riconducibile a un conflitto da amore proibito, che non può passare inosservato, neanche a Stella. Franco appare incapace di esprimere la sua passione se non come una lascivia da inibire, e come dolore. Franco è affascinante, ed allo stresso tempo castrante, ai suoi slanci si alternano strane ritrosie, passa dall’eccesso all’inibizione, segretamente si lacera nel senso di colpa. Insomma la passione di Franco è una passione amara, adombrata da lati tremendamente oscuri, da trascorsi di possesso ferino e coatto, agli antipodi di quella di Andrea, il marito mancato, che invece si esprime alla luce del sole, nella massima naturalezza pastorale, in una rara armonia degli affetti. E infatti questo diviene incomunicabile dal momento in cui Stella suo malgrado precipita nei più oscuri turbamenti. Non è un caso che Stella, da parte sua, passi questa relazione sotto silenzio, e soprattutto la tenga nascosta alla madre. E’ vero che la complicità della madre con l’ex fidanzato ci è stata presentata come un po’ eccessiva, fastidiosa, ed è vero che Stella plausibilmente sente il bisogno di tutelare la madre da ulteriori turbamenti emotivi, ma questo non basta a giustificare questo rigoroso silenzio. Piuttosto esso sembra il sintomo di una sensazione, di un presentimento inconscio di una verità allucinante.

Né Stella né Franco sono liberi dal passato, che pesa nella esperienza di lei come nella coscienza di lui e drammaticamente li unisce. Entrambi appaiono ineluttabilmente segnati da una ferita che non si rimargina, con una profonda differenza però: che la responsabilità, volens nolens va tutta a Franco.
La violenza subita ha impresso in Stella un segno indelebile. Le ha fatto toccare il fondo e le lasciato il gusto per il dolore, e forse, in nuce un attaccamento al suo carnefice. Le vie luminose dell’armonia – il matrimonio sereno, gli studi – non sono più percorribili per Stella, ridotta all’osso della sua anima, tornata alla radice dell’essenza. Solo i campi, il sorgere e il tramontare del sole, il sapore delle creme e delle marmellate, hanno ancora un senso per Stella; solo la natura, nel suo fascino e nella sua brutalità.
Anche Franco appare schiacciato dal passato, lacerato da quel gesto al di là della dignità umana, e nell’economia della relazione inizialmente quasi svantaggiato dal possesso esclusivo di una verità inconfessabile. Ma la morte improvvisa arriva a risolvere qualsiasi problematica in questo senso, togliendolo dall’empasse di una giustificazione impossibile.

E allora anche la fine, non è come molti hanno sostenuto, sintomo di dramma irrisolto, ma l’unica possibile soluzione a un dramma che non può avere parole per giustificarsi.
Certo questa fine non è catartica, non affranca i personaggi né soddisfa lo spettatore…
Del resto il film non contempla alcuna evoluzione del personaggio nella direzione di uno svolgimento al good-ending: né Stella né Franco si affrancano dal passato né si presentano le condizioni per cui saranno plausibilmente in grado di affrancarsene.
Anche se di nuovo possiamo notare una differenza: a scontare la pena della morte di Franco sarà Stella. La morte in quanto strumento risolutivo, non permette alcun riscatto e taglia ogni speranza, ma questa morte, pur presentandosi come l’unica soluzione plausibile nell’ottica di un amore impossibile alla radice, appare assurda quanto ingiusta: salva il colpevole e punisce l’innocente, disattendendo ulteriormente le aspettative dello spettatore.

Del resto tutto il film vede una sproporzione quasi strutturale dove l’elemento femminile appare in perenne svantaggio, inesorabilmente schiacciato dal maschile. Perché in tutta la vicenda è sempre Stella che paga, Stella che paga per un atto di violenza subito, e non denunciato in polizia, Stella che paga per la morte di Franco subito dopo aver scoperto l’arcano. Perché il peso del silenzio rimane solo a Stella, ad aggravare il lutto, mentre il senso di colpa di Franco si dissolve con la morte. Il dramma di Franco si trasferisce su Stella lasciandole una eredità scomoda. Se la violenza di Franco ha posto le condizioni per un’unione di dipendenza, la sua morte rompe quell’unione ma non senza lasciare conseguenze. Il carnefice muore lasciando sola la sua vittima, sola, nella condizione di vittima.
Sintomi di questo disequilibrio sono del resto reperibili anche in altri dettagli del film, ad esempio anche il precedente fidanzato di Stella appare in un qualche modo uscire più incolume dalla rottura del matrimonio, perché se non ci dato pensare che lo superi in modo indolore comunque di fatto non gli resta il segno dell’esperienza di Stella che infatti rimane solo a lei, incomunicabile e intrasferibile. Non da sottovalutare poi la situazione familiare di Stella che vede una figura materna che sopporta in silenzio e una figura paterna inesistente.

Certo alcune caratteristiche tecniche possono aver indotto le critiche meno indulgenti, che si sono soffermate sui dialoghi non sempre verosimili, o sulle scene un po’ troppo oleografiche. Ma a livello sostanziale non sembra che la struttura del film risenta di un irrisolto. E anche nell’equilibrio delle parti, forse è vero che alcuni personaggi potevano essere più curati, ma quel peso esorbitante della protagonista non va tutto a discapito degli altri ma è anche in parte funzionale a esprimerne la solitudine nel suo dramma, e forse anche in corrispondenza di un occhio narrante tendenzialmente legato al punto di vista della protagonista. Soprattutto per quanto riguarda il finale, il taglio brusco sembra un effetto voluto. A riprova di questo la riuscitissima trovata dell’anticipazione iniziale, che preludendo al finale circoscrive l’intero sviluppo nei confini di un cerchio che si chiude. Alla luce di questa esemplare circolarità lo spettatore solo alla fine rivede tutta la vicenda come un lungo flashback.

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02.04.2005


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