
Un improvviso rallentamento, una transizione controllata, una "dissolvenza"
usata per legare due mondi e due stili, due differenti modi di fare e
di intendere il cinema.
Questo accade all'inizio di R-XMAS/IL NOSTRO NATALE, l'ultima opera di
Abel Ferrara, che da un attacco in costume [la recita scolastica natalizia
della figlia dei protagonisti, un dominicano e una portoricana] passa
senza soluzione di continuità "dentro" una seconda introduzione, ambientata
nel negozio popolato da simulacri di consumismo come la barbie da due
milioni promessa alla bambina, e nell'appartamento alto-borghese della
coppia nei quartieri alti di New York.
Tale preambolo, una sorta di esposizione del lato "visibile" della loro
esistenza, confluisce a sua volta nel lato oscuro e "invisibile" della
stessa: l'auto dei due, lasciati i figli in compagnia della nonna-tata,
scorre dentro le viscere del Bronx e la realtà urbana che cambia sotto
i nostri occhi, viene riflessa dal sul parabrezza dell'auto, mentre anche
il commento musicale annuncia la discesa negli inferi.
Al rito religioso del Natale, alla riunione familiare sacra, si contrappone
con chiarezza assoluta la sacralità della famiglia "altra", quella laica
e affaristica degli altri dominicani riuniti attorno a un tavolo per tagliare
la droga prima dello smercio "al dettaglio" nelle strade popolate dalla
gente di colore.
Ferrara abbandona lo sperimentalismo visivo all-around dei precedenti
THE BLACK-OUT e NEW ROSE HOTEL, frutto in parte della separazione non
consensuale [ e momentanea?] dallo sceneggiatore di sempre, Nicky Sant
John, e torna nell'alveo della "famiglia", dei legami di sangue e della
loro celebrazione rituale, portandoci a pensare che, come spessissimo
nei singoli film del new-yorkese, anche nel complesso della sua opera
dobbiamo leggere un continuo alternarsi di ostinato peccare e altrettanto
ostinata ricerca del riscatto e della redenzione. In questo senso, parleremo
anche di una redenzione dello stile, perché a blocchi di film irregolari
e asimmetrici [ MS 45/ FEAR CITY; BAD LIUTENANT/ SNAKE EYES; BLACKOUT/
NEW ROSE ], vengono sempre fatte corrispondere singole opere "purificatrici",
nette e trattenute [ KING OF NEW YORK; THE FUNERAL; R-XMAS, appunto ],
che fanno pensare ad una profonda esigenza dell 'autore di analizzare
a fondo e tentare di superare ogni tipo di dicotomia presente in lui sia
a livello morale che estetico.
E non è, forse, neanche un caso che i primi appartengano alla categoria
delle storie di disperata solitudine e insistita, ma spesso fallimentare,
ricerca di una via alternativa alla famiglia classicamente intesa, mentre
i secondi narrano storie che prendono il via -e la propria ragion d'essere-
dalla presistenza di nuclei familiari [ anche la mafia lo è ].
Come dire che il credente Ferrara vive con perfetta consapevolezza la
necessità di entrare ed uscire dalla protezione/ costrizione rappresentata
da quella istituzione e la parallela urgenza di esperire il diabolico
e l' "angelico" sul piano artistico. Le due cose, necessariamente, vanno
insieme.
R-XMAS rientra quindi perfettamente all'interno di questa logica e intreccia
ulteriori rapporti a distanza col complesso dell'opera del regista: conflitti
tra etnie [ CHINA GIRL/ K.O. NEW YORK ]; droga [ ADDICTION/ BLACK OUT
], etc.
L' espiazione, poi, viene comunque giocata anche a livello dei contenuti,
oltre che dello stile: la voce del dubbio, qui parlata da ICE-T, il nero
che interviene nel racconto per consigliare alla moglie dello "spacciatore"
dominicano di abbandonare un'attività che porta la morte nel ghetto, si
insinua nella coscienza della moglie-macho [ la splendida Drea De Matteo
], icona di un matriarcato al quale tocca il compito di riportare l'ordine
morale in un mondo popolato da maschi inermi, strafatti o semplicemente
neutrali rispetto agli attacchi del Bene e del Male. Tanto è vero che,
nel finale, si avanza l'ipotesi che l'abbandono del traffico di stupefacenti
non possa poi diventare realtà, tutto e ancora per colpa di uomini piuttosto
che di donne. Queste, infatti, dopo la colpa di aver istigato i primi
al guadagno facile, si pentono e capiscono di dover intraprendere un passo
importante e definitivo. Non sappiamo onestamente se mostrare quest'ultimo
aspetto fosse nelle reali intenzioni di Ferrara, ma così almeno appare
dal film.
In definitiva, un'altra altissima dimostrazione della vitalità di uno
sguardo "morale" ed estetico sulle devastazioni [ etiche ed artistiche
] perpetrate nella città che ormai definitivamente rappresenterà nell'immaginario
di tutti noi, dopo l'11 settembre, il luogo di nascita e di morte della
modernità.
Voto: 30/30
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