IL DIARIO DI
BRIDGET JONES

di Sharon Maguire
con Renée Zellweger, Hugh Grant e Colin Firth



Con 11 milioni di copie in tutto il mondo e traduzioni in ben 30 lingue diverse, il diario di Bridget Jones, libro cult della scrittrice britannica Helen Fielding, diventa un film ed approda in Italia dopo aver sbancato i botteghini inglesi (con 2 settimane di programmazione aveva già coperto interamente i costi di produzione) e sedotto il pubblico U.S.A..
Bridget (Renée Zellweger) è una trentenne grassottella, single e con molta poca fiducia in se stessa. Lavora in una casa editrice ed è innamorata del suo capo, il bellissimo e sregolato Daniel Cleaver (Hugh Grant), che sembra proprio non essersi accorto della sua esistenza, almeno fino a quando Bridget non decide di cambiare vita (classico proposito di Capodanno!), di diminuire drasticamente sigarette e alcolici, di perdere almeno 10 chili e di cambiare look. Naturalmente tra il dire e il fare c’è una bella differenza, ma almeno un risultato lo ottiene: grazie a minigonne vertiginose e camicette trasparenti Bridget conquista il suo capo e vive con lui una specie di idilliaca quanto illusoria relazione. Ma i suoi problemi non sono finiti. In realtà Daniel si rivela il bellimbusto che sembrava e Bridget si ritrova, come sempre, a piangere sulla spalla dei suoi fedeli amici Shazzy (Sally Phillips), Jude (Shirley Henderson) e Tom (James Callis). Intanto sua madre continua a perseguitarla con indiscrete domande sulla sua condizione di zitella e a propinarle scapoloni attempati. Tutti tranne uno, Mark Darcy (Colin Firth), un avvocato divorziato e un po’ serioso, ma che, tutto sommato, si rivela essere un bravo ragazzo dalla spiccata sensibilità. Insomma la storia è quella che è e il film poggia tutto sulle battute del libro, anche a scapito dell’omogeneità e della fluidità del racconto. D’altra parte l’impresa non era facile per la regista Sharon Maguire, alla sua prima esperienza in un lungometraggio dopo tanti documentari e pubblicità. Ma se lo scopo non era quello di un’approfondita indagine sociologica sulle abitudini delle donne trentenni "senza marito" ci si aspettava almeno di vedere una commedia esilarante, anche con qualche trovata originale. Invece niente di tutto ciò. Il film è pieno di luoghi comuni e di una prevedibilità disarmante. L’unica cosa che davvero merita è vedere Hugh Grant nei panni dello "sciupafemmine", soprattutto con gli occhiali da sole all’ultima moda e i capelli spettinati. Brava anche Renée Zellweger: l’attrice texana ha dovuto prendere ben 10 chili per interpretare Bridget, oltre a numerose lezioni di dizione (la stessa Fielding era contraria ad affidare la parte ad un’attrice americana) e uno stage in incognito presso la casa editrice Picador. Azzeccatissima la colonna sonora con brani di Gabrielle, Chaka Khan, Eric Carmel, Geri Halliwell, Robbie Williams.
Eppure l’incipit prometteva bene: la prima scena vede Bridget in pigiama di flanella, con tanto di sigaretta e bicchiere pieno, che canta a squarciagola All by myself . E poi viene fuori che la ricetta della felicità è un avvocato noiosissimo, schiavo dei genitori, viziato e con poca personalità…Se proprio doveva riporre le sue speranze di riscatto in un uomo poteva almeno riprendersi Hugh Grant!

Voto: 22/30

Francesca MANFRONI
25 - 10 - 01


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