
Il
difetto principale di Steven Spielberg sta nell’essere, a livello comunicativo
e mediatico, l’esatto contrario di ciò che Kubrick rappresentava e rappresenterà
nell'universo del cinema: estremamente DIDATTICO, laddove il regista di
ARANCIA MECCANICA era assolutamente ENIGMATICO. E questo è anche il difetto
di un’opera destinata, insieme a EYES WIDE SHUT, a rimanere nella memoria
come progetto incompiuto del maestro newyorkese.
Il problema è che Spielberg, consapevole della necessità di far vivere
nel testo e nelle immagini l'idea kubrickiana originaria, alterna continuamente
fiaba e racconto scientifico, registro patetico e dissertazione fredda,
con la conseguenza di far assomigliare A.I. ad una specie di E.T. più
controllato e sostanzialmente discontinuo, anche se in ciò possiamo ritrovare
anche la vitalità della pellicola.
Per certi versi arriviamo anche a capire i motivi dello scarso successo
del film in patria, e la sensazione che ci rimane è quella di un non riuscito
innesto delle due anime all'interno di un solo corpo narrativo e apparato
visivo.
Spielberg spiega troppo fin dall'inizio, quando invece dovremmo muoverci
entro un sistema di segni da decifrare [la ricerca scientifica e i nuovi
robot "sensibili"], per poi lasciar spazio ad ampie zone riconducibili
al cinema di Kubrick, e conclude di nuovo col registro didattico e patetico
[l'indottrinamento anti-clonazione pronunciato dall'alieno al piccolo
Osment]. Ma non si può negare la fascinazione continua operata sia a livello
visivo, con continue invenzioni "controllate", equilibrate, sia sul piano
del racconto, che coinvolge lo spettatore nell’inseguimento psicologico
di un equilibrio affettivo da parte del piccolo robot David, una volta
abbandonato dalla famiglia. La produttrice Sonia Curtis ci ha detto del
totale trasporto di Spielberg durante le riprese, vissute con la stessa
partecipazione emotiva di SCHINDLER’S LIST: noi aggiungiamo che la squilibrata
materia messa a disposizione di chi guarda è talmente variegata e ricca,
che A.I. ci ha appassionato come forse neanche CLOSE ENCOUNTERS OF THE
THIRD KIND ed E.T..
Voto: 30/30
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1
- STANLEY KUBRICK
COME INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Stanley
Kubrick è morto come l'elaboratore HAL 9000: un'intelligenza artificiale
che si spegne nel momento in cui la sua utopia di controllo totale sulla
realtà circostante si mostra in quanto tale. Più che regista, Autore o
semplicemente persona, K. era una concentrazione di saperi e tecniche
autodotatesi di forma espressiva.
L'aneddotica cresciuta attorno al suo personaggio, descritto come "schizoide"
da Brian Aldiss, scrittore e sceneggiatore di "A. I. ", conferma l'impressione
di un conflitto continuo, se non di una scissione, tra l'entità K. e il
mondo circostante, sottoposto a quel processo di conoscenza-organizzazione-controllo.
Il senso del lavoro di Kubrick, del suo essere artificial intelligence,
era quello di produrre, al termine di uno scandaglio infinito delle implicazioni
etiche relative all'uso delle nuove scoperte della scienza e della tecnica,
"il" punto di vista sui grandi temi [guerra e regole del potere/grandezza
della Storia e miseria umana], all'interno di opere che si presentassero
come terminali e definitive rispetto all'argomento preso in esame.
Eppure, intrinseche al suo sforzo conoscitivo-organizzativo, erano sia
la consapevolezza del fallimento di questo "scandaglio", che la necessità
di rinnovare la sfida ciclicamente. Fallimento, sia bene inteso, solo
come condizione dettata dall'originaria imperfezione degli esseri umani,
dotati di una limitatissima intelligenza naturale.
In questo senso si spiega la convinzione che robot e computer fossero,
per così dire, più adattivi rispetto all'ambiente, all'environment-mondo
e alle sfide tecno-ecologiche poste dal confronto con esso. E che, in
definitiva, solo loro potessero affrontare i rischi di disastri ambientali
o riparare a quelli già prodotti dall'insipienza dell'uomo.
Kubrick dimostrò di non capire perché, nei confronti dei robot e degli
alieni protagonisti del cinema di fantascienza, si continuasse ad opporre
un atteggiamento ostile e persecutorio e perché - come in una sorta di
olocausto virtuale - questi venissero sistematicamente eliminati o semplicemente
odiati. Si chiedeva, da ebreo, perché si dovesse desiderare l'eliminazione
dei replicanti in rivolta di BLADE RUNNER, solo in quanto capaci di autocoscienza
della propria diversità: erano stati creati da esseri umani e dovevano
considerarsi figli diversi, ma sempre figli, quindi bisognosi di attenzioni.
L'alieno Kubrick preferiva pensarsi all'interno di enclàves popolate da
robot emarginati o cacciati, piuttosto che scendere a patti con i suoi
simili.
2
- PINOCCHIO O DEL ROBOT CHE VUOLE ESSERE AMATO
A.I. attraversa
25 anni della carriera di K., opera trasversale e, forse, volutamente
incompiuta, infinita.
Da un iniziale spunto del 1974, seguìto alla lettura del racconto SUPERTOYS
LAST ALL SUMMER LONG [Brian Aldiss, 1969], si arriva ai giorni nostri,
in un continuo montare e smontare la sceneggiatura, di volta in volta
affidata allo stesso Aldiss, Bob Shaw e Ian Watson, anch'egli scrittore
di fantascienza britannico.
SUPERTOYS racconta di un amore impossibile in un futuro sovrappopolato.
La disperata richiesta dell'affetto dei genitori, porta un bambino-robot,
acquistato per sopperire alla mancanza/assenza del figlio reale da una
famiglia in attesa di autorizzazione a procreare, a ricercare la propria
identità nel mondo reale. Pinocchio, come K. chiamava il protagonista,
percorre le tappe di un'odissea tra le rovine umane - comunque intese
- accompagnato dalla voce guida dell'orsacchiotto e dalla benevolenza
della Fata Turchina, ma finisce in una città di latta/Tin City, che ricorda
i campi di concentramento, dove si accumulano giocattoli e robot in disuso,
da utilizzare fino alla morte. Concentrando in un unico personaggio il
punto di vista di Danny-Doc in SHINING e quello di Hal 9000 in 2001, K.
ribadiva la sua totale sfiducia nel genere umano adulto, consegnando le
chiavi del futuro ad un androide disadattato. L'incontro con l'E.T. spielberghiano
l'aveva convinto, inoltre, della necessità di dare un volto più amichevole
all'intelligenza artificiale, anche se ciò aveva causato la fuga di Aldiss,
che credeva invece di dover lavorare ad una sorta di GUERRE STELLARI più
filosofico.
Proprio
perché convinto della centralità e dell'importanza delle intelligenze
artificiali nel mondo reale, nonché della necessità di evitare le incongruenze
di BLADE RUNNER, K. decise di ampliare il racconto di Aldiss, letteralmente
dando più vita e una diversa prospettiva d'azione al robot, che all'inizio
del racconto avrebbe dovuto essere l'unico superstite di una catastrofe
ambientale totale, conseguente allo scioglimento dei ghiacciai. Svegliato
da computer autoattivatisi a protezione del pianeta nella fase sommersa,
Pinocchio- David si sarebbe diviso tra compiti di salvatore del mondo
e percorsi a rebours nel proprio passato inesistente.
"A.I." è anche la personale discesa all'interno del cuore di tenebra da
parte dello stesso K., che fallisce e non porta a compimento il suo viaggio/odissea,
esattamente come i vari Dave Bowman, Alex De Barge, Barry Lyndon, Bill
Harford.
Traccia immateriale di qualcos'altro, segno o resto di un'azione mai agita,
ma straordinario diario di quel progetto concepito in funzione del proprio
fallimento, forse, almeno a livello inconscio, K. desiderava allungarne
i tempi di realizzazione in modo da arrivare al fatidico anno 2001. Ma
la continua deviazione verso progetti apparentemente minori [ARYAN PAPERS
e EYES WIDE SHUT], sembra confermare la chiave di lettura della progettazione,
della intenzionalità del non-finito.
A questo proposito, il secondo A. I. di Steven Spielberg, amico e confidente
di K., sembra già da ora porsi ereticamente come l'opposto del non-finito:
oggetto mediatico iper-comunicativo [dal sito dialogante e ricco di informazioni
- addirittura la webcam che scruta la lavorazione sul set - ai trailer
resi noti con grande anticipo sull'uscita americana, prevista per l'estate,
fino ai manifesti da tempo mostrati al pubblico], che ribalta gli assunti
kubrickiani dell'estensione infinita del controllo e della ricerca, decidendo
non di fallire ma di realizzare, non di autosospendersi in continuazione,
ma di concludere, non di esistere solo virtualmente come racconto di una
leggenda, ma di apparire ai festival.
E questo essere già nudo dell'oggetto filmico ARTIFICIAL INTELLIGENCE,
ci fa essere molto sospettosi e increduli di fronte a tanto misunderstanding
del senso di un'opera, di una carriera, di una vita. Più ancora di ciò
che potrà essere il probabile fraintendimento del significato del film.
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