LA CASA DEI 1000 CORPI 
di Rob Zombie
Con: Sid Haig, Bill Moseley, Sheri Moon, Karen Black

di Riccardo FASSONE


L'intreccio è quello classico dell'horror “rurale” d'oltreoceano: quattro ragazzotti più o meno attraenti e più o meno intelligenti si trovano a dover fare i conti con una congrega di psicopatici di varia foggia. HOUSE OF 1000 CORPSES, esordio dietro la macchina da presa per il poliedrico Rob Zombie, è, dunque, un'opera che trova le proprie fondamenta in topoi stilistici largamente assodati, tanto che, per certi versi, pare essere più vicino alla pietra miliare Non Aprite Quella Porta di quanto lo sia il discreto remake di Nispel. Detentore di un’originale ossessione per le bizzarrie e per le signorine belle e fatali (Sheri Moon ad esempio e, con un po’ di immaginazione, anche Karen Black), Rob Zombie mette in piedi una sgualcita tenda da circo sotto la quale fa esibire le più disparate creature, ponendole tutte sul palcoscenico ideale di una rappresentazione sgangherata ed eccessiva, un grandguignol post-contemporaneo nel quale “normali” (i ragazzi protagonisti, i poliziotti) e gli “anormali” (la nutritissima cricca di depravati) si distinguono solo per i costumi e le maschere che indossano, quasi a voler affogare nel sangue/passata di pomodoro ogni giudizio morale . Etica abolita, e non ci si aspettava altro da uno come il signor Zombie, in nome di una messa in scena sanguinaria ma al contempo stralunata, preponderantemente estetica e sottilmente simbolica a tratti (si pensi all’intero finale, quasi un rito santero in terra yankee), pregna di quell’immaginario fracassone ed orgogliosamente redneck che ritroviamo in HOUSE OF 1000 CORPSES quanto negli album, peraltro caldamente consigliati, di Mr. Zombie e rispettiva band.
Stilisticamente, pur essendo all’esordio, il regista dimostra di avere una certa dimestichezza con le armi del genere e di essere in grado di trovare un compromesso tra gli immancabili Hooperismi e certe soluzioni narrative e di montaggio interessanti per quanto non raffinatissime. Solarizzazioni improvvise, immagini al negativo, selvaggia commistione di diegetico ed extradiegetico sono all’ordine del giorno per Rob Zombie e, a ben vedere, non stonano nel contesto di generale anti-dogmatismo della pellicola. Interessante ma non perfetto il dispiegarsi del ritmo del film, che risente di momenti di leggera stanca e di qualche incertezza nel raggiungimento del climax di tensione; fa eccezione il finale, talmente delirante da risultare bello, se non altro visivamente, ed ottimamente ritmato, con tanto di visioni di gusto quasi Barkeriano e prepotente quanto inattesa commistione con l’elemento di delirio onirico sopito per tutto il film. Notevole, ed era lecito aspettarselo, anche la colonna sonora, che unisce suggestioni industriali a ventate di lisergico country rock. Film non imperdibile né, mi sembra chiaro, particolarmente rivelatore delle sorti del cinema a venire, ma tutto sommato intelligente nella sua sfrontata istintività ed intriso di una ammaliante visionarietà pop. Una specie di LAST HOUSE ON THE LEFT in salsa barbeque, insomma.
 

Voto: 26/30

29.07.2004

 


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