I
Giorni del Nitrato
I friuliani si sono
ormai abituati ad essere temporaneamente colonizzati. Sulla piccola Sacile è
calato un’altra volta uno sciame di anglofoni. Edicolanti e baristi si
sporgono dal bancone e strizzano gli occhi, nello sforzo di sormontare
l’impervia babele linguistica che ne sommerge il commercio. What?
Newspaper! Mineral water? With gas? Alla sera il caffè adiacente al
Teatro Zancanaro, epicentro delle proiezioni, viene animato da discussioni
sui film visti, sulla qualità dei restuari, sul volto di Louise Brooks o
sulle doti recitative di Mary Miles Minter, etc… e risuona delle svogliate
improvvisazioni dei pianisti che si rilassano tra un’esecuzione e l’altra.
L’impareggiabile dell’evento risiede nelle sue caratteristiche: un festival
che mobilita prestiti cinetecari, apparecchiature, proiezionisti e musicisti
adeguati, tutte “cose” necessarie per curare un programma di circa 160 film
non successivi agli anni 1930, più una sezione parallela dedicata
esclusivamente a profili biografici su registi ed attori del muto. Le
“Giornate del Cinema Muto” sono nate venticinque anni fa per volontà di una
mezza dozzina di appassionati, un pugno di visionari che mise in piedi in
tempi non favorevoli o interessati una pioneristica rassegna della durata di
un weekend sui film comici di Max Linder e di Cretinetti. Oggi il numero
degli aficionados è cresciuto a dismisura ed aumenta progressivamente
nel tempo. Sacile, soluzione provvisoria in attesa che finiscano i lavori
sulla struttura del Teatro Verdi di Pordenone, città natale dell’evento,
accoglie da ogni parte del mondo storici, critici, studiosi e famigerati
collezionisti di pellicole e di memorabilia. Vige una grande informalità, ma
niente cancella la sottile sensazione di essere capitati in mezzo ad una
cerchia esclusiva che consuma un grande rito: una famiglia per gli
habitué, ma un elité per i “novellini” che si sottopongono per la
prima volta alla maratona di visioni. L’organizzazione è sempre impeccabile,
meccanismo svizzero che deve vedersela con una platea fra le esigenti al
mondo. La platea, dal canto suo, riponde con devozione circondando l’evento
di un grande affetto. Si distingue lo zelo del direttore attuale, David
Robinson, il notorio biografo ufficiale di Charlie Chaplin, che presenta
diverse proiezioni con molta commozione ed una punta di humor assolutamente
british.

Harold Lloyd
Un film muto, oggi, è
quanto mai un’esecuzione che si propone con il carattere di un’esperienza
estetica assolutamente unica ed irripetibile, la cui riuscita dipende dalla
somma di diversi fattori: la condizione della copia e la qualità
dell’eventuale restauro, l’esecuzione musicale che l’accompagna, la
posizione nel programma, il “clima” che si viene a creare durante la
proiezione stessa. La proiezione di un film muto è un’esperienza estetica
irripetibile ed anche un’occasione di studio per chi si occupa di cinema e
di cultura visiva del Ventesimo Secolo, occasione che deve sempre essere
proposta secondo una particolare attenzione filologica. Molti da questo
punto i meriti del festival che nel corso degli anni ha promosso iniziative
che hanno rinfrescato o addirittura destato la ricerca su molti personaggi
importanti del primo cinema mondiale, promuovendo rassegne, celebrando idee
ed invitando i “sopravvissuti” di quel dorato e avventuroso periodo: le
stelle che sono venute in più occasioni personalmente (quest’anno “Baby
Peggy”).

Baby Peggy
Altre iniziative
importanti hanno accompagnato lo storico festival: da qui è partita una
serie di pubblicazioni collettive, ora pervenute al decimo volume, che
sondano anno per anno tutto il cinema di D. W. Griffith. Altro strumento è
la presenza del cosiddetto “Collegium”, una serie di simposi di
perfezionamento a cui partecipano studenti da tutto il mondo. Quest’anno è
nata anche una “Scuola di Musica per Immagini” rivolta a giovani
musicisti interessati a specializzarsi nell’arte della composizione della
musica per i film. Infine collateralmente alle proiezioni era possibile
ammirare una mostra intitolata “L’Ombra di Chaplin”, curata dal
giapponese Hiroyuki Ono e riguardante il particolare rapporto che Charlie
Chaplin intrattenne con un suo fidato collaboratore nipponico: Toraichi
Kono.

Charlie
Chaplin e Toraichi Kono
La mostra comprende foto
inedite della Hollywood degli anni Venti e Trenta. L’intento finale degli
organizzatori è di sfatare l’impressione, o forse il pregiudizio, che
guardare film muti sia una pratica nostalgica ed inattuale, o come dice
Robinson “un eccentrico hobby per le vecchie generazioni”, una coperta di
Linus insomma, ed avvicinare le nuove leve alle bellezze di “un’arte sempre
vitale e giovane”, quale realmente essa trova posto nel patrimonio culturale
dell’Umanità.

Felix The Cat
Anche l’edizione di quest’anno era riccamente articolata in diverse sezioni.
La retrospettiva al centro del programma era dedicata alla casa di
produzione danese Nordisk film, una delle poche nate nel periodo e
tuttora attive. Proprio questo fattore ha impedito la dispersione del
patrimonio delle pellicole mute della ditta, detentrice nel corso degli Anni
Dieci di un primato di eccellenza tecnica nel contesto europeo, grazie alla
lungimiranza del suo fondatore Ole Olsen (1863-1943), abile uomo
d’affari in grado di fiutare la direzione dei gusti del pubblico. La Nordisk
si impose in tutto il mondo grazie alle sue vedette internazionali, in primo
luogo grazie all’esplosione del successo di Asta Nielsen, la prima Diva
cinematografica propriamente detta, o a Valdemar Psilander, detto il
Valentino danese, ed in generale grazie alla frisson erotica nella
pruriginosa serie imperniata sulla “tratta delle schiave bianche” o nei
numerevoli film a sfondo esotico in cui l’intento gnomico celava appena
l’esibizione voyeuristica. Nel corso del Venti la casa in difficoltà spesso
cercò di accodarsi al successo dei film hollywoodiani, di cui imitava lo
stile e la scelta dei soggetti. Altri notevoli film danesi mostrati sono
stati Atlantis (August
Blom, 1913) ipertrofico metraggio per l’epoca, ed il capolavoro
Klovnen (La
maschera della vita, di A.W. Sandberg, 1926), melodramma di
derivazione lirica, dotato di travolgente fascino visivo. Le ottime copie
mostrate godevano quasi tutte di un’ottima colorazione. Sono rimasto colpito
dalla freschezza e dall’attualità di alcuni di questi film, come nel caso di
Nedbrudte nerver (tr.
nervi logori, The Hill Park Mistery,
A. W. Sandeberg, 1923). Si tratta di una detective story ad espisodi
che avrebbe potuto essere girata l’altro ieri, una riuscita parodia del
genere del serial poliziesco, alla Nick Carter, il che dimostra quanto la
circolazione di questo genere di serial derivati dalla letteratura popolare
avesse in quegli anni già saturato lo sguardo, ma con un forte grado
meta-cinematografico: si pensi che il protagonista è un giornalista di
tabloid che crede di aver visto un delitto dalla finestra di casa. Ma in
realtà la presunta assassina stava recitando in un film!
La consueta tappa
dedicata a David W. Griffith ha presentato la produzione del bienno
1919-20 in cui spiccano True Heart
Susie, del 1919, con la sublime Lillian Gish, e
Way Down East (Agonia sui Ghiacci).
Un’altra sezione è stata
dedicata a Thomas H. Ince, uno dei primi grandi tycoon ad
organizzare un controllo assoluto del sistema produttivo. Ince creò
un’enorme ranch, un insieme di moderni studios cinematografici, chiamato
egocentricamente "Inceville", in cui attori, comparse e maestranze vivevano
per realizzare film a getto continuo.

Inceville
Una sezione è stata invece dedicata al rapporto tra Cinema e Magia.
Mentre Hollywood si accinge a realizzare un altro biopic sulla vita di
Harry Houdini qui sono stati mostrati i mitici stunts del mitico
“self-liberator”, che davanti a folle oceaniche raccolte nelle avenue della
metropoli, tra grattacieli svettanti, si liberava da una camicia di forza
appeso per i piedi a diversi metri d’altezzi ad una gru, o si tuffava
ammanettato da un ponte. Hanno completato il programma un trailer ed il
frammento sopravvissuto di Terror
Island (L’isola del terrore, James Cruze, 1920) un
cliffahanger basato sugli innumerevoli exploits del mago che entra ed esce
da un sommergibile, grazie a sensazionali apnee. Nella sezione hanno trovato
posto anche i “film a trucchi”, delle origini ad opera di Gaston Velle,
Georges Méliès, Segundo de Chomón e molti altri prestigiatori
e pionieri dell’effetto speciale che concepivano il cinema come l’esibizione
di numeri d’attrazione.

Harry Houdini
Una sezione importante è stata dedicata al
cinema muto italiano,
con la proposizione dei due restauri di
Cabiria di Giovanni
Pastrone, la versione muta del 1914 e quella sonorizzata del 1931 (il
film fu firmato da Gabriele D’Annunzio dietro compenso, astuzia escogitata
da Pastrone per scopi di legittimazione culturale; D’Annunzio acconsentì
sprezzante, ma soltanto, ebbe a dire, per pagarsi “la carne rossa per i
levrieri”). I restauri sono stati commissionati dal Museo del Cinema di
Torino e dalla Fondazione Adriana Prolo e sono stati realizzati
dal laboratorio di Bologna “L’Immagine Ritrovata”.

Nella stessa sezione ha trovato giustamente posto il frutto di
Cabiria: aver speso al cinema
il massimo nome del decadentismo ha prodotto il superuomo pop di massa: il
Maciste di Luigi Romano
Borgnetto e Vincenzo Denizot del 1915. Il forzuto Bartolomeo
Pagano, lo schiavo numida in Cabiria, ormai spezza catene e cammina da
solo per avventurarsi in una saga che durerà molto a lungo, ma di cui un
recente capitolo nella saga ancor più travagliata della storia dei restauri
è il Maciste innamorato di
Borgnetto.
Non sono mancate alcune
"Silly Symphonies" disneyane, che secondo i cultori del genere rappresentano
un picco nella sperimentazione sulla resa del movimento animato e sulla
sincronizzazione tra immagine e suono. In occasione è stato presentato al
Festival il bel volume di Russell Merritt e J.B. Kaufman pubblicato
dalla stessa Cineteca del Friuli che si propone come la prima storia
e guida esaustiva a questi film.

Altre pietre miliari
dell’animazione in mostra sono stati alcuni
Felix The Cat di Osvald
Mesmer e dei film di Max Fleischer, dove il mondo diviene una
messe di simbolicità angosciata, aggressiva rivelazione di una natura
tormentata e tutto trasuda uno sgradevole senso di profazione delle forme in
un mondo di polimorfica cera.
Ma forse il vero evento di Sacile è stato il restauro curato della
George Eastman House di The Big
Parade di King Vidor, del 1925. Il film è un potente affresco
antibellicistico basato sull’esperienza delle truppe americane in Francia,
vista dagli occhi di un americano ingenuo e fiducioso, interpretato da
John Gilbert.

Il soldato compirà un doloroso percorso di maturazione e di presa coscienza
del male in una serie di tappe scandite al ritmo di una grande parata: la
parata patriottica e guerrafondaia che lo conduce ad arruolarsi, quella in
cui le truppe s’insidiano in Francia, ancora cariche di ideali e di
spensieratezza, periodo idilliaco in cui il soldato consolida i rapporti
umani con i suoi commiltoni e scopre l’amore; quella che lo conduce al
massacro delle trincee, e quella che riporta i reduci del conflitto a casa:
lugubre parata di feriti e mutilati. Il film ancor oggi non perso un grammo
di potenza e si conferma come uno dei film più significativi di tutti tempi.
L’orrore della guerra viene catturato in tutta la sua portata. Il controllo
assoluto della regia si traduce in uno straordinario lavoro sugli spazi,
sulla messa in scena delle comparse, sull’orchestrazione delle scene di
guerra di notevole impatto realistico: un trionfo di arte e tecnica. Sul
film non a caso esiste una folta trattatistica critica di cui segnaliamo
almeno le pagine di Giame Alonge in: “Il Cinema di Guerra Americano,
1968-1999”. Ma l’opportunità di vederlo in pellicola è stata impagabile,
considerata anche la strordinaria performance pianistica di Neil Brandt,
da molti considerato il miglior pianista di sonorizzazzione al mondo, che
durante l’esecuzione è caduto in una sorta di trance, pervenendo a livelli
di ispirata improvvisazione che lui stesso ha considerato, in un successivo
comunicato stampa, un punto di non ritorno nella sua carriera.
Il fim ha rimato con un
altro evento speciale del Festival: la proposizione del notevole
documentario del 1916 The Battle of
the Somme sul sanguinoso episodio delle immani perdite britanniche
nella Grande Guerra, film passato al setaccio dagli storici del periodo, ma
anche da numerosi registi di film di guerra in cerca di documentazione
visiva.
Infine resta doveroso
ricordare l’omaggio ad un film straordinario, il più noto di Augusto
Genina: Prix de beauté (Miss
Europa, 1930). Protagonista la fiammeggiante icona del cinema muto,
la divina Louise Brooks.

Louise Brooks
Da segnalare fra gli
altri anche l’evento musicale della proiezione di
Preferisco l’ascensore, Safety Last!,
di Fred Newmeyer, acutissimo spaccato sulla frenesia dell’America
alle prese con la depressione e con i sogni di gloria degli anni Venti,
interpretato da un geniale ed acrobatico Harold Lloyd.
Accompagnamento musicale di un ensemble formato da una rosa di musicisti
d’eccellenza: il "Prima Vista Social Club".
Sacile, 15:10:2006 |