25.MO PORDENONE SILENT FILM FESTIVAL

07/14:10:2006

SACILE

 

di Davide GHERARDI

 

I Giorni del Nitrato

I friuliani si sono ormai abituati ad essere temporaneamente colonizzati. Sulla piccola Sacile è calato un’altra volta uno sciame di anglofoni. Edicolanti e baristi si sporgono dal bancone e strizzano gli occhi, nello sforzo di sormontare l’impervia babele linguistica che ne sommerge il commercio. What? Newspaper! Mineral water? With gas? Alla sera il caffè adiacente al Teatro Zancanaro, epicentro delle proiezioni, viene animato da discussioni sui film visti, sulla qualità dei restuari, sul volto di Louise Brooks o sulle doti recitative di Mary Miles Minter, etc… e risuona delle svogliate improvvisazioni dei pianisti che si rilassano tra un’esecuzione e l’altra. L’impareggiabile dell’evento risiede nelle sue caratteristiche: un festival che mobilita prestiti cinetecari, apparecchiature, proiezionisti e musicisti adeguati, tutte “cose” necessarie per curare un programma di circa 160 film non successivi agli anni 1930, più una sezione parallela dedicata esclusivamente a profili biografici su registi ed attori del muto. Le “Giornate del Cinema Muto” sono nate venticinque anni fa per volontà di una mezza dozzina di appassionati, un pugno di visionari che mise in piedi in tempi non favorevoli o interessati una pioneristica rassegna della durata di un weekend sui film comici di Max Linder e di Cretinetti. Oggi il numero degli aficionados è cresciuto a dismisura ed aumenta progressivamente nel tempo. Sacile, soluzione provvisoria in attesa che finiscano i lavori sulla struttura del Teatro Verdi di Pordenone, città natale dell’evento, accoglie da ogni parte del mondo storici, critici, studiosi e famigerati collezionisti di pellicole e di memorabilia. Vige una grande informalità, ma niente cancella la sottile sensazione di essere capitati in mezzo ad una cerchia esclusiva che consuma un grande rito: una famiglia per gli habitué, ma un elité per i “novellini” che si sottopongono per la prima volta alla maratona di visioni. L’organizzazione è sempre impeccabile, meccanismo svizzero che deve vedersela con una platea fra le esigenti al mondo. La platea, dal canto suo, riponde con devozione circondando l’evento di un grande affetto. Si distingue lo zelo del direttore attuale, David Robinson, il notorio biografo ufficiale di Charlie Chaplin, che presenta diverse proiezioni con molta commozione ed una punta di humor assolutamente british.

 

Harold Lloyd

 

Un film muto, oggi, è quanto mai un’esecuzione che si propone con il carattere di un’esperienza estetica assolutamente unica ed irripetibile, la cui riuscita dipende dalla somma di diversi fattori: la condizione della copia e la qualità dell’eventuale restauro, l’esecuzione musicale che l’accompagna, la posizione nel programma, il “clima” che si viene a creare durante la proiezione stessa. La proiezione di un film muto è un’esperienza estetica irripetibile ed anche un’occasione di studio per chi si occupa di cinema e di cultura visiva del Ventesimo Secolo, occasione che deve sempre essere proposta secondo una particolare attenzione filologica. Molti da questo punto i meriti del festival che nel corso degli anni ha promosso iniziative che hanno rinfrescato o addirittura destato la ricerca su molti personaggi importanti del primo cinema mondiale, promuovendo rassegne, celebrando idee ed invitando i “sopravvissuti” di quel dorato e avventuroso periodo: le stelle che sono venute in più occasioni personalmente (quest’anno “Baby Peggy”).

 

Baby Peggy

 

Altre iniziative importanti hanno accompagnato lo storico festival: da qui è partita una serie di pubblicazioni collettive, ora pervenute al decimo volume, che sondano anno per anno tutto il cinema di D. W. Griffith. Altro strumento è la presenza del cosiddetto “Collegium”, una serie di simposi di perfezionamento a cui partecipano studenti da tutto il mondo. Quest’anno è nata anche una “Scuola di Musica per Immagini” rivolta a giovani musicisti interessati a specializzarsi nell’arte della composizione della musica per i film. Infine collateralmente alle proiezioni era possibile ammirare una mostra intitolata “L’Ombra di Chaplin”, curata dal giapponese Hiroyuki Ono e riguardante il particolare rapporto che Charlie Chaplin intrattenne con un suo fidato collaboratore nipponico: Toraichi Kono.

 

Charlie Chaplin e Toraichi Kono

 

La mostra comprende foto inedite della Hollywood degli anni Venti e Trenta. L’intento finale degli organizzatori è di sfatare l’impressione, o forse il pregiudizio, che guardare film muti sia una pratica nostalgica ed inattuale, o come dice Robinson “un eccentrico hobby per le vecchie generazioni”, una coperta di Linus insomma, ed avvicinare le nuove leve alle bellezze di “un’arte sempre vitale e giovane”, quale realmente essa trova posto nel patrimonio culturale dell’Umanità.


Felix The Cat


Anche l’edizione di quest’anno era riccamente articolata in diverse sezioni. La retrospettiva al centro del programma era dedicata alla casa di produzione danese Nordisk film, una delle poche nate nel periodo e tuttora attive. Proprio questo fattore ha impedito la dispersione del patrimonio delle pellicole mute della ditta, detentrice nel corso degli Anni Dieci di un primato di eccellenza tecnica nel contesto europeo, grazie alla lungimiranza del suo fondatore Ole Olsen (1863-1943), abile uomo d’affari in grado di fiutare la direzione dei gusti del pubblico. La Nordisk si impose in tutto il mondo grazie alle sue vedette internazionali, in primo luogo grazie all’esplosione del successo di Asta Nielsen, la prima Diva cinematografica propriamente detta, o a Valdemar Psilander, detto il Valentino danese, ed in generale grazie alla frisson erotica nella pruriginosa serie imperniata sulla “tratta delle schiave bianche” o nei numerevoli film a sfondo esotico in cui l’intento gnomico celava appena l’esibizione voyeuristica. Nel corso del Venti la casa in difficoltà spesso cercò di accodarsi al successo dei film hollywoodiani, di cui imitava lo stile e la scelta dei soggetti. Altri notevoli film danesi mostrati sono stati Atlantis (August Blom, 1913) ipertrofico metraggio per l’epoca, ed il capolavoro Klovnen (La maschera della vita, di A.W. Sandberg, 1926), melodramma di derivazione lirica, dotato di travolgente fascino visivo. Le ottime copie mostrate godevano quasi tutte di un’ottima colorazione. Sono rimasto colpito dalla freschezza e dall’attualità di alcuni di questi film, come nel caso di Nedbrudte nerver (tr. nervi logori, The Hill Park Mistery, A. W. Sandeberg, 1923). Si tratta di una detective story ad espisodi che avrebbe potuto essere girata l’altro ieri, una riuscita parodia del genere del serial poliziesco, alla Nick Carter, il che dimostra quanto la circolazione di questo genere di serial derivati dalla letteratura popolare avesse in quegli anni già saturato lo sguardo, ma con un forte grado meta-cinematografico: si pensi che il protagonista è un giornalista di tabloid che crede di aver visto un delitto dalla finestra di casa. Ma in realtà la presunta assassina stava recitando in un film!

La consueta tappa dedicata a David W. Griffith ha presentato la produzione del bienno 1919-20 in cui spiccano True Heart Susie, del 1919, con la sublime Lillian Gish, e Way Down East (Agonia sui Ghiacci).

Un’altra sezione è stata dedicata a Thomas H. Ince, uno dei primi grandi tycoon ad organizzare un controllo assoluto del sistema produttivo. Ince creò un’enorme ranch, un insieme di moderni studios cinematografici, chiamato egocentricamente "Inceville", in cui attori, comparse e maestranze vivevano per realizzare film a getto continuo.

 

Inceville


Una sezione è stata invece dedicata al rapporto tra Cinema e Magia.
Mentre Hollywood si accinge a realizzare un altro biopic sulla vita di Harry Houdini qui sono stati mostrati i mitici stunts del mitico “self-liberator”, che davanti a folle oceaniche raccolte nelle avenue della metropoli, tra grattacieli svettanti, si liberava da una camicia di forza appeso per i piedi a diversi metri d’altezzi ad una gru, o si tuffava ammanettato da un ponte. Hanno completato il programma un trailer ed il frammento sopravvissuto di Terror Island (L’isola del terrore, James Cruze, 1920) un cliffahanger basato sugli innumerevoli exploits del mago che entra ed esce da un sommergibile, grazie a sensazionali apnee. Nella sezione hanno trovato posto anche i “film a trucchi”, delle origini ad opera di Gaston Velle, Georges Méliès, Segundo de Chomón e molti altri prestigiatori e pionieri dell’effetto speciale che concepivano il cinema come l’esibizione di numeri d’attrazione.

 

Harry Houdini


Una sezione importante è stata dedicata al cinema muto italiano, con la proposizione dei due restauri di Cabiria di Giovanni Pastrone, la versione muta del 1914 e quella sonorizzata del 1931 (il film fu firmato da Gabriele D’Annunzio dietro compenso, astuzia escogitata da Pastrone per scopi di legittimazione culturale; D’Annunzio acconsentì sprezzante, ma soltanto, ebbe a dire, per pagarsi “la carne rossa per i levrieri”). I restauri sono stati commissionati dal Museo del Cinema di Torino e dalla Fondazione Adriana Prolo e sono stati realizzati dal laboratorio di Bologna “L’Immagine Ritrovata”.

 


Nella stessa sezione ha trovato giustamente posto il frutto di Cabiria: aver speso al cinema il massimo nome del decadentismo ha prodotto il superuomo pop di massa: il Maciste di Luigi Romano Borgnetto e Vincenzo Denizot del 1915. Il forzuto Bartolomeo Pagano, lo schiavo numida in Cabiria, ormai spezza catene e cammina da solo per avventurarsi in una saga che durerà molto a lungo, ma di cui un recente capitolo nella saga ancor più travagliata della storia dei restauri è il Maciste innamorato di Borgnetto.

 

Non sono mancate alcune "Silly Symphonies" disneyane, che secondo i cultori del genere rappresentano un picco nella sperimentazione sulla resa del movimento animato e sulla sincronizzazione tra immagine e suono. In occasione è stato presentato al Festival il bel volume di Russell Merritt e J.B. Kaufman pubblicato dalla stessa Cineteca del Friuli che si propone come la prima storia e guida esaustiva a questi film.

 

 

Altre pietre miliari dell’animazione in mostra sono stati alcuni Felix The Cat di Osvald Mesmer e dei film di Max Fleischer, dove il mondo diviene una messe di simbolicità angosciata, aggressiva rivelazione di una natura tormentata e tutto trasuda uno sgradevole senso di profazione delle forme in un mondo di polimorfica cera.

Ma forse il vero evento di Sacile è stato il restauro curato della George Eastman House di The Big Parade di King Vidor, del 1925. Il film è un potente affresco antibellicistico basato sull’esperienza delle truppe americane in Francia, vista dagli occhi di un americano ingenuo e fiducioso, interpretato da John Gilbert.

 


Il soldato compirà un doloroso percorso di maturazione e di presa coscienza del male in una serie di tappe scandite al ritmo di una grande parata: la parata patriottica e guerrafondaia che lo conduce ad arruolarsi, quella in cui le truppe s’insidiano in Francia, ancora cariche di ideali e di spensieratezza, periodo idilliaco in cui il soldato consolida i rapporti umani con i suoi commiltoni e scopre l’amore; quella che lo conduce al massacro delle trincee, e quella che riporta i reduci del conflitto a casa: lugubre parata di feriti e mutilati. Il film ancor oggi non perso un grammo di potenza e si conferma come uno dei film più significativi di tutti tempi. L’orrore della guerra viene catturato in tutta la sua portata. Il controllo assoluto della regia si traduce in uno straordinario lavoro sugli spazi, sulla messa in scena delle comparse, sull’orchestrazione delle scene di guerra di notevole impatto realistico: un trionfo di arte e tecnica. Sul film non a caso esiste una folta trattatistica critica di cui segnaliamo almeno le pagine di Giame Alonge in: “Il Cinema di Guerra Americano, 1968-1999”. Ma l’opportunità di vederlo in pellicola è stata impagabile, considerata anche la strordinaria performance pianistica di Neil Brandt, da molti considerato il miglior pianista di sonorizzazzione al mondo, che durante l’esecuzione è caduto in una sorta di trance, pervenendo a livelli di ispirata improvvisazione che lui stesso ha considerato, in un successivo comunicato stampa, un punto di non ritorno nella sua carriera.

Il fim ha rimato con un altro evento speciale del Festival: la proposizione del notevole documentario del 1916 The Battle of the Somme sul sanguinoso episodio delle immani perdite britanniche nella Grande Guerra, film passato al setaccio dagli storici del periodo, ma anche da numerosi registi di film di guerra in cerca di documentazione visiva.

Infine resta doveroso ricordare l’omaggio ad un film straordinario, il più noto di Augusto Genina: Prix de beauté (Miss Europa, 1930). Protagonista la fiammeggiante icona del cinema muto, la divina Louise Brooks.

 

Louise Brooks

 

Da segnalare fra gli altri anche l’evento musicale della proiezione di Preferisco l’ascensore, Safety Last!, di Fred Newmeyer, acutissimo spaccato sulla frenesia dell’America alle prese con la depressione e con i sogni di gloria degli anni Venti, interpretato da un geniale ed acrobatico Harold Lloyd. Accompagnamento musicale di un ensemble formato da una rosa di musicisti d’eccellenza: il "Prima Vista Social Club".

 

Sacile, 15:10:2006