L'opera di Paolo Fazzini, ormai uno dei massimi esperti internazionali nel
campo della materia trattata (l'horror italiano dal dopoguerra ai nostri
giorni), si arricchisce di un altro importantissimo capitolo: la seconda
parte del corpus di interviste condotte insieme ai Maestri del
genere, completata da alcuni imprescindibili inserti dell'ultima ora
riguardanti la scena più recente della produzione orientata al solo mercato
dell'home video (Fratter).
Considerato, poi, che il testo GLI ARTIGIANI DELL'ORRORE, uscito l'inverno
scorso e premiato con un ottimo successo di pubblico e positivamente accolto
dalla stampa, raccoglie la quasi totalità delle interviste presenti sia in
HANGING SHADOWS che in LE OMBRE DELLA PAURA, se ne evince che gli
appassionati ed esperti del genere non possono assolutamente prescindere da
una tale quantità e qualità di interventi, riordinati e assemblati con cura
e taglio critico assolutamente originali e pertinenti allo stesso tempo, per
poter affrontare seriamente un'importantissima categoria del cinema
nostrano.
Come il testo-intervista di Truffaut è da tempo il "libro da comodino" di
tutti gli studiosi di Alfred Hitchcock, similmente l'opera dell'ascolano ha
un posto fisso nella video/biblioteca dei cinefili e critici attenti agli
sviluppi di ciò che, ormai Fazzini lo ha chiarito con grande lucidità
interpretativa, non va più considerata una zona d'ombra del cinema italiano,
ora che sono stati sdoganati i lavori non solo di Sergio Martino, Lucio
Fulci - se ce ne fosse stato bisogno - ma anche le pellicole di Lamberto
Bava, Michele Soavi o Sergio Stivaletti, seppur con notevoli differenze
puntualmente rilevate dall'autore.
Eppure, in un contesto che tende a recuperare in maniera talvolta
superficiale e, per così dire, "generalista" l'intera produzione
riconducibile sotto la denominazione di cinema "trash" (si veda la pletora
di uscite in edicola di dvd che celebrano le gesta e l'estro di maestri
della recitazione quali Bombolo o Alvaro Vitali o l'ammiccamento di
ex-critici di vaglia verso ambienti frequentati dalla neo-intellighenzia
romana e annessi notevoli esponenti, quali Er Piotta), Fazzini conduce
ostinatamente la sua ricerca sui binari di analisi colte e mai scontate, che
all'osservazione volta a sviscerare i contenuti squisitamente estetici,
associa un sottilissimo tracciato secondario, ovvero un sottotesto rivolto
ad approfondire il contesto socio-politico in cui le opere vennero prodotte.
Ecco allora che, ripartendo dalla fine degli anni Settanta, comprendiamo,
con ancora maggiore chiarezza rispetto alle OMBRE DELLA PAURA, la differenza
tra l'horror rurale, grottesco e sanguigno di un Avati degli esordi e la
scelta quasi ideologica (e poi coerentemente stilistica) di un Dario Argento
interessato alla metropoli italiana degli anni di piombo, seppur alleggerita
dal rischio di iper-realismi di sorta e lontana da ogni mimetismo applicato
allo scontro allora in atto tra sinistra e destra, brigatismo e
neo-fascismo.
Assai apprezzabile da parte del regista di Ascoli (ormai pronto per girare
un film di finzione), il cambio di registro rispetto al lavoro che precede
HANGING SHADOWS: man mano che sprofondiamo letteralmente nel buio degli
oscuri anni '80, eredi del decennio "di piombo", ma rispetto ad esso assai
più visceralmente cupi e "cannibalistici" - lo hyuppismo di derivazione
statunitense prevedeva l'annullamento dell'avversario, fagocitato e digerito
sulla base di una logica di truculenta concorrenza breteastonellisiana:
altro che Milano da bere! semmai, da mangiare... - Fazzini adotta gli
stilemi del neo-horror, sempre più affidato al realismo degli effetti
speciali pre-CGI, di cui Stivaletti fu il maestro riconosciuto, insieme al
meno giovane Giannetto De Rossi.
HANGING SHADOWS è impreziosito da inserti visivi ancora non presenti nelle
OMBRE; da tagli di montaggio sincronizzati al commento sonoro con attenzione
maniacale, al punto da affidare l'elaborazione della colonna sonora ad
alcuni suoi stretti collaboratori.
Le policromie che invadono lo schermo e lo colorano come una tela della
coeva transavanguardia bonitoliviana (pensiamo al marchigiano Enzo Cucchi o
Sandro Chia) sono a tutti gli effetti non semplice tributo alla svolta, ad
esempio, dell'Argento trascendentalista di INFERNO (1980, non a caso: tutto
contrastatissimi colori primari e materia ematica in primo piano), ma
descrivono con sapienza un'arte autonoma del fare "documentari".
Come in altro settore Alina Marazzi, Fazzini aderisce alla materia trattata
(si veda a questo proposito il precedente speciale su GLI ARTIGIANI
DELL'ORRORE e il più recente lavoro sulla stessa Marazzi, sempre su
KINEMATRIX), procedendo per osmosi tra il proprio racconto e le narrazioni
contenute nei testi analizzati.
Quando Soavi parla del significato di fare cinema di genere negli anni '80,
di film come LA CHIESA o LA SETTA, egli è l'attore del regista Fazzini, che
mai si adagia sui tempi morti di interviste-fiume viste altrove, ma segmenta
le ore di girato con grande senso dei tempi narrativi e un "ritmo" sempre
alto, quasi un "beat" memore del suo passato di musicista.
In un periodo in cui si assiste, anche grazie alle tecnologie digitali, ad
un grande ritorno verso il genere (bastino titoli come THE DESCENT,
capolavoro del neo-horror britannico, di matrice hammeriana, o come HAUTE
TENSION, che vede lo straordinario lavoro "poverista" di Giannettò De Rossì
elogiato da regista e attori negli extra del dvd: un must assoluto ascoltare
Cecile De France o Maywenn Le Besco che ricordano ANCHE a noi italiani i
trascorsi viscontiani di De Rossi, da noi poco conosciuto e/o stimato quanto
dovrebbe), la ricerca fazziniana acquista il significato di trait d'union
tra un passato abbastanza recente e un presente/futuro più rosei e ricchi
di aspettative, dopo la crisi degli anni Novanta, che emarginò un numero
impressionante di "artigiani dell'orrore" riluttanti al riciclo televisivo,
alcuni dei quali ne sono, letteralmente, morti.
Ecco, un certo senso di cupezza macabra presente in LE OMBRE (valga per
tutti il disincanto di Margheriti/Dawson prossimo alla fine), lascia il
posto ad un misto velato pessimismo e neo-ottimismo che colora anche le
espressioni e il gergo dei vari Bava, Dardano Sacchetti e Deodato
(collaboratore di Roberto Rossellini).
Un Deodato che parla, a ragion veduta, della valenza metaforica di CANNIBAL
HOLOCAUST, il suo controverso e contestatissimo lavoro dall'apparenza
pre-gore e iniziatore del classico filone anni '80 (esotismo ed erotismo a
braccetto con cannibalismi vagamente rituali). "Antropofagia mediatica" è
l'espressione usata dal regista e riferita al contro-cannibalismo della
stampa di quegli anni, capace di distruggere la carriera di un autore, fatto a
pezzi sulle riviste dell'epoca, quando quella rappresentava ipocritamente
l'orrore dei reportages di guerra (corpi realmente straziati, sadismo
d'accatto, etc), già protagonisti dei telegiornali coevi.
Soavi, a questo proposito, parla di "sublimazione o catarsi" di un
immaginario visivo collettivo ormai irrimediabilmente corrotto dalla cronaca
"nera" degli orrori quotidiani (morte negli stadi, morte in diretta)
attraverso una ri-generazione dello stile, che risale a topoi non solo
figurativi di quegli anni, come DYLAN DOG ("l'orrore nell'ovvio, nel
comune").
HANGING SHADOWS è stato visto da un vastissimo pubblico al recente Noir In
Festival di Courmayeur e avrà sicuramente una distribuzione meno complessa
di LE OMBRE, ma ci piacerebbe che un Neil Marshall ne analizzasse, ad
esempio, parti come il breve segmento dedicato a LA LUCERTOLA CON LA PELLE
DI DONNA di Fulci, dove i pipistrelli del giovane Rambaldi anticipano THE
DESCENT, per riconoscere i debiti del cinema internazionale nei confronti
della misconosciuta produzione italica.
Paolo Fazzini mette subito in chiaro le cose: Mario Bava fu il "pittore" del
genere horror; Riccardo Freda l'intellettuale colto e raffinato; Lucio Fulci
il cineasta puro, all'americana, quasi un Sergio Leone vissuto nell'ombra.
Forse è il momento, quindi, che dopo la meritoria opera di riscoperta
partita dall'aficionado Quentin Tarantino e dopo i lavori fazziniani (il
regista di KILL BILL prese dalle mani di chi scrive proprio una copia del
dvd di LE OMBRE DELLA PAURA!), anche l'Europa riconosca il valore dei
registi appena citati e di quelli che seguirono, con retrospettive (Annecy,
ad esempio), saggi e cataloghi.
Ciò porterebbe a nuove possibilità distributive di lavori futuri, poiché è
ingiusto che un NASCONDIGLIO DEL DIAVOLO/THE CAVE, pessimo esempio di
cinema americano sgraziato e svuotato di ogni contenuto, goda delle
attenzioni della stampa di ogni paese, laddove molti autori italiani
avrebbero senza dubbio fatto meglio.
Ma, come sottolinea Lamberto Bava in chiusura di HANGING SHADOWS, nell'italietta
degli scoop giornalistici grondanti sangue in prime time e dei grandi
fratelli, nell'epoca dell'iperrealismo bidimensionale dell'Iraq troppo
lontano per toccarci veramente, accostato senza ritegno alla falsa "reality"
del quotidiano, nessuno vuole sporcarsi le mani con sceneggiature poco
controllabili e inadatte alla prima serata.
"HANGING SHADOWS"
dal pressbook del film
LA
STORIA
“Il cinema italiano del terrore, ma più in generale il cinema di genere,
in Italia non esiste più. Ho sentito quindi il desiderio di documentare tale
stato di cose. Il cinema thriller italiano ha avuto il suo exploit durante
gli anni ’70 (così come l’action movie), mentre l’horror ed il fantastico
hanno proliferato durante gli anni ’80 ed i primissimi anni ’90. Dopodiché
una grande crisi ha colpito il cinema commerciale; i registi che avevano
conquistato notorietà internazionale scompaiono dagli schermi e vivono quasi
esclusivamente nelle parole che famosi registi come Scorsese e Tarantino
tributano loro.
Nel presente documentario si tenta di ricostruire alcuni aspetti del cinema
italiano fantastico degli ultimi venti anni attraverso le parole di alcuni
dei più noti professionisti che hanno segnato le tappe fondamentali di
questo genere cinematografico. Più che una storia del cinema, mi interessava
far emergere le singole personalità e alcune delle tematiche legate a questo
genere di produzioni comunemente considerate, in Italia, puri prodotti di
intrattenimento. Insieme alla violenta ondata americana (Carpenter, Hooper,
Craven, Romero, Cronenberg) i nostri film horror, senza ricorrere a metafore
esplicite o limitanti, riuscirono a rappresentare i timori e le nevrosi di
un’epoca. Perché, come le belle favole, anche le storie basate sulla
fantasia impaurita, non sono ancorate a realtà transitorie, ma parlano di
sentimenti permanenti. Infatti, al di fuori dei circuiti istituzionali,
l’horror continua ad essere un genere amato e praticato da registi che
spesso realizzano le proprie opere in Italia ma che vengono distribuite in
paesi esteri, e le numerose clip di recenti film e cortometraggi alternati
alle interviste lo dimostrano.
è possibile considerare il
documentario una sorta di viaggio, fisico e psichico, alla ricerca di
registi, sceneggiatori, critici, a volte filmati direttamente sui loro
luoghi di lavoro; lo stile di ripresa ed il montaggio sono volutamente
aggressivi, sporchi, sfuggenti, così come spesso erano i film realizzati da
queste persone che, con la loro abilità e le loro intuizioni, sono riusciti
a tradurre ed a portare sugli schermi di tutto il mondo le nostre paure.”
PAOLO FAZZINI
DARIO ARGENTO
“Queste predisposizioni, nascono in un periodo particolare, come la fase
infantile e l’adolescenza. E anche io ho iniziato a prendere contatto con
queste cose quando ero ragazzino, dapprima leggendo grandi autori, come
Edgar Allan Poe e i fratelli Grimm, e poi vedendo i primi film horror.”
LUIGI COZZI
“I film horror riflettono ciò che era presente nella società italiana di
quegli anni, quindi i registi si raccoglievano le sensazioni che erano
nell’aria. I film horror erano prodotti che derivavano dal genere western.
Il cinema horror italiano subisce queste influenze. I thriller nascono dalle
stesse persone che avevano realizzato questi western violenti, e quando
hanno capito che si potevano applicare le stesse regole anche ai film horror
superando tutti i precedenti, allora si è innescata una gara a chi si
spingeva più oltre. “
RUGGERO DEODATO
“Cannibal holocaust è una storia contro i giornalisti dell’epoca - ed oggi
la situazione è ulteriormente peggiorata - che facevano degli scoop tremendi
e li mostravano in televisione in prima serata. Mio figlio, allora piccolo,
si lamentava spesso con me delle immagini orribili che a volte venivano
mostrate; Allora, attraverso il soggetto di quel film, attaccai i mass
media.”
MICHELE SOAVI
“Il pubblico va al cinema a vedere film con contenuti violenti per
esorcizzare le proprie paure, per sfogarsi, ed è simile a quando si va allo
stadio, luogo che peraltro ritengo molto più pericoloso di una sala
cinematografica, perché lo stadio non è una realtà virtuale e sappiamo che
spesso si verificano incidenti. Il cinema, invece, può essere uno strumento
di autoanalisi perché lì le persone sfogano le paure, le angosce; ed è per
questo che dopo aver visto un bel film ci si sente come riempiti,
rinnovati.”
VITTORIO GIACCI
“La violenza rappresentata nei film crea nuova violenza o la sublima e la
cancella? Credo che nessuno psicologo o sociologo abbia mai dato risposta a
questa domanda. Penso che su questi argomenti abbia detto una cosa
intelligente Hitchcock, che di violenza se ne intendeva: “ stiamo attenti
cosa comunichiamo ad un bambino, perché un bambino è come una banca: ci
restituirà tutto quando sarà grande, e con gli interessi!”
ANTONIO TENTORI
“In Italia i produttori preferiscono distribuire film esteri piuttosto che
produrli, e secondo me è un errore perché questo tipo di film risulta
fortemente esportabile. E poi c’è un altro fatto, e cioè che i film horror
sono generalmente vietati ai minori di 14 anni quindi in tv, in prime-time,
non possono essere trasmessi; quindi questi film passano in seconda serata
con il conseguente calo di investimenti pubblicitari e quindi di guadagni.”
IL REGISTA
Paolo Fazzini (Ascoli Piceno, 1974) si laurea in Filmologia presso
l’Università Roma Tre.
Si diploma alla N.U.C.T. presso Cinecittà in Regia Televisiva e
Pubblicitaria.
Nel 2001 scrive e dirige il cortometraggio L’uomo astratto,
interpretato da Remo Remotti, con il quale vince il primo premio al festival
‘Corto per Scelta’.
Nel 2002 cura e dirige il documentario Le ombre della paura - Il cinema
italiano del terrore 1960/1980 distribuito dalla Mikado (Milano), con il
quale partecipa al Festival del Cinema di Venezia 2004 ed ai più importanti
festival nazionali.
Quindi dirige i documentari Albania (prodotto dalla organizzazione
non governativa INTERSOS/ECHO (Roma), Ritmi di Vita girato
all’interno dei carceri di Padova e Rovigo.
Nel 2003 dirige il documentario Il sogno di Adolphe Sax – Una storia del
sassofono con interviste ai più famosi jazzisti internazionali (Steve
Lacy, Lee Konitz, Bradford Marsalis, Wayne Shorter, Joshua Redman, Maurizio
Giammarco, ecc.) con il quale partecipa a numerosi festival nazionali e
distribuito da Vitagraph (Bologna).
è caporedattore del sito web
di cinema www.kinematrix.net per il quale segue e recensisce novità
cinematografiche, festival e realizza interviste.
Nel 2004 pubblica il volume Gli artigiani dell’orrore – 50 anni di
brivido (casa editrice ‘Un mondo a parte’).
Nel 2005 scrive e dirige Romusik, format tv in onda sul canale
RomaUno (canale Sky 860).
FILMOGRAFIA
1998 FRATELLO DI SANGUE (cortometraggio)
PERSI NELLO SPECCHIO DI NESSUNO
(cortometraggio)
L’ULTIMA STANZA (cortometraggio)
PASSI (durata 14 min.)
2002 L’UOMO ASTRATTO (premi: miglior corto al Festival Corto per
Scelta 2003)
LE OMBRE DELLA PAURA – 1960/1980 Il cinema italiano del
terrore (documentario)
ALBANIA (documentario, produzione Intersos)
2003 IL SOGNO DI ADOLPHE SAX Una storia del saxofono (documentario)
RITMI DI VITA (documentario)
2004 COLTELLI (cortometraggio)
2005 ROMUSIK (8 puntate per Romauno TV)
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