Le reazioni alla vittoria di Obama provocano soprattutto una domanda. Il
monumentale dispendio mediatico di entusiasmo messo in atto in questi
giorni, per ragioni sostanzialmente arbitrarie, non lo si poteva dispiegare
anche in decine di altre occasioni, altrettanto arbitrarie? Che so, la corsa
di tori di Pamplona o la fioritura di ciliegi, o cose di questo genere. Sì,
è bello entusiasmarsi insieme per l'aria che tira, ma allora perché non
averlo fatto prima? Al di là di quello che tutti facciamo vedere
pubblicamente, infatti, è evidente che quasi nessuno in buona fede ripone
"davvero" speranza in Obama, cioè in uno che è stato messo lì per simulare
un "cambiamento" che non ha affatto l'aria di doverci essere, e lo si
capisce dal sostanziale qualunquismo con cui Obama ha affrontato la
questione chiave, quella economica.
Insomma: chi se ne frega se si va via adesso
dall'Iraq, se tra otto anni salterà fuori un repubblicano qualsiasi a
suonare il fischietto, a dire "basta, ora occupiamoci delle cose serie,
ovvero della devastante crisi energetica, e torniamo nella penisola
arabica". Obama per il momento ha solo messo avanti i soliti paraventi del
non-pensiero liberal (tipo le minoranze etniche...), evitando
sistematicamente gli scogli fondamentali. Come il crollo di un intero
sistema economico - a fronte del quale l'ultimo posto in cui cercare
speranze è alla Casa Bianca.
Ma, di nuovo, nessuno in realtà ci è cascato, e nel
giro di qualche settimana i milioni di persone che adesso festeggiano
torneranno a conformarsi con l'imperativo categorico che oggi è molto più
potente e deleterio di qualunque repubblicano alla Casa Bianca: il cinismo.
Quello è il vero nemico, non McCain, e lo si combatte (se lo si combatte:
cosa che quasi nessuno prova a fare) tutti i giorni, e non quando alla Casa
Bianca ci va un presidente nero.
Che, come pseudo-apertura liberal, avrebbe fatto
ridere già ai tempi dei Pitura Freska (il papa nero...).
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