FAR EAST FILM II
PER ENTRARE NEI CINEMA DELL'ESTREMO ORIENTE
(già apparso su CARTE DI CINEMA n° 5)
CLICCA QUI PER VEDERE LA GALLERIA
FOTOGRAFICA DI UDINE 2000
servizio di
Andrea DE CANDIDO
Si è conclusa domenica 16 aprile, a Udine, la seconda edizione del Far
East Film con la vittoria ex-aequo di MY HEART (Sud Corea 1999, regia
di Bae Chang-ho) e SHOWER del cinese Zhang Yang. Ma, a differenza di quanto
accade normalmente - ossia nei "soliti" festival - non è sembrato questo
il dato di maggiore rilevanza: in una manifestazione come quella friulana
a colpire è, prima di tutto, la singolare natura della proposta nel suo
complesso, unitamente a quello che Derek Elley - curatore della manifestazione
- definisce in catalogo "un clima informale e rilassato". Proiezioni aperte
a tutti, conferenze stampa trasformate in incontri con il pubblico ed
un programma concentrato per intero in un'unica sala (il bel teatro "Giovanni
da Udine") hanno difatti sottratto l'evento ad ogni tentazione di frenesia.
Parlavamo dei "soliti" festival pensando anzitutto a quella cattiva nomea
che spesso ne accompagna certi, cui alcuni associano un'idea di cinema
d'elite, in fondo "pesante". Non corre certo questo pericolo il Far East
Film di Udine, che propone al suo (numeroso) pubblico una ricetta sulla
carta assai semplice ma tutt'altro che inefficace: concentrare in nove
giorni buona parte della più recente produzione popolare dell'estremo
oriente, offrendo così l'occasione - unica per una platea occidentale
- di calarsi nell'attualità di un circuito altrimenti inaccessibile. È
difficile - e forse fuori luogo - tentare di comprendere se il Far East
Film sia a vario titolo equiparabile a quanto capita di incontrare nelle
più note occasioni festivaliere: ciò tuttavia non deve essere letto quale
sintomo di scarso interesse e qualità, o magari associato all'assenza
di veri e propri "autori". Anzi.
 |
Cinquantasei le pellicole presentate, provenienti da otto paesi differenti,
con in testa Hong Kong ed in più le novità rappresentate da Vietnam, Tailandia,
Singapore e Giappone. Ma l'apertura è stata per la Corea del Sud, con
il film che laggiù è stato l'assoluto campione d'incassi della passata
stagione, facendo registrare un incasso superiore a quello di Titanic:
stiamo parlando di SHIRI di Jacky Kang. Costato due milioni di dollari,
il film ha un inizio folgorante - l'addestramento di un gruppo di terroristi
scelti, dove le pallottole non sono a salve - ed un ottimo ritmo, cui
si deve, piuttosto che al raro ricorso agli effetti speciali, il sostegno
dell'impianto fantapolitico. Al di là di questo, nulla di intrinsecamente
nuovo. Una cinematografia comunque in buona forma quella sudcoreana -
presente ad Udine con undici lungometraggi - in cui primeggiano opere
perlopiù commerciali, come il divertente ATTACK THE GAS STATION! di Kim
Sang-jin o TELL ME SOMETHING, un horror di Chang Yun-hyun, per certi versi
parente del più noto SEVEN. Per quanto concerne poi la Repubblica Popolare
di Corea (o Corea del Nord), la maggior parte delle produzioni cinematografiche
ha per soggetto la lotta con il Giappone o il ricordo della guerra civile.
È questo anche il caso del curioso ORDER NO. 027 del 1986 in cui un gruppo
di patrioti - a colpi di Kung Fu e con salti sovrumani prossimi al volo
- riesce ad infiltrarsi nel Sud del Paese. Come si sarà intuito, non è
la verosimiglianza ad interessare il regista Jeong Ki-mo: in simili produzioni
- che in tale contesto si vedono con simpatia - tutto è difatti spinto
all'estremo, dalla recitazione parossistica agli effetti sonori. Vi sono
poi i cosiddetti "film moderni" o di educazione civile, attraverso i quali
il regime diffonde dettami a proposito della condotta di vita che si vorrebbe
di tutti i nordcoreani: ad Udine c'erano A BELLFLOWER (Jo Kyeong-sun,
1987) e MYSELF IN THE DISTANT FUTURE (Jang In-hak), rispettivamente un
inno alla vita agreste e l'elogio dell'essere attivi ed eroici.
 |
Ad Hong Kong si produce un cinema spesso noto ed amato anche dal pubblico
estero, tanto che alcuni dei suoi massimi rappresentanti - come John Woo,
regista tra l'altro di MISSION:
IMPOSSIBILE 2, o Chow Yun-fat, recente protagonista di ANNA AND THE
KING- sono da tempo emigrati negli USA, influenzando non poco alcune delle
produzioni statunitensi dell'ultimo periodo (pensiamo a MATRIX, qualcosa
di Tarantino o al recente ROMEO
DEVE MORIRE). La fama di costoro si deve ai lavori realizzati a cavallo
degli anni 80 e 90, quando l'industria cinematografica locale raggiunse
il culmine qualitativo e produttivo; al contrario, quella appena trascorsa
è la prima buona annata dopo un non brevissimo periodo di crisi. Il programma
del Far East Film ha tracciato, con un totale di venti opere, il ritratto
chiaro delle attuali tendenze: non solo azione, ma anche molta commedia.
Decisamente di qualità superiore l'opera del regista e produttore Johnnie
To, che ad Udine ha accompagnato - oltre all'eccellente RUNNING OUT OF
TIME - THE MISSION. Nel prendere le mosse da una vicenda stereotipa (cinque
granitiche iene chiamate a protezione di un vecchio gangster) il merito
di To è quello non trascurabile di aver adottato uno stile per così dire
"anti-honkonghese", con più spazio per l'uomo, e in cui tempi lunghi e
piani-sequenza subentrano all'ormai classica e frenetica sovrabbondanza
di inquadrature. Con un occhio a Kurosawa, il movimento che interessa
a To è interno al quadro e non prodotto dagli scatti della m.d.p. o da
virtuosismi alla moviola. Sempre a proposito di questa scuola, anche le
arti marziali costituiscono una sorta di marchio di fabbrica: oggi il
maestro di tale disciplina è senza dubbio Jackie Chan, acrobatico interprete
di pellicole (vedi TERREMOTO NEL BRONX) note anche oltre i confini del
suo paese. Senza rinunciare a calci e pugni, o a quelle singolari movenze
che non lo farebbero sfigurare sul monitor di una playstation, Chan si
è però calato questa volta in un'avventura romantica a lieto fine, impreziosita
dalla presenza di Shu Qui, una luminosa diva emergente. Ad Hong Kong pare
poi che vadano per la maggiore i cosiddetti "stupro-film", dominati da
bande di violentatori e dalle splendide donne da essi rapite: maestro
del genere è tale Wong Jing, il cui RAPED BY AN ANGELl IV è stato presentato
la notte di giovedì 13, rivelandosi come un'opera non certo memorabile,
anche se meno nefasta di quanto fosse lecito aspettarsi. Segnaliamo anche
THE UNTOLD STORY (1995), grottesca e granguignolesca trasposizione di
una storia realmente accaduta, che vede per star un cuoco serial-killer
i cui ravioli alla carne umana sono apprezzatissimi dagli ignari poliziotti
impegnati nelle indagini relative ai suoi crimini. Il registro cinicamente
ironico adottato dal regista Herman Yau e l'assurda ed invasata interpretazione
di Anthony Wong, sono gli elementi che rendono questa pazzesca operazione
in fondo gustosa. Dall'ex-colonia britannica, in occasione dell'omaggio
dedicatogli, è infine giunto a Udine Stephen Chiau, il giovane comico
più popolare da quelle parti, campione di una sboccata comicità nonsense
- o "moleitau" - basata essenzialmente sulla fisicità e sulle scriteriate
reazioni dell'attore anche a fronte delle situazioni più comuni. Dal 1994
Chiau ha cominciato anche dirigere - in coppia con Lee Lik-chee - le pellicole
che era chiamato ad interpretare, e dopo FROM BEEIJNG WITH LOVE, sono
venuti anche THE GOD OF COOKERY (1996) e KING OF COMEDY, il cui inizio
cita apertamente, in chiave parodistica, THE KILLER di John Woo e le sue
bianche colombe. Nonostante Chiau sia un fenomeno in patria e pare che
anche qui - o almeno a Udine, dove si erano già visti in passato alcuni
suoi film - goda di molte simpatie, ad un occidentale non nuovo allo humour
demenziale, la sua apparirà una comicità per nulla originale, inutile
e dal fiato francamente un po' corto.
 |
L'autentica novità dell'edizione 2000 del Far East Film è giunta tuttavia
dal Giappone: lì è nato un fenomeno, poi diffusosi in tutta l'Asia, al
quale il festival ha voluto dedicare l'intera giornata di mercoledì 12;
il filone degli "psycho-horror movie". Il film origine e simbolo della
nuova tendenza è senz'altro THE RING (1998) di Hideo Nakata, del quale
sono già stati nel frattempo girati sia il sequel che il prequel (RING
II e RING 0: THE BIRTHDAY, entrambi visti qui). Un po' SCREAM, VIDEODROME
o URBAN LEGEND, THE RING narra della maledizione che colpisce chiunque
guardi lo strano contenuto di una videocassetta, dalla quale è possibile
liberarsi solo costringendo i propri cari a fare lo stesso. Con una struttura
narrativa vicina a quella di DOA, il film procede per tappe fino al giorno
della preannunciata morte della protagonista, regalando momenti - il prefinale
al pozzo su tutti - assolutamente inquietanti e di un orrore tanto più
penetrante quanto meno dipendente dagli effetti speciali.
Per chiudere, nell'ampio pacchetto di film fin qui necessariamente trascurarti,
scegliamo di consigliare SHOWER. Il bel film di Zhang Yang - produzione
d'origine cinese - si muove lungo il confine tra due mondi, due paesaggi
spazio-temporali tanto opposti quanto lo sono una doccia hi-tech ed il
rilassante abbandono nel bagno termale dove si svolge parte dell'azione.
Tra i maggiori successi in patria, la pellicola ha dimostrato un ottimo
equilibrio tra esigenze di mercato e l'emergere di un chiaro profilo autoriale.
Caratteristica, quest'ultima, che lo ha reso appetibile anche per alcuni
dei "soliti" festival, procurandogli riconoscimenti a Toronto, San Sebastian,
Salonicco e Rotterdam.
|