THE TORTURER,
l'ultimo lavoro di Lamberto BAVA
Il Premio del Pubblico,
PIANO 17 dei Manetti BROS.
L'intervista a
Giovanni PIANIGIANI, regista
THE TORTURER, di Lamberto
BAVA

Una vera anteprima del Noir In Festival (anche perché presentato come
work in progress, soprattutto per quel che riguarda il missaggio audio)
è The Torturer che segna il
ritorno all’horror di Lamberto Bava. Il film, firmato da Bava insieme a due
vecchie ‘volpi’ del cinema di genere come Luciano Martino (anche produttore)
e Dardano Sacchetti (è suo il soggetto), ha visto la luce grazie
all’applicazione delle tecniche digitali di ripresa.
“Il mercato del dvd è in piena espansione, più
del cinema”, spiega il regista, “e se oggi non sei in grado di girare in
digitale sei come tagliato fuori dalle produzioni.” Inoltre, nella
produzione, è intervenuta anche la spagnola Filmax, per cui tutta la
postproduzione è stata effettuata a Barcellona. Ma ciò che sorprende di
The Torturer è l’ottima resa
cromatica e visiva delle immagini.
“Il
Torturatore è un film a basso costo, un horror a metà tra una cifra
stilistica anni ’80 ed una più contemporanea.”, continua Bava, “è
soprattutto un horror digitale. Ed è proprio questo punto che mi incuriosiva
di più: lavorare con l’alta definizione e vedere le opzioni che il mezzo
mette a disposizione del regista e del direttore della fotografia. Di fatto
il digitale ci è servito per l’uso di effetti visivi, e per un lavoro
accurato sui colori. La maneggevolezza del mezzo ancora non è ottimale e poi
da questo punto di vista i cambiamenti stilistici sono ben pochi, ho sempre
lavorato con grandi movimenti di macchina anche all’epoca del 35mm”.
A proposto delle protagoniste del film, Bava ha rivelato che “le attrici
sono tutte giovani e pressoché esordienti. Visto che il film ha come
protagoniste delle ragazze che tentano la via del cinema e si sottopongono a
dei provini, mi sembrava opportuno scegliere tra coloro che realmente
avessero poca esperienza cinematografica. A proposito di giovani, devo
ringraziare in particolar modo, il montatore Raimondo Aiello e il musicista
Paolo Vivaldi, due ragazzi giovani che hanno lavorato in perfetta sintonia”.
Ginette, una giovane aspirante attrice, ha un provino con Alex Scerba, un
regista piuttosto eccentrico, tristemente noto per la sua indecenza, per i
suoi film smodati e la sua costante ricerca dell’estremo. Durante
l’audizione Ginette cade vittima del fascino di Alex e i due cominciano a
frequentarsi. Da alcuni indizi, inequivocabili, Ginette, capisce che anche
la sua migliore amica Marzia, scomparsa diversi giorni prima senza lasciare
alcuna traccia, aveva fatto un provino con Scerba. Nello stesso posto altre
giovani ragazze stanno partecipando ad un provino con un uomo che nasconde
il proprio viso e la propria identità. Tre di queste ragazze, pronte a tutto
per diventare attrici, sono sottoposte ad un folle processo di selezione
fatto di torture sconsiderate e perverse.
Queste due storie contemporanee, legate da un filo narrativo delirante, si
dipanano in un breve arco di tempo, per poi intrecciarsi l’una con l’altra
nel gran finale.
Tralasciando la sceneggiatura (prevedibile il
colpevole, approssimativi l’intreccio e i personaggi) ciò che sembra
interessare più Bava è una costruzione delle immagini, delle composizioni
delle inquadrature che negli ultimi lavori (per il cinema e la tv) pareva
non avere più a cuore. Volutamente girato quasi interamente di notte e in
interni per esaltare le potenzialità del digitale, il regista mette in scena
un vero teatro della violenza (parecchie le scene gore) ricalcando
dei meccanismi e temi provenienti direttamente dal thriller degli anni ’70.
Non sarebbe un errore infatti considerare
The Torturer una sorta di
violento remake di Sei donne per
l’assassino, proto-thriller diretto dal padre Mario nel 1964. Le
aspiranti veline si sono sostituite alle modelle, un teatro di posa
rimpiazza l’elegante atelier, ma l’accanimento con il quale l’assassino
elimina i corpi delle vittime sembra invariato.
Non si sa ancora se la pellicola sarà
distribuita esclusivamente in Home Video o se sarà possibile un’uscita nelle
sale, ma il film merita senz’altro una visione, non fosse altro per capire
come, in un panorama produttivo asfittico come quello italiano, i nostri
registi tentano di ri-affrontare il genere e le tematiche legate alla paura
e all’orrore.
Voto: 24/30
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PIANO 17, dei Manetti BROS.

Il Premio del Pubblico del Noir In Festival se lo è aggiudicato
Piano 17, il nuovo film dei
fratelli Manetti.
Come hanno spiegato i Manetti: “Il progetto nasce dal desiderio di un gruppo
di amici professionisti di realizzare un film senza passare attraverso tutte
le fasi, lunghissime e spesso inconcludenti, normalmente necessarie per
poter produrre economicamente un film. Il gruppo si propone di
autofinanziarsi mettendo nel progetto, oltre le proprie prestazioni
professionali, quel minimo di apporto finanziario necessario alla
realizzazione e di coinvolgere l’intera troupe (cast artistico e tecnico) e
i fornitori a partecipare al progetto in una formula cooperativistica o
gratuita.”
Gli artefici di questa produzione, costata circa settantamila euro, sono
appunto gli stessi registi con la collaborazione degli attori che compongono
il cast (Elisabetta Rocchetti, Enrico Silvestrin, Giuseppe Soleri), e il
protagonista Giampaolo Morelli, che firma anche la sceneggiatura.
Mancini (Giampaolo Morelli) deve posizionare una bomba all’interno della
direzione generale di una grande banca per distruggere alcuni importanti
documenti scomodi ad un losco committente. Camuffato da uomo delle pulizie e
con la bomba innescata da un timer, rimane però bloccato in ascensore
insieme a due ignari impiegati (Elisabetta Rocchetti e Giuseppe Soleri)
intenti a tornare a casa dopo il lavoro.
All’esterno dell’edificio due dei suoi complici, Pittana e Borgia (Enrico
Silvestrin e Antonino Luorio) tengono sotto controllo la situazione,
apparentemente in attesa che l’uomo porti a termine la sua “missione”.
In una corsa contro il tempo dove la tensione sale sempre più, Mancini
comincia a rendersi conto che forse i suoi complici non lo stanno aiutando
come dovrebbero…
Dopo l’invisibile Torino Boys
e il deludente Zora la Vampira,
i Manetti riescono a confezionare un film sentito, riuscito, divertente.
Grazie alla buona prova degli attori (assolutamente efficaci Morelli e
Lourio, più acerbi e artefatti la Rocchetti e Silvestrin) la pellicola,
tarantiniana quanto basta, rappresenta finalmente l’opportuno omaggio a quel
cinema di genere tanto amato dai registi che, invano, avevano tentato di
citare nei precedenti lavori (il cameo di Enzo G. Castellari nei panni di un
custode è sintomatico). Girato in digitale (in HD, ottima la fotografia di
Fabio Amidei) Piano 17 è un altro esempio di dignitosa produzione italiana
realizzata al di fuori del paludoso progetto di finanziamento statale, che
mai come quest’anno ha rivelato tutte le falle di un sistema ormai al
capolinea.
Nella prossima primavera dovremmo vedere in tv L’Ispettore Coliandro, le 5
puntate Rai dirette dai Manetti nel 2004 e inspiegabilmente congelate dalla
rete.
Voto: 25/30
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Intervista a Giovanni PIANIGIANI
Giovanni Pianigiani, 43 anni, triestino, ha un lungo passato di filmaker:
negli anni ‘80 ha comprato una cinepresa super8 e ha cominciato a fare film
con amici sia a Bologna, dove si è diplomato al Dams, sia a Trieste.
Ha diretto il lungometraggio Nella
notte e ora è uscito negli Stati Uniti, in home video, “Pilgrimage”,
il suo episodio di Red Midnight.
KINEMATRIX Come sei arrivato a realizzate il lungometraggio
Nella notte?
GIOVANNI PIANIGIANI Per arrivare a
Nella notte sono passato
attraverso varie esperienze lavorative e per la verità anche di
disoccupazione! Dunque... sono un appassionato di cinema di vecchia data,
praticamente da quando andavo al cinema del prete, a Trieste. Avevo 10 anni
e mi deliziavo a vedere su grande schermo tutti i film di Godzilla, svariati
spaghetti western, peplum, fantascienze varie. E iniziavo un tipo di vita
piuttosto diverso da quello di tanti ragazzi italiani, cosa che si è
riversata anche nella mia attività cinematografica di tanti anni dopo.
Trieste è una città particolare, molto laica e aperta. Per dirla in breve,
il prete non ci ha mai rotto i coglioni con discorsi bigotti verso il sesso
e le ragazze.
Comunque... sono arrivato a Roma agli inizi degli anni novanta per cercare
di fare cinema dopo una lunga esperienza come filmaker e dopo essermi
laureato al Dams sulla trilogia dei morti viventi di Romero. Nel '96
o '97, non ricordo, ho vinto l'European Script Fund con un soggetto poi
divenuto sceneggiatura intitolato "Trda Glava - Testa dura" assieme a
Daniele Scarabotti. Ovviamente all'improvviso tutti hanno iniziato a
leccarci il culo, la sceneggiatura è passata alla Rai e lì ho capito che
fare cinema veramente libero in Italia sono cazzi amari: bisogna vincere
qualche cavolo di premio istituzionale con storie giocoforza edulcorate, si
deve vendere a una grossa televisione i diritti antenna (ed ecco perciò il
funzionario Rai che ci fa togliere le parolacce e un monologo che la
prostituta protagonista fa riguardo all'uso del preservativo), ho capito
altresì che il genere non esisteva più e senza genere non si fanno i soldi
da reinvestire in altri film compresi quelli "culturali", e senza il genere
si fanno pochi film e perciò è impossibile imparare il mestiere. Per farla
breve poi il film non l'abbiamo fatto perché è uscito un altro film sullo
stesso argomento e con due scene uguali!
KMX E poi cosa è successo?
GP I nostri produttori si sono dileguati
dopo mesi di corteggiamenti e non hanno mai telefonato per giustificarsi.
Per cui mi sono trovato disoccupato, ho preso il telefono, ho chiamato il
regista Alex Perry e mi sono dato al porno.
è un mondo pieno di persone
squallide, certo, ma anche di entusiasmo per il lavoro. Scrivevo il film che
due mesi dopo era pronto, mentre giravamo un film arrivavano altri
produttori e si preparavano le prossime "imprese". Di questa mia esperienza
ho scritto un lungo soggettone pieno di sincero amore verso le attrici e gli
attori, gli oscuri mestieranti che sono stati gli ultimi in Italia a fare
cinema di genere che si produce da solo e continua a lavorare sulle proprie
gambe. Dopo Alex Perry ho incontrato Lawrence Webber, al secolo Lorenzo
Onorati, un esperto di soft e hard, un signore del cinema, uno che
respira cinema e sa cos'è il cinema. Dopo aver fatto alcuni film
da record (uno di questi, Spy
Connection, l'ho scritto in una notte e l'abbiamo girato in un
giorno!) mi ha telefonato e mi ha chiesto di fare un horror bello pesante,
per provare a fare un altro tipo di genere. C'è da dire che io ho imparato a
scrivere i film proprio tramite il porno: infatti mi si chiedeva la
narrazione classica con protagonista, antagonista, sviluppo, crisi centrale
e risoluzione. Uno di questi film,
The consenting Husband/Col consenso del marito di Alex Perry, è
veramente articolato e regge benissimo anche in versione soft.
kmx Quando avete avuto
l’idea quindi di mettere in produzione questo horror?
GP Onorati e io abbiamo deciso di iniziare con un corto dal titolo
"Nella notte". Ho scritto con cura la sceneggiatura, abbiamo chiamato quelli
della Fanta X per gli effetti e Lorenzo ha girato il corto con me all'aiuto
regia. Molti sapevano di questo nostro tentativo e ci commiseravano
reputandolo il classico esempio di "nozze con i fichi secchi". Invece il
corto è venuto tosto e appassionante e così ho scritto altri due episodi che
continuavano le vicende del primo corto. Queste due nuove parti le ho girate
io, mentre Lorenzo organizzava magnificamente un tour de force con una
ventina di location e più di venti attori, con la basilare organizzazione di
Marc Colly, altro regista di hardcore molto efficace. Insomma eravamo un
miscuglio di gente proveniente dall'horror, dal porno, dal teatro
drammatico, dal cinema "normale". E ne è uscito
Nella notte, un film di 76
minuti composto dai tre episodi, quello girato da Lorenzo e i due miei. La
Minerva ha messo dei soldi e ha pure comprato l'esclusiva del film... A
tutt'ora lo ha venduto solo in Indonesia e non l'ha fatto uscire neppure in
Italia. L'altra settimana ho mostrato il film in una scuola professionale di
Trieste gestita da preti: i ragazzi urlavano dal giubilo completamente presi
dalla trama, dal gore e dallo splatter del film. Secondo loro questo sarebbe
un film che potrebbe vendere molto bene tra i giovani...
KMX Il tuo ultimo lavoro è "Pilgrimage", che però fa parte di un
progetto più ampio…
GP è un film horror di
40 minuti, ed è l'episodio finale di una trilogia intitolata
Red Midnight. Gli altri due
registi sono gli americani Ray Shwetz e Brian Michael Finn, ed è prodotto
dalla Cinema Image di Joe Zaso. Insomma è un prodotto scritto e recitato in
inglese per il mercato americano. Joe l'ho conosciuto a Roma quando facevo
l'aiuto regista in Demonium
del regista tedesco Andreas Schnaas. La lavorazione era un disastro, non per
colpa del regista, e preferisco sorvolare... In quel casino c'era questo
autentico gentleman, attore efficace e presenza pacificante sul set. Siamo
diventati amici e anni dopo Joe ha voluto vedere
Nella notte di cui è rimasto
entusiasta, sia per la trama che per il gusto splatter e bizzarro. Ha
cercato di comprarlo, ma gli hanno chiesto 25000 dollari, manco avessimo Tom
Cruise nel cast. E allora è partito il progetto
Red Midnight. Il mio episodio
si intitola "Pilgrimage", è ambientato a Roma ed è un mix di politica,
sadismo, blasfemia... Io amo il cinema estremo, particolare... che sia
Pasolini, Tarkovsky o Andrea Bianchi e Joe D'Amato. Per cinema particolare
non intendo belle riprese storte e manierate, ma creazioni di proprie
visioni del mondo, necessarie e sentite...
E il film è già in vendita tramite internet, senza tante esitazioni e
perdite di tempo... è un
piccolo film costato 10000 dollari (Nella notte era costato 85000 euro), ma
esiste e ha una sua vita...
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Courmayeur, 13:12:2005
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