ix napoli film festival
13/20:06:2007 napoli |
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Si è concesso a tutti Abel Ferrara, ma era attorniato da una impenetrabile corte composta dalla crème de la crème degli artisti napoletani, capeggiati dallo scrittore Peppe Lanzetta, il Bukowski dei quartieri spagnoli. Ferrara vive da anni in Italia ma le sue origini (il nonno era di Sarno, in provincia di Salerno) lo spingono fatalmente verso la Campania, dove è assorbito in una serie di progetti, primo fra tutti, un laboratorio di scrittura creativa con i detenuti dei penitenziari di Pozzuoli, Nisida, Aversa. Quando gli si chiede se ne ricaverà mai un film e se può fornirci qualche anticipazione, risponde con la sua solita naturalezza, stringendo le spalle, gesticolando a modo suo: “Sapete, per fare un film in America ci vogliono due anni di lavoro e non se ne parla mai prima che il lavoro sia finito. Ora io non so come cazzo facevano qui i registi in Italia, come Pasolini, Fellini, che parlavano tranquillamente di quello che facevano senza avere niente in mano. Io non lo so bene quello che sto facendo, non so dire cosa ne verrà fuori. So solo dire che questo è un periodo strano della mia vita: la mattina intervisto una giovane in un carcere femminile e il pomeriggio sono a colloquio col sindaco di Napoli” – e qui Ferrara è addirittura esilarante, passa infatti ad imitare la vocina di Rosa Russo Jervolino che si complimenta con lui “Complimenti! Complimenti! Tanti auguri!”. Pubblico in delirio. Purtroppo scapperà via all’improvviso, così come era apparso da dietro le tende rosse del Cinema Filangieri.
A noi, alla stampa che aspettava da giorni con la bava alla bocca, al pubblico frenato nei suoi entusiasmi, non restava che applaudire a tempo. Grande amarezza, gestione non proprio impeccabile.
il vento fa il suo giro Italia 2005, 110'
Vince il Vesuvio Award IL VENTO FA IL SUO GIRO di Giorgio Diritti. La Giuria lo ha premiato con la seguente motivazione: “la regia esplora i luoghi poetici eppure amari di un microcosmo arcaico, all'interno del quale si rivela problematica l'integrazione dello straniero”. Un professore francese, in fuga dalla città, si trasferisce con moglie e figli in un paesino di montagna, a Chersogno, alla ricerca di uno stile di vita rustico e autentico. L'arrivo della famiglia, però, scombina gli equilibri degli anziani abitanti del villaggio, incapaci di comprendere le ragioni di una scelta così inconsueta, quella del professore che vuol farsi pastore. IL VENTO FA IL SUO GIRO parla di una piccola comunità che pur essendo vittima dell'intolleranza, in quanto minoranza linguistica, non sa tollerare l’altro. Ma è anche la storia di una famiglia e della sua voglia di cambiamento, di una necessità intima e irrefrenabile che si scontra con la paura di chi il cambiamento non è capace di affrontarlo. Ottima la fotografia di Roberto Cimatti. Buona la prova degli attori principali, tutti non professionisti. Il film, che non ha usufruito di alcun finanziamento statale, è stato autoprodotto dalla Aranciafilm (nata nel 1996 come ditta individuale dello stesso regista), dagli interpreti e dai tecnici principali e, manco a dirlo, non ha a tutt’oggi una distribuzione ufficiale. Si dice da più parti che l’autoproduzione non può e non deve essere il futuro del cinema italiano, e sarà anche vero, ma non si può negare il fatto che negli ultimi anni sono cresciuti gli esempi di film prodotti e/o distribuiti in maniera – davvero – indipendente, ossia – per dirla in modo crudo e senza giri di parole – fatti mettendo mano al proprio portafoglio.
Dello stesso anno è infatti PIANO 17, un noir dei Manetti Bros, girato in HD con una prosumer Sony da quattromila euro. Anche in questo caso, registi, attori e tecnici si sono autotassati o hanno prestato servizio gratuito. I giovani registi (talvolta anagraficamente giovani non lo sono più da tempo) sembrano afflitti da una grave sindrome da produzione e i più tenaci, quelli che ci riescono, pagano un prezzo talvolta molto alto. Si dice che il giovane David Lynch ci mise ben otto anni per le girare il suo primo lungometraggio (ERASERHEAD, USA, 1977) e che fu addirittura costretto a vendersi la casa pur di riuscire a terminare le riprese, finendo col dormire sul set. Tale e tanta è la follia dei registi emergenti oggi. Solo pochi ricevono l’ambito assegno ministeriale, ma anche se vi si riesce, ahimé, si è solo a metà dell’opera.
Il bel TU DEVI ESSERE IL
LUPO di Vittorio Moroni (Italia, Portogallo 2004) pur ottenendo un
finanziamento pubblico non è riuscito mai a trovare un distributore
interessato ed ecco che dalle ceneri della frustrazione nasce, come l’araba
fenice, una nuova etichetta, la "Myself", e il nome la dice lunga su chi e
come distribuisce il film.
lacrime napulitane Italia 2007, 19'
Solo dopo questo doloroso ma doveroso panegirico sul cinema di nicchia passiamo a parlare dei cortometraggi. Vince LACREME NAPULITANE di Francesco Satta. Ad onor del vero, a fronte di una programmazione fatta da cortometraggi che non stentiamo a definire imbarazzanti, LACREME NAPULITANE, tratto dall’omonima sceneggiatura vincitrice del concorso “Storie di fine millennio”, è di sicuro il prodotto tecnicamente più riuscito. Un cast artistico e tecnico fatto di professionisti, un film girato interamente in blue screen. L’intento del regista era di dare al film un look retrò da cartolina e in parte vi è riuscito. Per il resto, ci è parso di rivedere il solito vecchio e abusatissimo plot, riscaldato come una minestra maritata, quello del viaggio in treno, di decurtisiana memoria, del vecchio napoletano buontempone e invadente e del milanese uomo d’affari, un po’ razzista e diffidente. Se, come dicevo, la storia pecca di originalità, il “colpo di scena finale”, con la sua drammaticità da soap opera, è il vero colpo di grazia per lo spettatore, che pure inizialmente aveva gradito le atmosfere create in post produzione. Insomma LACREME NAPULITANE lo si può definire di certo un buon prodotto di fiction televisiva, da programmare in prima serata a natale, per la gioia delle famiglie. Lavoro di tutto rispetto, ma il cinema, a nostro avviso, è altra cosa.
Cover boy:l'ultima rivoluzione Italia 2006, 93'
Noi non commentiamo queste affermazioni: ci limiteremo soltanto a dire qualche parola su questo film davvero bello, girato anche molto bene, tra Bucarest e Roma, a metà strada tra Pasolini e Loach. Girato in HDV con appena 500.000 euro, COVER BOY è la storia dell’amicizia tra Ioan e Michele: due precari, il primo romeno, il secondo italiano. Il destino di chi è fuggito pieno di aspettative da un paese ex comunista e quello di un disoccupato ai margini di una società capitalista sempre più dura e classista si incrociano in un misto di documentario e finzione. Momenti drammatici e ironici si alternano tenuti assieme da una tensione erotica crescente.
Una frase resta su tutte
e pesa come un macigno: “Oggi, in Italia, se non hai una famiglia alle
spalle, sei uno straniero in patria”. Napoli, 25:06:2007 |