58MO FILM FESTIVAL

03/13:08:2005

LOCARNO

 

di Cinzia FARINA


L'ACCORD
di Beatrice Guelpa , Nicolas Wadimoff
(stato/anno) (durata')

Dopo la cerimonia di ratifica dell'Accordo di Ginevra per la pace in Medioriente del 1° dicembre 2003, i due registi svizzeri decidono di indagare la quotidianità di alcuni dei firmatari dell'accordo.
Protagonisti del documentario, che concorre al Festival nella sezione dei Cineasti del presente, sono tre palestinesi e tre israeliani, di estrazioni completamente differenti tra loro, ma accomunati dal senso di "pace possibile" tra i due popoli.
Nell'arco temporale di un anno viene seguita la vita di un pubblicitario israeliano (ideatore della manifestazione online), da un archeologo, condirettore dell'Associazione Riwa che cura il patrimonio artistico palestinese, da una donna israeliana, da un ministro del governo di Abu Ala, da un'autorità amministrativa della città di Betlemme, e da un ex comandante dei gruppi di combattimento.
Vite profondamente diverse ma con un denominatore comune fatto di posti di blocco, confini, muri di cemento armato, spari, "umilianti controlli di documenti", divise, esplosioni, e di tanta voglia di una vita "normale", tenaci tentativi di appianare le incomprensioni, allontanando il fantasma del carro armato che rade al suolo le case, o del gesto estremo di farsi esplodere.
L'opera quotidiana dei protagonisti è fatta di conferenze, incontri culturali, gesti rivoluzionari, presenza nelle aree difficili, organizzazione di manifestazioni, dialogo ed educazione alla pace. Il risultato della Pace in Medio Oriente resta ancora irrealizzato, ma gli spunti di riflessione sono davvero tanti, e portano ad interrogarsi sulla politica, sulla società, su come i media manipolino l'opinione pubblica, e su come la storia possa essere stravolta nell'interpretazione (nel film si sente dire che "i Palestinesi non sono un popolo, non lo sono mai stato e non lo potranno mai essere, dato che non hanno una storia e sono solo persone che vengono dalla Tunisia o da chissà dove").
Questa avventura in Medio Oriente ha portato anche alla stesura di un libro da lei intitolato Les coulisses de L'accord.



Voto: 22/30
 


BETWEEN THE LINES
di Thomas Wartmann
(stato/anno) (durata')

Il film indaga una realtà "tra le righe"; tra le righe della sessualità indiana, oltre al maschile e al femminile, vi è infatti una terza realtà: quella degli hijras, gli eunuchi che da secoli vivono ai margini della società indiana. Il regista si affida alla sensibilità ed empatia della fotografa indiana Anita Khemka, che da tempo è riuscita ad introdursi, a conoscere e fotografare queste persone.
Conosciamo così realtà diverse tra loro, dietro a un trucco pesante e vistoso, abiti in technicolor.
Nella società induista queste hijras, infertili, sono le custodi della dea della fertilità.
Rappresentanti di antichi splendori della società indiana, sono ormai costrette a vivere di elemosina e prostituzione aggirandosi per strada accompagnandosi col suono di un ritmico battere di mani, che a seconda dei casi è un benevolo accompagnamento alle benedizioni che impartiscono, o un minaccioso suono di iettatura.
Capaci di sentimenti drammaticamente intensi, dell'amore più tragico e incondizionato, difendono gelosamente la loro unica libertà : non essere né uomo né donna.
E' un peccato però che il film tralasci quasi completamente le motivazioni, anche storiche, del divenire hijras.
 

Voto: 22/30
 


THE GIANT BUDDHAS
di Christian Frei
(stato/anno) (durata')
con Nelofer Pazira, Xuanzang, Sayyed Mirza Hussain, Taysir Alony, Zémaryalaï Tarzi, Stefan Kurt, Peter Mettler

Prima mondiale a Locarno per il film di Christian Frei.
Tutti ricordiamo le immagini del marzo del 2001, quando, sei mesi prima degli attentati di New York, due statue monumentali del Buddha con tremila anni di storia, divennero il bersaglio di un inspiegabile fanatismo religioso e distrutte dai Talebani a Bâmiyân, nell'Afghanistan centrale. Un gesto così drammaticamente plateale servì ai Talebani per uscire dal dimenticatoio dei media e tornare a fare parlare di sé.
Frei costruisce il suo lavoro incrociando la storia, i documenti, vecchie foto, con quattro personaggi di diversa provenienza culturale che testimoniano il loro legame con queste statue.
Situate sulla strada che collega India e Cina, queste statue raccontano di un'epoca florida in cui la valle era un grande nodo commerciale e importante centro religioso.
Il primo testimone della tragedia operata dai Talebani è Sayyed Mirza Hussain, un hazara che vive con la famiglia in una delle grotte, sulla stessa parete rocciosa in cui si stagliavano i Buddha. Sayyed è musulmano. Quando descrive come è avvenuta la distruzione delle statue, il furto degli affreschi, è come se narrasse della distruzione della sua casa, come se narrasse di un'esecuzione.
In effetti, dopo la tragedia, l'intervento dell'Unesco ha proibito agli hazara di vivere nelle grotte che occupavano da centinaia di anni. Per "tutelare" il luogo è stata proibito di occuparlo e viverlo. Così ora nessuno veglierà più sugli affreschi millenari, e forse sarà più facile rubarli.
Secondo testimone è Taysir Alony, corrispondente in Afghanistan per Al Jazeera, che contravvenendo al divieto d'accesso posto dai Talebani, alla ricerca dello scoop ha filmato la distruzione delle statue.
Il film è costruito anche sulle lettere inviate da Frei a Nelofer Pazira, giornalista e scrittrice afgana, protagonista di "Viaggio a Kandahar", impegnata nelle rifiniture del suo libro "A bed of red flowers - in search for my Afghanistan".
Nelofer studia i racconti e le foto di suo padre, che ai tempi della scuola si recò a visitare i Buddha, ma deve vedere coi suoi occhi quel luogo. Vola fino a Kabul, visita il museo nazionale afgano, fuori del quale recita la scritta, quasi tristemente sarcastica, o a seconda delle interpretazioni, molto coraggiosa, "Una nazione è viva finché è viva la sua cultura". Finalmente giunta a Bâmiyân Nelofer è in piedi, sola, davanti alle nicchie che ospitavano i giganteschi Buddha. Tutto quello che le si sente mormorare, commossa, è un eloquentissimo "Jesus".
Ultimo testimone della enorme perdita delle millenarie statue è Zémaryalai Tarzi, archeologo e professore dell'Università di Strasburgo, sul posto per degli scavi, appassionato ricercatore di un terzo Buddha che secondo alcuni antichi testi dovrebbe essere sepolto da qualche parte nei pressi.
A questi testimoni si aggiunge la testimonianza di Xuanzang, pellegrino buddista di origine cinese che percorse a piedi all'incirca 16000 chilometri della via della seta partendo dalla Cina ed arrivando a Bâmiyân nel 632. Il suo diario di viaggio contiene una descrizione precisa della valle afgana nel VII secolo.
Seguendone le tracce, il regista cerca altri Buddha e tenta di risalire a ciò che furono i monumenti distrutti di cui il film svela le diverse valenze: simboli religiosi e politici, vestigia storiche e opere d'arte, nonché patrimonio di tutti. Nell'incredibile bellezza dello scenario di questi paesaggi d'Oriente il regista interroga con sensibilità il rapporto dell'uomo con la propria storia, la propria spiritualità, la violenza e il terrore; cerca negli sguardi dei suoi interlocutori una testimonianza.
 

 

Voto: 28/30
 

 

MERRY CHRISTMAS MR. LAWRENCE (FURYO)
di Nagisa Oshima
(stato/anno) (durata')
Con David Bowie, Tom Conti, Ryuchi Sakamoto, Takeshi "Beat" Kitano, Jack Thompson

In occasione dell'assegnazione del Premio Raimondo Rezzonico a Jeremy Tomas, in Piazza Grande è stato proiettato Merry Chrtistmas Mr. Lawrence (Furyo).

Giava, 1942. Durante la Seconda guerra mondiale, in un campo profughi giapponese affidato allo spietato capitano Yonoi (Ryuichi Sakamoto) e al sergente Gengo Hara (Takeshi Kitano) sono rinchiusi alcuni soldati inglesi.
Il comandante inglese John Lawrence (Tom Conti), anch'egli prigioniero, grazie alla sua conoscenza della cultura e della lingua giapponese ed a notevoli doti di diplomazia, riveste il di ruolo di mediatore tra carcerieri e detenuti.
L'arrivo del maggiore Celliers (David Bowie) dà l'avvio ad un ambiguo scambio di parti tra questi ed il capitano Yonoi, fatto di studio reciproco, ammirazione, repulsione, prove di forza e provocazioni, attrazione e seduzione.
Nel tentativo di ottenere dal bonario e leale colonnello Hicksley i nomi dei prigionieri esperti di armi Yonoi gli punta contro la pistola. A nulla valgono i tentativi di placare la situazione da parte di Lawrence. La prepotenza e crudeltà di Yonoi vengono arrestati brutalmente dall'intervento di Celliers, che in piedi davanti al suo nemico, disarmato, lo bacia su entrambe le guance, facendo in pezzi l'immagine e l'onore del samurai. Si esplicita ulterimente questo strano legame di morbosa attrazione di Yonoi verso l'inglese.
L'irrequieto Celliers pagherà con la vita questo gesto. Una morte lenta lo aspetta. Ma nella notte, lontano dagli sguardi Yonoi gli si avvicinerà per strappargli una ciocca di capelli e vederlo ancora una volta in faccia.
A guerra finita, in una cella, troviamo Lawrence in visita al prigioniero Hara: i ruoli si sono ribaltati, ma la "rigidità" militare è immutata. Questa volta è il sergente giapponese ad attendere l'esecuzione della propria condanna a morte. Lo scambio di battute tra i due è delicato e malinconico: sono due Persone intrappolate negli ottusi rigori della vita militare.
L'ultimo saluto di Hara è proprio "Merry Chrismas Mr Lawrence".
Bellissima la colonna sonora firmata dallo stesso Sakamoto. E buffa la situazione in cui Bowie canta, stonatissimo. Un po' lento però.
 


Voto: 20/30
 


ANTARMAHAL - WIEWS FROM THE INNER CHAMBER
di Rituparno Ghosh
(stato/anno) (durata')
Con Jackie Shroff, Abhishek Bachchan, Rupa Ganguly, Soha Ali Khan

Il regista ha dichiarato di avere scritto la sceneggiatura di questo film proprio durante il suo precedente soggiorno a Locarno, in occasione del Festival. Dato il brutto tempo è stato chiuso in camera molto spesso e così si è buttato su questo soggetto, ispirato dalla vicenda narrata da uno scrittore bengalese all'inizio del '900.Irene Bignardi, direttrice del Festival all'ultimo anno del suo mandato, introduce appassionatamente il regista e la sua opera, sottolineando la distanza della tradizione cinematografica bengalese con la produzione di Bhollywod.


Fine Ottocento. In un villaggio del Bengala un ricco e influente uomo tenta di tessere rapporti con gli inglesi, per arrivare ad ottenere il titolo britannico di Cavaliere ed i conseguenti privilegi. La pellicole si sviluppa interamente all'interno del palazzo del ricco indiano, e si è subito immersi nei colori, nei profumi e nelle atmosfere dell'India di quell'epoca.
Le tradizionali feste per la celebrazione della dea Durga stanno avvicinandosi e, in un patetico tentativo di ingraziarsi i favori della Corona britannica, l'uomo decide di stravolgere la tradizione e fare raffigurare la statua della divinità con il volto della giovane regina Vittoria.
Viene così convocato a palazzo un giovane scultore con il compito di realizzare la statua. L'arrivo coincide però con l'alterarsi degli equilibri della casa. Le due mogli del ricco indiano rinchiuse nella splendida dimora, al riparo degli sguardi di qualunque altro uomo, spiano da dietro le tende i movimenti dello scultore, incuriosite, trasognate ed attratte da quest'uomo aggraziato e gentile, così diametralmente lontano dal volgare e rude marito.
La telecamera si spinge fino nelle camere delle due mogli, a spiare con delicatezza l'intimità, i riti, le paure ed i gesti di Mahamaya, la prima moglie, e Jasomati, la seconda e giovane sposa, sulla quale il marito si sta accanendo nell'esercizio di una routinaria pratica amorosa nel tentativo di avere un erede. Tra le due donne vi un alternarsi di sentimenti di solidarietà, rivalità, gelosia e protezione.
E' quando Jasomati, disperata, verrà costretta ad avere rapporti alla presenza di un sacerdote che con le letture sacre deve propiziare il concepimento dell'erede, che tra le due donne si cementa una forte solidarietà.
La pellicola tratteggia la vita densa di superstizione e credenze dell'India di fine Ottocento, in cui le donne sono venerate come dee, ma nel contempo sono totalmente sottomesse al volere del proprio marito; dove i sacerdoti esercitano il loro potere sfruttando la superstizione della gente; in cui per sete di potere si è pronti a dimenticare la propria tradizione per accondiscendere alla potenza straniera... Il frusciare delle sete, i colori sgargianti, l'odore delle spezie che sembra quasi di poter sentire ci immergono in un certo esotismo, ma forse c'è qualcosa di non così lontano anche dalle nostre realtà.
 

 

Voto: 23/30
 

 

Locarno, 20:08:05