L'ACCORD
di Beatrice Guelpa , Nicolas Wadimoff
(stato/anno) (durata')
Dopo la cerimonia di ratifica dell'Accordo di Ginevra per la pace in
Medioriente del 1° dicembre 2003, i due registi svizzeri decidono di
indagare la quotidianità di alcuni dei firmatari dell'accordo.
Protagonisti del documentario, che concorre al Festival nella sezione dei
Cineasti del presente, sono tre palestinesi e tre israeliani, di estrazioni
completamente differenti tra loro, ma accomunati dal senso di "pace
possibile" tra i due popoli.
Nell'arco temporale di un anno viene seguita la vita di un pubblicitario
israeliano (ideatore della manifestazione online), da un archeologo,
condirettore dell'Associazione Riwa che cura il patrimonio artistico
palestinese, da una donna israeliana, da un ministro del governo di Abu Ala,
da un'autorità amministrativa della città di Betlemme, e da un ex comandante
dei gruppi di combattimento.
Vite profondamente diverse ma con un denominatore comune fatto di posti di
blocco, confini, muri di cemento armato, spari, "umilianti controlli di
documenti", divise, esplosioni, e di tanta voglia di una vita "normale",
tenaci tentativi di appianare le incomprensioni, allontanando il fantasma
del carro armato che rade al suolo le case, o del gesto estremo di farsi
esplodere.
L'opera quotidiana dei protagonisti è fatta di conferenze, incontri
culturali, gesti rivoluzionari, presenza nelle aree difficili,
organizzazione di manifestazioni, dialogo ed educazione alla pace. Il
risultato della Pace in Medio Oriente resta ancora irrealizzato, ma gli
spunti di riflessione sono davvero tanti, e portano ad interrogarsi sulla
politica, sulla società, su come i media manipolino l'opinione pubblica, e
su come la storia possa essere stravolta nell'interpretazione (nel film si
sente dire che "i Palestinesi non sono un popolo, non lo sono mai stato e
non lo potranno mai essere, dato che non hanno una storia e sono solo
persone che vengono dalla Tunisia o da chissà dove").
Questa avventura in Medio Oriente ha portato anche alla stesura di un libro
da lei intitolato Les coulisses de L'accord.

Voto: 22/30
BETWEEN THE LINES
di Thomas Wartmann
(stato/anno) (durata')
Il film indaga una realtà "tra le righe"; tra le righe della sessualità
indiana, oltre al maschile e al femminile, vi è infatti una terza realtà:
quella degli hijras, gli eunuchi che da secoli vivono ai margini della
società indiana. Il regista si affida alla sensibilità ed empatia della
fotografa indiana Anita Khemka, che da tempo è riuscita ad introdursi, a
conoscere e fotografare queste persone.
Conosciamo così realtà diverse tra loro, dietro a un trucco pesante e
vistoso, abiti in technicolor.
Nella società induista queste hijras, infertili, sono le custodi della dea
della fertilità.
Rappresentanti di antichi splendori della società indiana, sono ormai
costrette a vivere di elemosina e prostituzione aggirandosi per strada
accompagnandosi col suono di un ritmico battere di mani, che a seconda dei
casi è un benevolo accompagnamento alle benedizioni che impartiscono, o un
minaccioso suono di iettatura.
Capaci di sentimenti drammaticamente intensi, dell'amore più tragico e
incondizionato, difendono gelosamente la loro unica libertà : non essere né
uomo né donna.
E' un peccato però che il film tralasci quasi completamente le motivazioni,
anche storiche, del divenire hijras.
Voto: 22/30
THE GIANT BUDDHAS
di Christian Frei
(stato/anno) (durata')
con Nelofer Pazira, Xuanzang, Sayyed Mirza Hussain, Taysir Alony, Zémaryalaï
Tarzi, Stefan Kurt, Peter Mettler
Prima mondiale a Locarno per il film di Christian Frei.
Tutti ricordiamo le immagini del marzo del 2001, quando, sei mesi prima
degli attentati di New York, due statue monumentali del Buddha con tremila
anni di storia, divennero il bersaglio di un inspiegabile fanatismo
religioso e distrutte dai Talebani a Bâmiyân, nell'Afghanistan centrale. Un
gesto così drammaticamente plateale servì ai Talebani per uscire dal
dimenticatoio dei media e tornare a fare parlare di sé.
Frei costruisce il suo lavoro incrociando la storia, i documenti, vecchie
foto, con quattro personaggi di diversa provenienza culturale che
testimoniano il loro legame con queste statue.
Situate sulla strada che collega India e Cina, queste statue raccontano di
un'epoca florida in cui la valle era un grande nodo commerciale e importante
centro religioso.
Il primo testimone della tragedia operata dai Talebani è Sayyed Mirza
Hussain, un hazara che vive con la famiglia in una delle grotte, sulla
stessa parete rocciosa in cui si stagliavano i Buddha. Sayyed è musulmano.
Quando descrive come è avvenuta la distruzione delle statue, il furto degli
affreschi, è come se narrasse della distruzione della sua casa, come se
narrasse di un'esecuzione.
In effetti, dopo la tragedia, l'intervento dell'Unesco ha proibito agli
hazara di vivere nelle grotte che occupavano da centinaia di anni. Per
"tutelare" il luogo è stata proibito di occuparlo e viverlo. Così ora
nessuno veglierà più sugli affreschi millenari, e forse sarà più facile
rubarli.
Secondo testimone è Taysir Alony, corrispondente in Afghanistan per Al
Jazeera, che contravvenendo al divieto d'accesso posto dai Talebani, alla
ricerca dello scoop ha filmato la distruzione delle statue.
Il film è costruito anche sulle lettere inviate da Frei a Nelofer Pazira,
giornalista e scrittrice afgana, protagonista di "Viaggio a Kandahar",
impegnata nelle rifiniture del suo libro "A bed of red flowers - in search
for my Afghanistan".
Nelofer studia i racconti e le foto di suo padre, che ai tempi della scuola
si recò a visitare i Buddha, ma deve vedere coi suoi occhi quel luogo. Vola
fino a Kabul, visita il museo nazionale afgano, fuori del quale recita la
scritta, quasi tristemente sarcastica, o a seconda delle interpretazioni,
molto coraggiosa, "Una nazione è viva finché è viva la sua cultura".
Finalmente giunta a Bâmiyân Nelofer è in piedi, sola, davanti alle nicchie
che ospitavano i giganteschi Buddha. Tutto quello che le si sente mormorare,
commossa, è un eloquentissimo "Jesus".
Ultimo testimone della enorme perdita delle millenarie statue è Zémaryalai
Tarzi, archeologo e professore dell'Università di Strasburgo, sul posto per
degli scavi, appassionato ricercatore di un terzo Buddha che secondo alcuni
antichi testi dovrebbe essere sepolto da qualche parte nei pressi.
A questi testimoni si aggiunge la testimonianza di Xuanzang, pellegrino
buddista di origine cinese che percorse a piedi all'incirca 16000 chilometri
della via della seta partendo dalla Cina ed arrivando a Bâmiyân nel 632. Il
suo diario di viaggio contiene una descrizione precisa della valle afgana
nel VII secolo.
Seguendone le tracce, il regista cerca altri Buddha e tenta di risalire a
ciò che furono i monumenti distrutti di cui il film svela le diverse
valenze: simboli religiosi e politici, vestigia storiche e opere d'arte,
nonché patrimonio di tutti. Nell'incredibile bellezza dello scenario di
questi paesaggi d'Oriente il regista interroga con sensibilità il rapporto
dell'uomo con la propria storia, la propria spiritualità, la violenza e il
terrore; cerca negli sguardi dei suoi interlocutori una testimonianza.

Voto: 28/30
MERRY CHRISTMAS MR. LAWRENCE (FURYO)
di Nagisa Oshima
(stato/anno) (durata')
Con David Bowie, Tom Conti, Ryuchi Sakamoto, Takeshi "Beat" Kitano, Jack
Thompson
In occasione dell'assegnazione del Premio Raimondo Rezzonico a Jeremy Tomas,
in Piazza Grande è stato proiettato Merry Chrtistmas Mr. Lawrence (Furyo).
Giava, 1942. Durante la Seconda guerra mondiale, in un campo profughi
giapponese affidato allo spietato capitano Yonoi (Ryuichi Sakamoto) e al
sergente Gengo Hara (Takeshi Kitano) sono rinchiusi alcuni soldati inglesi.
Il comandante inglese John Lawrence (Tom Conti), anch'egli prigioniero,
grazie alla sua conoscenza della cultura e della lingua giapponese ed a
notevoli doti di diplomazia, riveste il di ruolo di mediatore tra carcerieri
e detenuti.
L'arrivo del maggiore Celliers (David Bowie) dà l'avvio ad un ambiguo
scambio di parti tra questi ed il capitano Yonoi, fatto di studio reciproco,
ammirazione, repulsione, prove di forza e provocazioni, attrazione e
seduzione.
Nel tentativo di ottenere dal bonario e leale colonnello Hicksley i nomi dei
prigionieri esperti di armi Yonoi gli punta contro la pistola. A nulla
valgono i tentativi di placare la situazione da parte di Lawrence. La
prepotenza e crudeltà di Yonoi vengono arrestati brutalmente dall'intervento
di Celliers, che in piedi davanti al suo nemico, disarmato, lo bacia su
entrambe le guance, facendo in pezzi l'immagine e l'onore del samurai. Si
esplicita ulterimente questo strano legame di morbosa attrazione di Yonoi
verso l'inglese.
L'irrequieto Celliers pagherà con la vita questo gesto. Una morte lenta lo
aspetta. Ma nella notte, lontano dagli sguardi Yonoi gli si avvicinerà per
strappargli una ciocca di capelli e vederlo ancora una volta in faccia.
A guerra finita, in una cella, troviamo Lawrence in visita al prigioniero
Hara: i ruoli si sono ribaltati, ma la "rigidità" militare è immutata.
Questa volta è il sergente giapponese ad attendere l'esecuzione della
propria condanna a morte. Lo scambio di battute tra i due è delicato e
malinconico: sono due Persone intrappolate negli ottusi rigori della vita
militare.
L'ultimo saluto di Hara è proprio "Merry Chrismas Mr Lawrence".
Bellissima la colonna sonora firmata dallo stesso Sakamoto. E buffa la
situazione in cui Bowie canta, stonatissimo. Un po' lento però.

Voto: 20/30
ANTARMAHAL - WIEWS FROM THE INNER CHAMBER
di Rituparno Ghosh
(stato/anno) (durata')
Con Jackie Shroff, Abhishek Bachchan, Rupa Ganguly, Soha Ali Khan
Il regista ha dichiarato di avere scritto la sceneggiatura di questo film
proprio durante il suo precedente soggiorno a Locarno, in occasione del
Festival. Dato il brutto tempo è stato chiuso in camera molto spesso e così
si è buttato su questo soggetto, ispirato dalla vicenda narrata da uno
scrittore bengalese all'inizio del '900.Irene Bignardi, direttrice del
Festival all'ultimo anno del suo mandato, introduce appassionatamente il
regista e la sua opera, sottolineando la distanza della tradizione
cinematografica bengalese con la produzione di Bhollywod.
Fine Ottocento. In un villaggio del Bengala un ricco e influente uomo tenta
di tessere rapporti con gli inglesi, per arrivare ad ottenere il titolo
britannico di Cavaliere ed i conseguenti privilegi. La pellicole si sviluppa
interamente all'interno del palazzo del ricco indiano, e si è subito immersi
nei colori, nei profumi e nelle atmosfere dell'India di quell'epoca.
Le tradizionali feste per la celebrazione della dea Durga stanno
avvicinandosi e, in un patetico tentativo di ingraziarsi i favori della
Corona britannica, l'uomo decide di stravolgere la tradizione e fare
raffigurare la statua della divinità con il volto della giovane regina
Vittoria.
Viene così convocato a palazzo un giovane scultore con il compito di
realizzare la statua. L'arrivo coincide però con l'alterarsi degli equilibri
della casa. Le due mogli del ricco indiano rinchiuse nella splendida dimora,
al riparo degli sguardi di qualunque altro uomo, spiano da dietro le tende i
movimenti dello scultore, incuriosite, trasognate ed attratte da quest'uomo
aggraziato e gentile, così diametralmente lontano dal volgare e rude marito.
La telecamera si spinge fino nelle camere delle due mogli, a spiare con
delicatezza l'intimità, i riti, le paure ed i gesti di Mahamaya, la prima
moglie, e Jasomati, la seconda e giovane sposa, sulla quale il marito si sta
accanendo nell'esercizio di una routinaria pratica amorosa nel tentativo di
avere un erede. Tra le due donne vi un alternarsi di sentimenti di
solidarietà, rivalità, gelosia e protezione.
E' quando Jasomati, disperata, verrà costretta ad avere rapporti alla
presenza di un sacerdote che con le letture sacre deve propiziare il
concepimento dell'erede, che tra le due donne si cementa una forte
solidarietà.
La pellicola tratteggia la vita densa di superstizione e credenze dell'India
di fine Ottocento, in cui le donne sono venerate come dee, ma nel contempo
sono totalmente sottomesse al volere del proprio marito; dove i sacerdoti
esercitano il loro potere sfruttando la superstizione della gente; in cui
per sete di potere si è pronti a dimenticare la propria tradizione per
accondiscendere alla potenza straniera... Il frusciare delle sete, i colori
sgargianti, l'odore delle spezie che sembra quasi di poter sentire ci
immergono in un certo esotismo, ma forse c'è qualcosa di non così lontano
anche dalle nostre realtà.

Voto: 23/30
Locarno, 20:08:05 |