NICOTINA
di Hugo Rodriguez
(Messico, 2003)
“Vivir es nocivo para la salud”: la frase sorniona che chiude i titoli di
coda e strappa un sorriso di complicità. Ritmo, adrenalina, humour grottesco
e macabro, gusto dello splatter, in un costante ammiccamento a
Pulp Fiction
che sfiora l’omaggio, montaggio rapidissimo,travolgente effetto domino. Gli
ingredienti del successo ci sono tutti in questa divertente black comedy
messicana (a breve verrà distribuita nelle sale italiane) presentata allo
scorso Sundance e all’interno del nostro Pesaro FilmFest e ottimamente
accolta da pubblico e critica. Personaggi, divisi da sei gradi di
separazione o meno, coinvolti o meglio travolti da una concatenazione di
avvenimenti che ne mutano le esistenze facendo esplodere una ridda di
sentimenti estremi: gelosia, avidità, ossessione amorosa, rancori,
insoddisfazioni. A mettere in moto la vicenda è Lolo, hacker informatico, un
ventenne goffo e un po’ “nerd”, ossessionato dalla bella vicina, la
musicista Andrea, la cui casa ha tappezzato di cimici, microspie e
apparecchi per intercettarne le telefonate e per poterla spiare e contollare
in ogni momento. Due malviventi di mezza tacca, il giovane Nene e Beto, gli
commissionano un grosso lavoro: si tratta di recuperare i codici d’accesso
ai conti di una Banca svizzera e consegnare il dischetto a un mafioso russo
che come contropartita ha promesso loro una manciata di diamanti.Tutto
sembra filare liscio, finchè per un errore di Lolo Andrea non si accorge che
il ragazzo la sta spiando. Infuriata gli mette sottosopra l’appartamento,
rovesciando a terra e dando fuoco anche ai cd rom tra i quali si trova
quello preziosissimo da consegnare a Nene e Beto. Lo scambio non voluto dei
cd scatena l’ira del russo che si sente tradito, e nasce una sparatoria
all’interno dell’appartamento dove gli uomini dovrebbero concludere
l’affare. Nene e il russo sono feriti, tutti scappano per le vie di una
Mexico City da fumetto senza capire bene chi sia l’inseguitore e che
l’inseguito. E a poco a poco altri personaggi finiscono per essere
inghiottiti dall’inarrestabile spirale degli eventi messa in moto
dall’ignaro Lolo (che a tratti sembra una sorta di macchietta comica da
film muto): la bella farmacista angariata dal marito nervoso per la mancanza
di sigarette dalle quali sta tentando a fatica di liberarsi, che nasconde
Nene ferito sotto la minaccia delle pistole. Il barbiere mite e la moglie
nevrotica dalla chioma rosso fuoco nella cui bottega va a morire il
gigantesco russo assieme al bottino di diamanti. In un crescendo di
grottesco nonsense la moglie del barbiere, intravisto il miraggio di una
ricchezza facile a lungo agognata, impugna una pistola facendo secchi sotto
gli occhi esterrefatti del marito tutti i malcapitati che si frappongono tra
lei e quei diamanti che crede siano nascosto nell’enorme pancia del russo,
che non si fa scrupoli a squartare con un rasoio per raggiungere il suo
sogno di felicità. Alla fine inaspettatamente è Lolo a ritrovarsi la fortuna
tra le mani- i diamanti, la personificazione stessa del desiderio, la sua
concretizzazione, nascosti in una bambola di pezza. Ma è sempre vero che le
sigarette fanno male, ed una sola può uccidere all’istante, più di una
pallottola di Magnum…
Ironica e divertente la pellicola di Rodriguez ci mostra un mondo caotico e
surreale, dove la volontà conta ben poco. Come tenta di spiegare Nene ad un
Beto poco convinto e irritato (ci ricordano forse un altro ben più famoso
dialogo tra Samuel L. Jackson e Travolta? Medesima ambientazione, una
macchina…) non sono le sigarette ad uccidere: devono esserci una serie di
coincidenze che vanno a incastrarsi e non lasciano vie di fuga, ciò che
accade a tutti i personaggi di una vicenda che non ha vincitori né vinti. In
fondo una morbida sigaretta tra le labbra è una delle poche cose per cui
valga la pena vivere, e forse morire.. E in fondo l’esistenza può rivelarsi
più rapidamente letale della dose quotidiana di nicotina aspirata con
voluttà. Il montaggio rapidissimo, gli split screen, la camera che con zoom
rapidissimi piomba su un volto o un particolare dandoci gli indizi di ciò
che dovremo aspettarci dopo, con l’espediente dell’inserzione rettangolare
sul particolare su cui si vuole focalizzare l’attenzione, sono per ammissione
dello stesso regista derivati da Tarantino come dall’influenza dei serial
televisivi, da “L’uomo da un milione di dollari” al recentissimo "C.S.I.". Un
buon film, dissacrante al punto giusto, ironico e godibilissimo.
Voto: 30/30
CONTRA TODOS
di Roberto Moreira
(Brasile, 2004)
Dov’è finito il Brasile dei meninos da rua? Quello che smuove le
nostre comode e assopite coscienze di occidentali suscitando un moto di
sdegno e pietà, che ci potrebbe anche far andare di traverso- ma solo per
poco- le noccioline sgranocchiate davanti al grande schermo? Se il nuovo
cinema sudamericano voleva dare uno scossone, disattendere le aspettative di
chi con calcolata empatia assolve ai suoi doveri di buon cristiano e
cittadino modello versando una lacrimuccia sulla sventurata sorte di chi non
ha nulla, pare che la direzione sia quella giusta. Non occhioni sgranati e
innocenti che possano muovere a compassione, niente sguardi caritatevoli si
attirano i personaggi dell’universo in disgregazione di questo bel film
presentato fuori concorso all’ultimo festival di Berlino. La capitale San
Paolo è un grigio agglomerato di edifici rionali, banconi di macelleria,
strade brulicanti di sfaccendati operai casalinghe, di notte freddamente
illuminati dalla fluorescenza delle luci al neon. Non la povertà disperata
della favela, quella miseria che conserva un certo grado di purezza e
poeticità nei giochi dei bambini tra baracche fatiscenti, ma il brutto senza
scampo, lo squallore della periferia di una capitale immensa, di esistenze
anonime inchiodate nel cerchio chiuso di una quotidianità senza orizzonti e
prospettive.
Teodoro vive con la figlia Soninha, adolescente grunge, spigolosa e
imbronciata alla Kurt Cobain (il cui poster giganteggia nella sua camera da
letto) e alla sua seconda moglie Claudia, giovane e attraente matrigna. Una
normale famiglia del ceto medio basso che conduce una normale esistenza,
senza slanci e senza drammi, almeno in apparenza, con immancabile contorno
di preghiere di ringraziamento al signore prima di cena sul sottofondo delle
risatine di scherno della ribelle Soninha. Ma il marcio che cova dietro non
fa fatica a venire a galla. Claudia non manca di fare sfoggio delle sue
golose curve per le strade di quartiere, e mentre il marito è fuori casa il
giovane figlio del macellaio di quartiere si gode la sua smaliziata
avvenenza. Teodoro e il corpulento amico Waldomiro sbrigano occasionali
lavori per i ricettatori del quartiere, pestaggi e omicidi, fastidiosi fatti
di cronaca nera, corpi senza storia che diventano solo numeri sui grafici
che segnano le curve della violenza metropolitana. Per caso dalla voce della
figliastra Claudia viene a sapere dell’assassinio del suo giovane amante e
disperata mette a soqquadro la casa, raccoglie le proprie cose e se ne va,
persa per le strade di una città immensa che non le offre alcun rifugio, né
quella speranza di fuga che da tempo cova. La raccatta, seduta a fianco di
una serranda abbassata nella notte rumorosa di San Paolo lo stesso Waldomiro
che le offre un momentaneo rifugio in un albergo, dove naturalmente non
tarda a trovarsi un compagno di letto nel ragazzone della reception. Teodoro
cerca la moglie, anche se intrattiene anch’egli una relazione con Teresina,
una giovane e devota evangelista nella quale vede forse una speranza di
redenzione, di catarsi. In lui convivono dannazione e ansia di
purificazione, mani imbrattate di sangue e giunte in preghiera, in
un’inestricabile groviglio di irrazionalità che non lascia spazio né
all’odio né alla compassione da parte dello spettatore che assiste al
definitivo consumarsi di una vicenda da tragedia shakespeariana. E ormai
assuefatti allo squallore sfilano le immagini di altri omicidi, del
ferocemente assurdo pestaggio del nuovo amante di Claudia in pieno giorno,
senza testimoni, delle acrobazie erotiche di Waldomiro e dell’acerba Soninha
col suo corpo scheletrico e pallido su quello nero e immenso dell’uomo. La
vicenda volge rovinosamente alla sua conclusione quando Teresina, cui
Teodoro ha chiesto la mano ripudiando la moglie, riceve una videocassetta in
cui sono filmate le performances di Claudia e Teodoro in camera da letto, e
quando Claudia, giunta alla conclusione che i suoi amanti siano vittime
della mano del marito, torna a casa. Il tragico epilogo lascia spazio dopo
di sé ad alcuni flash back e a una scena finale spiazzanti e
sorprendentemente rivelatori. Una pellicola dura e tagliente, dalla regia
spietata. L’occhio della telecamera si mantiene freddo senza indulgere in
banale carità o empatia. Tutti i personaggi ci coinvolgono, e tutti peraltro
sono magnificamente interpretati ( altissima ci è parsa la qualità della
recitazione in molti dei film passati in rassegna) ma a nessuno lo
spettatore può dirsi legato da un sentimento di partecipazione, di pietà
come di odio. E forse è proprio nella freddezza clinica della
rappresentazione che sta la forza di questa pellicola che si lascia alle
spalle i luoghi comuni più triti e banali sulla miseria da terzo mondo per
condurci per mano in un viaggio all’inferno. Di sola andata.
Voto 27/30
Bologna, 08:11:2004 |