IBERAMERICANA 2004

 

03/09:11:2004

BOLOGNA

di Luciana APICELLA

NICOTINA
di Hugo Rodriguez

(Messico, 2003)


“Vivir es nocivo para la salud”: la frase sorniona che chiude i titoli di coda e strappa un sorriso di complicità. Ritmo, adrenalina, humour grottesco e macabro, gusto dello splatter, in un costante ammiccamento a Pulp Fiction che sfiora l’omaggio, montaggio rapidissimo,travolgente effetto domino. Gli ingredienti del successo ci sono tutti in questa divertente black comedy messicana (a breve verrà distribuita nelle sale italiane) presentata allo scorso Sundance e all’interno del nostro Pesaro FilmFest e ottimamente accolta da pubblico e critica. Personaggi, divisi da sei gradi di separazione o meno, coinvolti o meglio travolti da una concatenazione di avvenimenti che ne mutano le esistenze facendo esplodere una ridda di sentimenti estremi: gelosia, avidità, ossessione amorosa, rancori, insoddisfazioni. A mettere in moto la vicenda è Lolo, hacker informatico, un ventenne goffo e un po’ “nerd”, ossessionato dalla bella vicina, la musicista Andrea, la cui casa ha tappezzato di cimici, microspie e apparecchi per intercettarne le telefonate e per poterla spiare e contollare in ogni momento. Due malviventi di mezza tacca, il giovane Nene e Beto, gli commissionano un grosso lavoro: si tratta di recuperare i codici d’accesso ai conti di una Banca svizzera e consegnare il dischetto a un mafioso russo che come contropartita ha promesso loro una manciata di diamanti.Tutto sembra filare liscio, finchè per un errore di Lolo Andrea non si accorge che il ragazzo la sta spiando. Infuriata gli mette sottosopra l’appartamento, rovesciando a terra e dando fuoco anche ai cd rom tra i quali si trova quello preziosissimo da consegnare a Nene e Beto. Lo scambio non voluto dei cd scatena l’ira del russo che si sente tradito, e nasce una sparatoria all’interno dell’appartamento dove gli uomini dovrebbero concludere l’affare. Nene e il russo sono feriti, tutti scappano per le vie di una Mexico City da fumetto senza capire bene chi sia l’inseguitore e che l’inseguito. E a poco a poco altri personaggi finiscono per essere inghiottiti dall’inarrestabile spirale degli eventi messa in moto dall’ignaro Lolo (che a tratti sembra una sorta di macchietta comica da film muto): la bella farmacista angariata dal marito nervoso per la mancanza di sigarette dalle quali sta tentando a fatica di liberarsi, che nasconde Nene ferito sotto la minaccia delle pistole. Il barbiere mite e la moglie nevrotica dalla chioma rosso fuoco nella cui bottega va a morire il gigantesco russo assieme al bottino di diamanti. In un crescendo di grottesco nonsense la moglie del barbiere, intravisto il miraggio di una ricchezza facile a lungo agognata, impugna una pistola facendo secchi sotto gli occhi esterrefatti del marito tutti i malcapitati che si frappongono tra lei e quei diamanti che crede siano nascosto nell’enorme pancia del russo, che non si fa scrupoli a squartare con un rasoio per raggiungere il suo sogno di felicità. Alla fine inaspettatamente è Lolo a ritrovarsi la fortuna tra le mani- i diamanti, la personificazione stessa del desiderio, la sua concretizzazione, nascosti in una bambola di pezza. Ma è sempre vero che le sigarette fanno male, ed una sola può uccidere all’istante, più di una pallottola di Magnum…
Ironica e divertente la pellicola di Rodriguez ci mostra un mondo caotico e surreale, dove la volontà conta ben poco. Come tenta di spiegare Nene ad un Beto poco convinto e irritato (ci ricordano forse un altro ben più famoso dialogo tra Samuel L. Jackson e Travolta? Medesima ambientazione, una macchina…) non sono le sigarette ad uccidere: devono esserci una serie di coincidenze che vanno a incastrarsi e non lasciano vie di fuga, ciò che accade a tutti i personaggi di una vicenda che non ha vincitori né vinti. In fondo una morbida sigaretta tra le labbra è una delle poche cose per cui valga la pena vivere, e forse morire.. E in fondo l’esistenza può rivelarsi più rapidamente letale della dose quotidiana di nicotina aspirata con voluttà. Il montaggio rapidissimo, gli split screen, la camera che con zoom rapidissimi piomba su un volto o un particolare dandoci gli indizi di ciò che dovremo aspettarci dopo, con l’espediente dell’inserzione rettangolare sul particolare su cui si vuole focalizzare l’attenzione, sono per ammissione dello stesso regista derivati da Tarantino come dall’influenza dei serial televisivi, da “L’uomo da un milione di dollari” al recentissimo "C.S.I.". Un buon film, dissacrante al punto giusto, ironico e godibilissimo.

Voto: 30/30
 

 

CONTRA TODOS

di Roberto Moreira

(Brasile, 2004)

Dov’è finito il Brasile dei meninos da rua? Quello che smuove le nostre comode e assopite coscienze di occidentali suscitando un moto di sdegno e pietà, che ci potrebbe anche far andare di traverso- ma solo per poco- le noccioline sgranocchiate davanti al grande schermo? Se il nuovo cinema sudamericano voleva dare uno scossone, disattendere le aspettative di chi con calcolata empatia assolve ai suoi doveri di buon cristiano e cittadino modello versando una lacrimuccia sulla sventurata sorte di chi non ha nulla, pare che la direzione sia quella giusta. Non occhioni sgranati e innocenti che possano muovere a compassione, niente sguardi caritatevoli si attirano i personaggi dell’universo in disgregazione di questo bel film presentato fuori concorso all’ultimo festival di Berlino. La capitale San Paolo è un grigio agglomerato di edifici rionali, banconi di macelleria, strade brulicanti di sfaccendati operai casalinghe, di notte freddamente illuminati dalla fluorescenza delle luci al neon. Non la povertà disperata della favela, quella miseria che conserva un certo grado di purezza e poeticità nei giochi dei bambini tra baracche fatiscenti, ma il brutto senza scampo, lo squallore della periferia di una capitale immensa, di esistenze anonime inchiodate nel cerchio chiuso di una quotidianità senza orizzonti e prospettive.
Teodoro vive con la figlia Soninha, adolescente grunge, spigolosa e imbronciata alla Kurt Cobain (il cui poster giganteggia nella sua camera da letto) e alla sua seconda moglie Claudia, giovane e attraente matrigna. Una normale famiglia del ceto medio basso che conduce una normale esistenza, senza slanci e senza drammi, almeno in apparenza, con immancabile contorno di preghiere di ringraziamento al signore prima di cena sul sottofondo delle risatine di scherno della ribelle Soninha. Ma il marcio che cova dietro non fa fatica a venire a galla. Claudia non manca di fare sfoggio delle sue golose curve per le strade di quartiere, e mentre il marito è fuori casa il giovane figlio del macellaio di quartiere si gode la sua smaliziata avvenenza. Teodoro e il corpulento amico Waldomiro sbrigano occasionali lavori per i ricettatori del quartiere, pestaggi e omicidi, fastidiosi fatti di cronaca nera, corpi senza storia che diventano solo numeri sui grafici che segnano le curve della violenza metropolitana. Per caso dalla voce della figliastra Claudia viene a sapere dell’assassinio del suo giovane amante e disperata mette a soqquadro la casa, raccoglie le proprie cose e se ne va, persa per le strade di una città immensa che non le offre alcun rifugio, né quella speranza di fuga che da tempo cova. La raccatta, seduta a fianco di una serranda abbassata nella notte rumorosa di San Paolo lo stesso Waldomiro che le offre un momentaneo rifugio in un albergo, dove naturalmente non tarda a trovarsi un compagno di letto nel ragazzone della reception. Teodoro cerca la moglie, anche se intrattiene anch’egli una relazione con Teresina, una giovane e devota evangelista nella quale vede forse una speranza di redenzione, di catarsi. In lui convivono dannazione e ansia di purificazione, mani imbrattate di sangue e giunte in preghiera, in un’inestricabile groviglio di irrazionalità che non lascia spazio né all’odio né alla compassione da parte dello spettatore che assiste al definitivo consumarsi di una vicenda da tragedia shakespeariana. E ormai assuefatti allo squallore sfilano le immagini di altri omicidi, del ferocemente assurdo pestaggio del nuovo amante di Claudia in pieno giorno, senza testimoni, delle acrobazie erotiche di Waldomiro e dell’acerba Soninha col suo corpo scheletrico e pallido su quello nero e immenso dell’uomo. La vicenda volge rovinosamente alla sua conclusione quando Teresina, cui Teodoro ha chiesto la mano ripudiando la moglie, riceve una videocassetta in cui sono filmate le performances di Claudia e Teodoro in camera da letto, e quando Claudia, giunta alla conclusione che i suoi amanti siano vittime della mano del marito, torna a casa. Il tragico epilogo lascia spazio dopo di sé ad alcuni flash back e a una scena finale spiazzanti e sorprendentemente rivelatori. Una pellicola dura e tagliente, dalla regia spietata. L’occhio della telecamera si mantiene freddo senza indulgere in banale carità o empatia. Tutti i personaggi ci coinvolgono, e tutti peraltro sono magnificamente interpretati ( altissima ci è parsa la qualità della recitazione in molti dei film passati in rassegna) ma a nessuno lo spettatore può dirsi legato da un sentimento di partecipazione, di pietà come di odio. E forse è proprio nella freddezza clinica della rappresentazione che sta la forza di questa pellicola che si lascia alle spalle i luoghi comuni più triti e banali sulla miseria da terzo mondo per condurci per mano in un viaggio all’inferno. Di sola andata.
Voto 27/30
 

 

Bologna, 08:11:2004