5nto HUMAN RIGHTS NIGHT

INTERNATIONAL FILM FESTIVAL
07/15:04:2005

BOLOGNA

 

RECENSIONI

 

ORIGINAL CHILD BOMB

di Carey Schonegevel

(USA/2004) (57')


Il film vincitore dello Human Rights 2005 è una drammatica e poetica riflessione sull'Era Atomica, realizzato grazie ad una produttrice dai genitori pacifisti, in occasione del 60.mo anniversario della distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Ispirato ai versi di una poesia di Thomas Merton, ORIGINAL CHILD BOMB ci trasporta attraverso immagini inedite, alcune da poco declassificate, e testimonianze agghiaccianti, in un vero e proprio "libro da vedere", con le sue storie, le sue biografie, i suoi capitoli. Ci mostra il paradosso della società giapponese coeva, espresso nell'adolescente di Hiroshima, che "fa l'Americano", pur movendosi - grazie ad un effetto speciale - tra i resti dell'Hiroshima appena nuclearizzata. Ci mostra anche la testimonianza dei soldati statunitensi che furono usati come cavie prima della capitolazione giapponese, portati in mezzo al deserto ed esposti alle esplosioni atomiche: e la lotta dei sopravvissuti, che per il Governo Americano non esistono più. Ma ci ricorda anche altro, nella riflessione che si sviluppa nella visione, ossia che gli unici che finora hanno utilizzato un arma nucleare, contro i propri simili, come deterrente, sono gli stessi che ora, a voce di George W. Bush Jr farneticano sul terrorismo islamico e sulla Guerra al Terrore.

Homo homini lupus.

 

Voto: 30+/30
 

 

X ILARIA

di C. Amanpour, G. Botteri, K. Adie, R.M. Calaf, C. Gentile, A. Seierstad, M. R. Arnesto

(Italia/2004) (30')


Tutto sommato inutile questo mediometraggio che unisce i servizi di vari e più o meno famosi inviati di guerra in omaggio al lavoro di Ilaria Alpi. Da un titolo così ci si aspettava un inchiesta sulle ragioni che hanno portato all'omicidio della giornalista e del suo collaboratore. Ne hanno parlato altri, ne abbiamo parlato anche noi.

Voto: 18/30


PRIVATE

di Saverio Costanzo

(Italia/2004) (90')

 

Finalmente un film italiano bello. Bello, coraggioso, commovente. Finalmente un film italiano lontano anni luce dalla faciloneria degli intimismi mucciniani, delle crisi da trentenni-eterni-peter pan, dai film “paraculi” (definizione splendida!) alla manuale d’amore. Finalmente un film italiano che però non sembra girato da un italiano, con un digitale sporco e un’immagine costantemente mossa, sgranata, a dare una sensazione di maggior realismo a una vicenda paradossale e reale, fatta di violenza e dignità difesa fino all’estremo. Il giovane Costanzo jr si era prestato fino ad ora, come apprendiamo leggendo alcune note biografiche, al documentario. Il suo primo lungometraggio premiato col Pardo d’Oro al Festival di Locarno ne mostra la maturità di cineasta sapiente e consumato. La vicenda si svolge interamente all’interno di una casa, isolata all’esterno, circondata solo da un terreno brullo, nella zona dei territori occupati palestinesi (la fotografia è interamente giocata su tinte spente, aride, e molte delle azioni sono riprese in notturna). Mohammed è un docente di letteratura, convinto della necessità di opporre una resistenza non armata, fatta soltanto della strenua difesa della propria dignità di uomo e padre, alle possibili rappresaglie dell’esercito israeliano. La moglie è spaventata, teme per l’incolumità dei figli e vorrebbe fuggire, abbandonare la casa. Un gesto che per Mohammed rappresenterebbe la sconfitta (“Se fuggiamo ora saremo costretti a fuggire per sempre”), che equivarrebbe a lasciare ai propri figli un’eredità fatta di viltà e rassegnazione. Così, quando una notte un gruppo di soldati israeliani irrompe nell’abitazione e la dichiara di proprietà dell’esercito israeliano Mohammed non si piega alle intimidaziono: i soldati occuperanno il primo piano della casa, mentre loro potranno restare al piano terra e continuare a svolgere la loro quotidiana esistenza, col divieto assoluto di salire le scale che separano quei due mondi. Così il paradosso diventa quotidianità. Di sopra i soldati pianificano le loro strategie, fanno sentinelle, sparano all’esterno, di sotto si continua a vivere, a cucinare, a fare i compiti come inflessibilmente e a tratti incomprensibilmente si ostina a volere il capo famiglia imponendo di forza la sua autorità e le sue decisioni. La vita deve proseguire, questa è l’unica arma che egli ha a disposizione. Due dei suoi figli più grandi non condividono questo atteggiamento che vivono come un piegare il capo alla prepotenza: vorrebbero resistere con altre armi che non quelle della paterna cocciutaggine, anche a costo di mettere a repentaglio la vita dei loro stessi cari. Anche al piano superiore convivono anime diverse, tra i privates (il titolo è volutamente ambiguo, riferendosi il termine inglese sia al concetto di intimità che a quello di “soldato semplice”) dell’esercito. C’è il capetto arrogante e spietato, che conosce solo la forza del fuoco del suo mitra e non può comprendere la scelta di Mohammed (“Perché non lasci la casa?” gli chiede, e Mohammed ”Perché non la lasci tu, questa è casa mia”), c’è il soldato capace di un gesto di umanità, quello che suona il flauto e vive la noia delle lunghe ore di appostamenti. E la figlia di Mohammed che contravvenendo al divieto sale le scale per nascondersi in un armadio e spiare le mosse dei soldati torna al piano terra ogni giorno con la consapevolezza di avere a che fare con ragazzi, niente di più niente di meno, ragazzi della sua età che parlano una lingua differente dalla sua, separati da secoli di odio ma così vicini, fatti di debolezze, di arroganze e virtù, come tutti. E racconta ogni giorno al fratellino piccolo aneddoti divertenti sui soldati, insegnandogli forse suo malgrado, lei così convinta della necessità della lotta, lei che potrebbe morire per il suo popolo, la tolleranza. Il finale è volutamente e terribilmente sospeso, e lì si gioca il senso di ogni scelta compiuta, lì il senso di una guerra che pare inestirpabile, infinita, ma che in fondo da uomini è fatta, e che da uomini potrebbe essere fermata.
Una cosa che ci fa piacere sottolineare: la proiezione di Private era per le scuole, era presente una classe soltanto ( non vogliamo sapere per quali scelte didattiche, forse ancora si ritiene sia meglio far imparare un’ode del Carducci piuttosto che insegnare a gettare uno sguardo sul mondo che ci circonda), una quinta liceo forse: prima della proiezione l’immancabile trillare di cellulari le risatine soffocate e i racconti delle sbronze della sera precedente. Per tutto il corso della proiezione, non un fiato. Qualcosa vorrà dire.

Voto: 30/30

 


OUTFOXED: RUPERT MURDOCH'S WAR ON JOURNALISM

di Robert Greenwald

(USA/2004) (74')


Documentario inquietante su come NON si dovrebbe fare giornalismo: un inchiesta sul canale FOX NEWS ci dimostra come il nostro Emilio Fede non sia il peggio che si possa ottenere dal palinsesto telegiornalistico. FOX NEWS, canale news 24 ore su 24 creato da Rupert Murdoch, è non solo canale di destra, sfacciatamente repubblicano, ma completamente asservito alla logica del Potere. Giornalisti che tacciano ("Shut up, stia zitto") o negano la linea agli intervistati non appena questi palesano idee democratiche, veline che richiedono di definire "francese" Kelly (siamo in piena campagna elettorale 2004, n.d.a) e di sputtanarlo a più non posso ("He's a flipflaper, è solo uno che cambia idea in continuazione"); giornalisti e collaboratori allontanati perché non troppo repubblicani, e altri che negano il mestiere stesso del Giornalista, presentando notizie in modo vago e indefinito ("Someone says, qualcuno dice"). è stata il canale FOX NEWS a portare innanzi l'idea propagandistica che l'Iraq possedesse armi di distruzione di massa, per poi non parlarne più appena scoperta la Verità. è stato il canale FOX NEWS a lanciare la notizia della rielezione di Bush alla Presidenza degli Stati Uniti, quando lo stato della Florida era ANCORA nell'incertezza, creando un "effetto cascata" in tutte le altre reti televisive, rendendo vero ciò che vero non era: ossia che in Florida fosse vincitore Bush. Le scuse di Murdoch sono solo di facciata, la Commisione di Indagine può ormai fare poco, se non prenderne atto.
Consiglio di visitare direttamente il sito ufficiale del film documentario. E anche se non capite nulla di inglese, guardatevi il Trailers (serve quicktime): quasi ti viene da rimpiangere il nostro Emilio Fido.

Voto: 28/30

 

SHOCK AND AWE

di Chase Palmer

(USA/2004) (6')


Piccolo gioiellino, ahimé privo di sottotitoli ma ugualmente comprensibile, sulla quotidianità della vita in Iraq, dove anche pranzare diventa un impresa: l'adolescente che combatte il bombardamento all'esterno pretendendo di continuare a mangiare seduto a tavola può far sorridere, se non fosse terribilmente tragico. Neorealista.

Voto: 24/30
 

 

THE OIL FACTOR: BEHIND THE WAR ON TERROR

di Gerard Ungerman & Audrey Brohy

(USA/2004) (93')


Il problema con questo genere di docu-film, è che alla fine otterranno il risultato opposto, ossia di anestetizzare il pubblico. Anche questo contributo realizzato da Ungerman e Brohy, poco in realtà aggiunge a chi ha visto FAHRENHEIT 9/11 di Moore o avesse letto "Stupide White Man" oppure "Ma come hai ridotto questo paese?" (ed.Mondadori) sempre di Moore. Che la Guerra in Iraq sia stata voluta per andare ad occupare una delle zone più ricche di Petrolio lo sapevano tutti - e fingono di ignorarlo solo coloro che ci ripetono appena possono che Gli Americano Ci Hanno Liberato e Ci Hanno Portato La Democrazia, dimenticandosi qua e là che gli Interessi in gioco erano altri. Che non ci fossero Armi di Distruzione di Massa in Iraq era noto, gli ispettori non avevano trovato nulla, eppure è stata la Scusa Primaria, chi se l'è scordato? Che Al Qaeda, La Base, fosse stata creata da osama bin laden assieme alla cIA per addestrare i Mujaidin nella guerra contro i sovietici è sfuggito a qualcuno? Chi non ha mai letto che la maggior parte degli uomini-di-bush ha interessi azionari nelle stessa aziende che dovranno ricostruire l'iraq? E che l'attuale presidente Dell'Afghanistan Hamid Karzai Fosse consulente della UNOCAL, compagnia petrolifera statunitense? In tutti o quasi i docu-film presenti allo HRN 2005 si sono ripetute ahimè fino alla nausea queste e altre domande, dando le stesse solite drammatiche risposte. La pellicola di Ungerman e Brohy si spinge però oltre, affermando che gli USA si stanno muovendo per creare un Nuovo Ordine Mondiale, con loro stessi a capo, pronto a Portare la Democrazia in tutti quei paesi in cui la Libertà (degli USA) e la Democrazia (degli USA) è negata.
Le riserve petrolifere statunitensi finiranno indicativamente nel 2010.

Voto: 26/30
 

 

WEAPONS OF MASS DECEPTION

di Danny Schechter

(USA/2004)


Gli epigoni di mister Michael Moore si moltiplicano, con risultati più o meno apprezzabili, più o meno efficaci. Il modello è sempre lì, sempre presente, idolatrato o respinto. Danny Schechter, anche fisicamente ci rimanda a Moore: corpulento e trasandato, t-shirt e cappellino da baseball di ordinanza, ma gli mancano forse la spietatezza e l’ironia che soprattutto di Bowling a Colombine hanno fatto un cult. Weapons of Mass Deception è un lungo documentario girato in puro stile Moore: montaggio rapidissimo, soluzioni grafiche da videoclip, accostamenti stridenti di immagini, affastellarsi di voci- il magma dell’informazione che ci bombarda, di una guerra che entra nelle nostre living rooms suscitando quell’indignazione che come osservava il bravo Marco Paolini qualche sera fa in un’intervista televisiva “dura il tempo di un orgasmo, e poi come ben sapete ci viene sonno”. Da outsider dell’informazione (è Executive Editor di Mediachannel.org, il maggior network mondiale di controinformazione) a Schechter preme denunciare l’operazione di filtraggio compiuta dai media americani sulla guerra irachena, "Operation Iraq Liberation" o meglio "Operation Iraq Freedom", perché l’acronimo denuncerebbe nel primo caso, amara ironia, una verità ormai palesata. In due ore che non sempre scorrono via lisce (a tratti l’attenzione viene meno, la carne al fuoco è tanta e il racconto un po’ pesante) dietro ai volti e alle immagini patinate dei maggiori network, Fox Nbc Cnn, dietro le immagini digitali l’odore di una guerra sporca, fatta di sangue polvere scarsità di cibo bambini mutilati dalle cluster bombs case polverizzate da bombe “intelligenti”. Dietro agli allarmati proclami del governo Bush sulla necessità della guerra “preventiva” le striscianti strategie comunicative pilotate dal Pentagono, una propaganda studiata a tavolino assieme ad esperti di comunicazione e consulenti d’immagine degli Studios holliwoodiani. Il regista si scaglia contro il giornalismo “embedded”, contro l’informazione pilotata da interessi politici ed economici, contro i distorcimenti della realtà, se è vero che prima vittima di ogni guerra è la verità. E lo fa ripetiamo senza la leggerezza di quei magnifici inserti di animazione di Bowling a Colombine: là avevamo imparato come instillare un sentimento ancestrale e insopprimibile come la paura - la paura dell’invasione la paura delle bombe dell’antrace dei kamikaze- fosse stata l’arma vincente di Bush e dei suoi falchi: sufficiente a giustificare la mattanza in nome dell’interesse supremo della Patria. Il film di Schechter ha forse intenti meno divulgativi, comunque minor impatto emotivo, minor capacità di coinvolgimento. Comunque ben venga la denuncia, se può servire a risvegliare una coscienza critica, una capacità di discernimento, un sussulto di indignazione. Se servisse anche a pensare che il gesto più rivoluzionario sarebbe quello di spegnere ogni tanto la tv - poiché è forse questo il potere più grande che abbiamo - il gioco sarebbe fatto..

 

Voto: 26/30