Saturday, April 9
22.30 Auguste Lumière
WEAPONS OF MASS DECEPTION by Danny Schechter (USA/2004) (98')

After the film, debate with director Danny Schechter
Gli epigoni di mister Michael Moore si
moltiplicano, con risultati più o meno apprezzabili, più o meno efficaci. Il
modello è sempre lì, sempre presente, idolatrato o respinto. Danny Schechter,
anche fisicamente ci rimanda a Moore: corpulento e trasandato, t-shirt e
cappellino da baseball di ordinanza, ma gli mancano forse la spietatezza e
l’ironia che soprattutto di Bowling
a Colombine hanno fatto un cult.
Weapons of Mass Deception è
un lungo documentario girato in puro stile Moore: montaggio rapidissimo,
soluzioni grafiche da videoclip, accostamenti stridenti di immagini,
affastellarsi di voci- il magma dell’informazione che ci bombarda, di una
guerra che entra nelle nostre living rooms suscitando
quell’indignazione che come osservava il bravo Marco Paolini qualche sera fa
in un’intervista televisiva “dura il tempo di un orgasmo, e poi come ben
sapete ci viene sonno”. Da outsider dell’informazione (è
Executive Editor di
Mediachannel.org, il maggior network mondiale di controinformazione) a
Schechter preme denunciare l’operazione di filtraggio compiuta dai media
americani sulla guerra irachena, "Operation Iraq Liberation" o meglio "Operation
Iraq Freedom", perché l’acronimo denuncerebbe nel primo caso, amara ironia,
una verità ormai palesata. In due ore che non sempre scorrono via lisce (a
tratti l’attenzione viene meno, la carne al fuoco è tanta e il racconto un
po’ pesante) dietro ai volti e alle immagini patinate dei maggiori network,
Fox Nbc Cnn, dietro le immagini digitali l’odore di una guerra sporca, fatta
di sangue polvere scarsità di cibo bambini mutilati dalle cluster bombs
case polverizzate da bombe “intelligenti”. Dietro agli allarmati proclami
del governo Bush sulla necessità della guerra “preventiva” le striscianti
strategie comunicative pilotate dal Pentagono, una propaganda studiata a
tavolino assieme ad esperti di comunicazione e consulenti d’immagine degli
Studios holliwoodiani. Il regista si scaglia contro il giornalismo “embedded”,
contro l’informazione pilotata da interessi politici ed economici, contro i
distorcimenti della realtà, se è vero che prima vittima di ogni guerra è la
verità. E lo fa ripetiamo senza la leggerezza di quei magnifici inserti di
animazione di Bowling a Colombine:
là avevamo imparato come instillare un sentimento ancestrale e
insopprimibile come la paura - la paura dell’invasione la paura delle bombe
dell’antrace dei kamikaze- fosse stata l’arma vincente di Bush e dei suoi
falchi: sufficiente a giustificare la mattanza in nome dell’interesse
supremo della Patria. Il film di Schechter ha forse intenti meno
divulgativi, comunque minor impatto emotivo, minor capacità di
coinvolgimento. Comunque ben venga la denuncia, se può servire a risvegliare
una coscienza critica, una capacità di discernimento, un sussulto di
indignazione. Se servisse anche a pensare che il gesto più rivoluzionario
sarebbe quello di spegnere ogni tanto la tv - poiché è forse questo il
potere più grande che abbiamo - il gioco sarebbe fatto..
VOTO 26/30
Monday, April 11
10.30 Auguste Lumière
Screening for Schools
PRIVATE by Saverio Costanzo (Italy/2004) (90')

In collaboration with Amici dei Popoli
Finalmente un film italiano bello. Bello,
coraggioso, commovente. Finalmente un film italiano lontano anni luce dalla
faciloneria degli intimismi mucciniani, delle crisi da
trentenni-eterni-peter pan, dai film “paraculi” (definizione splendida!)
alla manuale d’amore.
Finalmente un film italiano che però non sembra girato da un italiano, con
un digitale sporco e un’immagine costantemente mossa, sgranata, a dare una
sensazione di maggior realismo a una vicenda paradossale e reale, fatta di
violenza e dignità difesa fino all’estremo. Il giovane Costanzo jr si era
prestato fino ad ora, come apprendiamo leggendo alcune note biografiche, al
documentario. Il suo primo lungometraggio premiato col Pardo d’Oro al
Festival di Locarno ne mostra la maturità di cineasta sapiente e consumato.
La vicenda si svolge interamente all’interno di una casa, isolata
all’esterno, circondata solo da un terreno brullo, nella zona dei territori
occupati palestinesi (la fotografia è interamente giocata su tinte spente,
aride, e molte delle azioni sono riprese in notturna). Mohammed è un docente
di letteratura, convinto della necessità di opporre una resistenza non
armata, fatta soltanto della strenua difesa della propria dignità di uomo e
padre, alle possibili rappresaglie dell’esercito israeliano. La moglie è
spaventata, teme per l’incolumità dei figli e vorrebbe fuggire, abbandonare
la casa. Un gesto che per Mohammed rappresenterebbe la sconfitta (“Se
fuggiamo ora saremo costretti a fuggire per sempre”), che equivarrebbe a
lasciare ai propri figli un’eredità fatta di viltà e rassegnazione. Così,
quando una notte un gruppo di soldati israeliani irrompe nell’abitazione e
la dichiara di proprietà dell’esercito israeliano Mohammed non si piega alle
intimidaziono: i soldati occuperanno il primo piano della casa, mentre loro
potranno restare al piano terra e continuare a svolgere la loro quotidiana
esistenza, col divieto assoluto di salire le scale che separano quei due
mondi. Così il paradosso diventa quotidianità. Di sopra i soldati
pianificano le loro strategie, fanno sentinelle, sparano all’esterno, di
sotto si continua a vivere, a cucinare, a fare i compiti come
inflessibilmente e a tratti incomprensibilmente si ostina a volere il capo
famiglia imponendo di forza la sua autorità e le sue decisioni. La vita deve
proseguire, questa è l’unica arma che egli ha a disposizione. Due dei suoi
figli più grandi non condividono questo atteggiamento che vivono come un
piegare il capo alla prepotenza: vorrebbero resistere con altre armi che non
quelle della paterna cocciutaggine, anche a costo di mettere a repentaglio
la vita dei loro stessi cari. Anche al piano superiore convivono anime
diverse, tra i privates (il titolo è volutamente ambiguo, riferendosi il
termine inglese sia al concetto di intimità che a quello di “soldato
semplice”) dell’esercito. C’è il capetto arrogante e spietato, che conosce
solo la forza del fuoco del suo mitra e non può comprendere la scelta di
Mohammed (“Perché non lasci la casa?” gli chiede, e Mohammed ”Perché non la
lasci tu, questa è casa mia”), c’è il soldato capace di un gesto di umanità,
quello che suona il flauto e vive la noia delle lunghe ore di appostamenti.
E la figlia di Mohammed che contravvenendo al divieto sale le scale per
nascondersi in un armadio e spiare le mosse dei soldati torna al piano terra
ogni giorno con la consapevolezza di avere a che fare con ragazzi, niente di
più niente di meno, ragazzi della sua età che parlano una lingua differente
dalla sua, separati da secoli di odio ma così vicini, fatti di debolezze, di
arroganze e virtù, come tutti. E racconta ogni giorno al fratellino piccolo
aneddoti divertenti sui soldati, insegnandogli forse suo malgrado, lei così
convinta della necessità della lotta, lei che potrebbe morire per il suo
popolo, la tolleranza. Il finale è volutamente e terribilmente sospeso, e lì
si gioca il senso di ogni scelta compiuta, lì il senso di una guerra che
pare inestirpabile, infinita, ma che in fondo da uomini è fatta, e che da
uomini potrebbe essere fermata.
Una cosa che ci fa piacere sottolineare: la proiezione di
Private era per le
scuole, era presente una classe soltanto (non vogliamo sapere per quali
scelte didattiche, forse ancora si ritiene sia meglio far imparare un’ode
del Carducci piuttosto che insegnare a gettare uno sguardo sul mondo che ci
circonda), una quinta liceo forse: prima della proiezione l’immancabile
trillare di cellulari le risatine soffocate e i racconti delle sbronze della
sera precedente. Per tutto il corso della proiezione, non un fiato. Qualcosa
vorrà dire.
VOTO 30/30
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