18MO FESTIVAL iNTERNAZIONALE DI CINEMA GAYLESBICO
RECENSIONI

Mercoledì 26 Maggio

21:00

Wild Side

di Sébastien Lifshitz, Francia - Belgio - Gran Bretagna 2003, 35mm, 94'

Anteprima in collaborazione con e-Mik/Queer. Il Regista sarà presente in sala

Apre la diciottesima edizione del Festival Internazionale di Cinema Gaylesbico e Queer Culture presente a Milano dal 26 Maggio al 1° Giugno 2004 il lungometraggio del regista di Presque Rien Sébastien Lifshitz: Wild side è il provocatorio e depistante titolo inglese di questa produzione che coinvolge Francia, Belgio e Gran Bretagna e che affronta quello che sarà il tema di tutti i film presentati al festival, ossia il rapporto tra mondo gay e la città come realtà ambigua dove è facile perdersi nello squallore, nella degradazione e nell’anonimato ma che è anche possibilità di aggregazione, protezione e costruzione di una propria identità più autentica. «Non vuole essere tanto un film sulla sessualità quanto un discorso sulla ricerca dell’identità» afferma il regista alla presentazione in anteprima per la stampa. E le identità delle tre figure di cui seguiamo i vagabondaggi in una metropoli non meglio identificata – la transessuale prostituta Sylvie, il coinquilino nordafricano Jamel e l’ex pugile russo Mikhail amante di entrambi – sono ricomposte e ritrovate passo dopo passo da un lato attraverso ricordi infantili di legami familiari e luoghi d’origine, ma soprattutto, dall’altro, si definiscono negli affetti del presente coi quali ognuno di loro costruisce un nuovo nucleo familiare e un nuovo senso d’appartenenza. Il viaggio al capezzale della madre morente di Sylvie, in uno sconfinato contesto rurale definito dall’essenzialità di semplici forme geometriche e freddi colori invernali, sarà l’occasione per lei non solo di riflettere sulle proprie radici che non riuscirà mai a recidere completamente, ma anche di rendersi conto più che mai di quanto preziosa è la presenza di Mikhail e Jamel nella sua vita. Nessun giudizio morale, nessuna provocazione o irriverenza gratuita – nonostante l’ingannevole titolo del film - ma un sentito affetto, grande sensibilità, una partecipata comprensione e un grande rispetto sono i toni con cui Lifshitz ha voluto raccontare questa storia: meritevole la sua capacità di mantenere uno sguardo quasi “ritratto”, il più possibile impersonale e obiettivo, nell’illustrare il caotico mondo della prostituzione senza mai però calcare nel connotarlo negli aspetti più crudi, squallidi o raggelanti, per preferire invece soffermarsi a contemplare con lunghi piani sequenza o inquadrature fisse la calma di quei momenti di intimità che sono non pause narrative, bensì istanti cruciali di vera e profonda comunicazione di quanto c’è di buono, di importante e di umano anche tra persone che non parlano la stessa lingua e che provengono da mondi diversi. E’ in questo modo che vengono superati il senso di perdita, disorientamento e estraneità a cui la città può portare e il rischio che la disperazione e la solitudine prevalgano sull’umanità e la speranza.
Voto: 26/30

 

 

Giovedì 27 Maggio

17:30

Straight Out - Stories From Iceland

di Hrafnhildur Gunnarsdottir e Thorvaldur Kristinsonn, Islanda 2003, 60'

 

Isolamento, solitudine, desiderio di fuga o di nascondersi, senso della propria diversità dai coetanei, emarginazione o persecuzione, consapevolezza di deludere le aspettative dei familiari, mancanza di onestà nei confronti di se stessi, confusione sui propri desideri, disagio fisico, mancanza di controllo sulle proprie emozioni, assenza di punti di riferimento o di possibilità di confronto, rabbia o disperazione: sono queste le paure e le realtà interiori e sociali di un gruppo di giovani ragazzi e ragazze - tutti nati e cresciuti in diversi contesti della bellissima, desolata e politicamente avanzatissima Islanda - che, in questo documentario-intervista già adottato a quanto pare da tutte le scuole islandesi per l’elevato valore didattico, ci raccontano anche attraverso filmati “candid” e vecchie fotografie le loro storie personali su come hanno affrontato la scoperta della propria omosessualità e successivamente hanno saputo superare i problemi che ne sono derivati in termini di relazioni familiari sociali e affettive. Punto di importanza capitale su cui ognuno degli intervistati insiste è la fase di crescita interiore che porta a maturare la propria consapevolezza fino al “coming out”, visto come atto liberatorio di auto-affermazione che sembra quasi risolvere da sé all’istante l’insieme di sofferte tensioni conflittuali vissute nell’adolescenza e rappresentare il momento in cui si è finalmente giunti alla maturità dell’accettazione e del rispetto per se stessi. Forse da un lato è pericoloso il fatto che il documentario accenni solo di sfuggita, quasi classificandoli come estremi, quei casi nei quali il coming out non solo non ha comportato automaticamente il rispetto da parte dei coetanei e della comunità in generale ma ha creato ulteriori conflitti, a volte insanabili e irreversibili, all’interno del proprio nucleo familiare, specialmente in contesti rigidamente religiosi. Ma è comprensibile e giusto,d’altra parte, che l’obiettivo dichiarato sia quello di incoraggiare il più possibile l’accettazione o l’auto-accettazione, la speranza e soprattutto il rispetto, insistendo quindi maggiormente sugli aspetti costruttivi delle conseguenze di una tappa probabilmente in qualche modo obbligata per le persone omosessuali come quella del coming out, tenendo però sempre presente che la felicità e l’orgoglio di essere quello che si è vanno costruiti passo per passo. Significativa è una delle frasi conclusive di questo giro di interviste: “quello che all’inizio può sembrare solo debolezza potrebbe poi diventare un punto di forza”.

Voto: 24/30

 

 

Venerdì 28 Maggio

18:30

Un Mondo D'Amore

di Aurelio Grimaldi, Italia 2002, 35mm, 88'

Il regista sarà presente in sala


Nell’Ottobre 1949 a Casarsa, Friuli, il 27enne scrittore e professore di letteratura Pier Paolo Pasolini viene incriminato per omosessualità, corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico, e di conseguenza immediatamente sospeso dall’impiego nella scuola media locale, nonché radiato dal Partito Comunista – di cui era intellettuale attivo e militante – per indegnità politica e morale. Inutili, in un contesto di provincia dove la giustizia è fortemente legata all’esercito e alla Chiesa, i tentativi di giustificare le molestie chiamando in causa “L’immoralista” di Gide e le teorie di Sartre e di quegli autori di fama che lui ammirava tanto per aver saputo vedere oltre gli aspetti deleteri della “degenerazione” borghese fino ad arrivare a opporre alla morale contemporanea quella della civiltà greco-romana dove la vergogna e la repressione non prevalevano mai sulla felicità. Quando il padre, insigne ex-Colonnello dell’Esercito Fascista, legge la notizia riportata in prima pagina sul locale Gazzettino, ripudia il figlio e accusa la moglie di averlo cresciuto assecondando ogni sua inclinazione e capriccio anziché temprarlo come un vero uomo. Nonostante l’ammirazione e il sostegno dei propri allievi, il professore parte per Roma insieme all’amata madre la quale, certa del suo sconfinato talento al punto da essere convinta che “tutto al poeta deve essere concesso”, sarà disposta a lavorare duramente come cameriera presso una famiglia benestante per mantenere Pier Paolo nel periodo in cui sarà alla difficile ricerca di un impiego. Fortunatamente questi, girovagando per la capitale tra l’estasi della sua vitalità e l’incertezza per il proprio futuro, si imbatte in Cinecittà.
Grimaldi sceglie dichiaratamente un tono “doloroso e silenzioso” per questo dramma autobiografico che dal punto di vista registico non somiglia affatto all’opera cinematografica pasoliniana, con la sua crudezza e povertà stilistica subordinate a un obiettivo esplicitamente politico e a una peculiare concezione di arte “popolare”: Un mondo d’amore si concentra sul lato umano e sugli aspetti più delicati e intimi di una tragedia familiare resa magistralmente attraverso la scelta di un ritmo relativamente lento e concentrato, un decoupàge sostanzialmente classico ma elastico, capace tanto di avvicinarsi ai volti e agli sguardi per carpirne il pensiero più fuggevole, o cogliere significativi dettagli tramite mirati inserti, quanto di integrare le figure negli spazi attraverso soluzioni in profondità di campo; il tutto attraverso una splendida fotografia in un bianco e nero essenziale e elegantissimo, mai crudo e sgranato ma ricco di mille sfumature. Un insieme di scelte estetiche mirate a restituirci il più possibile la personalità e la sensibilità di un poeta sempre mosso dalla convinzione che “l’arte senza la vita non vale più niente”. E proprio Roma è stata la città in grado di offrirgli quel senso di “vita” che da allora in poi avrebbe sempre nutrito la sua arte.
Voto: 28/30

 

 

20:30

Mango Kiss

di Sascha Rice, USA 2003, Beta, 84'

Tuffo nel coloratissimo, infantile, caricaturale e allucinato immaginario lesbico sadomaso-ma-per-gioco di due ragazze trentenni, Lou e Sass, follemente innamorate nella San Francisco capitale gay del mondo del 1993. Ma come far sopravvivere il proprio amore puro e sincero in un contesto dove la monogamia e i ruoli sessuali tradizionali vengono visti come sintomi di una malattia mortale, o nel migliore dei casi come pratiche pericolose quanto uno sport estremo? La risposta sta nella soppressione dei vincoli di esclusività e nella capacità di trasformare le proprie fantasie in un gioco di ruoli: chi è dominatrice e chi schiava, chi è il “daddy” e chi la bambina, chi impersona il capitano e chi la principessa. La fantasia e la varietà sono il sale della vita e possono farti sentire l’eccitazione e l’euforia che prova una bambina chiusa a chiave tutta la notte in un negozio di dolciumi, dove ogni ragazza è un pasticcino al cioccolato e dove ogni bacio ha un diverso squisito sapore alla frutta, ma rischiano anche di far perdere il contatto con la realtà fino a far regredire fino all’insostenibile, anziché far maturare, un rapporto. Inoltre, se di comune accordo si è intenzionati a trasformare l’amore in un gioco al semplice fine di renderlo più libero, ci si dovrà prima o poi rendere conto che ogni gioco ha le sue regole, oltretutto regole in costante mutamento: fino a giungere alla paradossale conclusione che una maggior libertà corrisponde a una maggiore quantità di restrizioni perché più sono le relazioni che si tengono in piedi più saranno le regole, diverse per ogni partner. Proprio come dice la madre di Sass con la saggezza di un’ex-figlia dei fiori a proposito del matrimonio aperto: “E’ proprio come la Russia comunista: in teoria suona grandiosa, ma in pratica è un gran casino…”.
Comunque quello che vale per il gioco vale anche per questo film: è bello se dura poco. A lungo andare infatti la commedia comincia ad apparire, se non cerebrale, quanto meno poco verosimile, quando non infantile e superficiale. Il risultato globale è meno divertente e convincente di quanto poteva promettere un viaggio lesbo-metropolitano in stile “Alice nel paese delle meraviglie sadomaso”.

Voto: 22/30

 

 

22:30

The Raspberry Reich

di Bruce LaBruce, Germania - Canada 2003, Beta, 90'

Anteprima in collaborazione con e-Mik/Queer

Folle porno-comedy dell’ormai celebre regista “cult” Bruce LaBruce, autore di classici gay pseudo-trash come Skin Flick e Hustler White, che stavolta mischia sesso e politica con più irriverenza, ironia e originalità che mai, senza sacrificare una buona dose di risate. Con l’immagine di un ragazzo impegnato in una fellatio alla sua mitragliatrice su un letto cosparso di armi in una stanza tappezzata di poster del Che, stabilire un’associazione tra arma e sesso maschile è la reazione più semplice e immediata. Entrambi i termini di questa “equazione” sono la passione principale della protagonista di questa strampalata storia, Gudrun: aggressiva, carismatica e indottrinatissima leader di un piccolo esercito di rivoluzionari berlinesi che, ispirandosi a un non meglio precisato mix di dottrine politiche tratte da Karl Marx, Herbert Marcuse e Wilhelm Reich – da qui il nome di battaglia Raspberry Reich, intende dare il via alla rivoluzione contro il capitalismo borghese e le sue restrizioni politiche, morali e sessuali proprio a partire dalla camera da letto: il primo atto rivoluzionario sarà uscire dalle camere e portare “l’amore libero” negli ascensori e nelle strade. A questo seguirà il rifiuto di delimitare le pratiche erotiche alle dinamiche precodificate e istituzionalizzate del rapporto eterosessuale. L’omosessualità sarà la vera forma di sesso rivoluzionario e, per dimostrare la propria fedeltà ai principi della rivoluzione, i membri del Raspberry Reich saranno costretti da Gudrun a sperimentarla con esiti di apprezzamento quanto meno imprevisti… La monogamia sarà rifiutata in quanto residuo del concetto borghese di proprietà…e così via. Ma per rendere nota la portata dell’imminente rivoluzione e suscitare l’attenzione dei media, lo sgangherato gruppo di pseudo-terroristi decide di rapire il figlio di uno dei principali industriali e maggiori finanzieri di tutta la Germania per rilasciarlo solo dopo la liberazione di una serie di prigionieri politici… ma non prima di aver sperimentato su di lui il “sesso rivoluzionario” e filmato il tutto su videotape. Senza sapere però che il paparino ha diseredato il figlio quando ha scoperto che era gay, e soprattutto che il ragazzo se la fa di nascosto con uno dei rapitori - col quale naturalmente fuggirà in un finale alla Bonnie & Clyde… Bisogna ammettere che la storia in sé non risparmia colpi di scena, ma a rendere quanto meno interessante il film è proprio la carica di aggressività del suo impatto visivo, capace sia di rendere l’effetto martellante di ogni ideologia di massa che tende a rendere impossibile la concentrazione e il pensiero autonomo, sia la ossessiva pulsione erotica all’interno di una dinamica di oppressione-costrizione-liberazione che è il tema di fondo della pellicola. Già dalle prime sequenze ci si ritrova sottoposti a un bombardamento di martellanti scritte on-screen di slogan politici tinte in colori acidi, sparate al suono assordante di una mitragliatrice e impresse sopra alle immagini di torride quanto comiche scene di sesso hard in un montaggio frenetico e vorticoso che non può altro che culminare in un’eiaculazione su un poster di Che Guevara all’unisono con uno sparo in aria del diretto interessato - che provoca, tra l’altro, il crollo di parte del soffitto… Se in principio si cerca di trovare una logica o un profondo messaggio morale accuratamente criptato e occultato da ironia e sarcasmo mentre la preparatissima Gudrun, in uno dei suoi contorti sermoni, snocciola ai propri compagni un impressionante elenco di tutte le nazioni che soffrono di una situazione politica fatta di sfruttamento, ingiustizie e di risorse soffocate dall’avidità del grande modello capitalista americano, alla fine è proprio grazie a una sua affermazione chiarificatrice che scopriamo il vero, definitivo messaggio del suo credo: “Quello che sto cercando di dire veramente con tutto questo … è che non me ne frega un accidente di quello che succede in Sudafrica, in Cile o in Colombia: tutto quello che mi importa veramente è il mio orgasmo!”. “Un po’ egoista, non credi?”.
Voto:27/30

 

 

Sabato 29 Maggio

20:30

Eating Out

di Q. Allan Brocka, USA 2004, Beta, 90'

Anteprima in collaborazione con la rivista PRIDE

Fag-hag [traduz. it.: fro-cia-ro-la]: “ragazza eterosessuale che preferisce la compagnia dei gay”. La fag-hag in questione è Gwen, tra i protagonisti di questa esilarante commedia degli equivoci sulle contorte avventure sentimentali di un gruppo di studenti universitari americani e su cosa non si è disposti a fingere di essere pur di conquistare l’oggetto dei propri desideri. L’aitante Caleb perde la testa proprio per Gwen ma, non sapendo come avvicinarla dato che lei è solita disdegnare la compagnia dei ragazzi etero, chiede aiuto al coinquilino Kevin che gli propone di fingersi gay e circuire il di lei migliore amico Marc. Una volta che Caleb abbia conquistato Gwen, Kevin entrerebbe in azione per sedurre proprio Marc di cui è sempre stato follemente innamorato nonostante la sua manifesta indifferenza. A complicare le cose ci si mettono l’esuberante prostituta Tiffany convinta di avere per sbaglio portato Caleb sulla cattiva strada, e i genitori di quest’ultimo che, durante una delirante cena a base di salsicce lesse e colpi di scena in serie, accolgono con inaspettato e esagerato entusiasmo la notizia dell’omosessualità del figlio…! In un universo parallelo dove il palinsesto televisivo fosse meno noioso e omologato e più stimolante e divertente, le serie televisive alla "Dawson’s creek" o "Mtv Undressed" somiglierebbero a questa colorata e pepatissima produzione USA. Esplicita senza voler essere trasgressiva, ammiccante senza tuttavia scadere nel volgare, Eating out (doppio senso per indicare sia il “cenare fuori” sia ovviamente il sesso orale) riesce a coniugare lo stile visivo della tv americana per teenagers col ritmo impeccabile della commedia brillante anni ‘50 (quella di Billy Wilder soprattutto, e garantisco che il paragone non risulta esagerato), trattando le tematiche dell’ambiguità sessuale e delle dinamiche sociali del 21esimo secolo con la giusta leggerezza e senza mai scadere nell’insulso o nel già visto, e condendo il tutto con una raffica inarrestabile di battute al vetriolo, alcune davvero memorabili: qualche esempio? Quando al primo “finto” appuntamento di Caleb e Marc la maliziosa Gwen chiede loro di darsi un appassionato bacio in sua presenza, davanti alla timidezza e alla fretta della performance di Caleb lei esclama: “Ma andiamo, un bacio così l’ho dato a mia nonna quando era stesa nella bara!…”; oppure quando Gwen, richiesti almeno tre titoli dall’album "Like a prayer" di Madonna al caro amico Marc per testarne l’omosessualità, al quarto titolo esatto è costretta a rispondergli: “Sei un frocio senza speranza!” Ma un finale a sorpresa ci ricorderà quanto può essere bello ciò che si nasconde dietro alle apparenze… Ironia, leggerezza, sfacciataggine e una buona dose di cattiveria sono gli ingredienti di una sceneggiatura di ferro che potrebbe in futuro rendere questo piccolo film un oggetto di culto, come era già successo qualche anno fa per il semisconosciuto ma fenomenale 200 Cigarettes prodotto da Mtv.
Voto: 28/30
 

 

22:30

Goldfish Memory

di Liz Gill, Irlanda 2003, 35mm, 85'

Si ritorna di peso al tema della città: la contemporanea Dublino, che sta al momento vivendo una fase fortunatissima della sua tormentata storia, fa da scenario a una serie di storie sentimentali parallele di numerosi personaggi che si inseguono, si incrociano e si lasciano tra il fervore commerciale del porto, la calda atmosfera delle strade del bellissimo centro storico, la silenziosa ma vitale maestosità delle biblioteche e delle università, e l’asettico design dei cocktail bar e delle discoteche. Si trovano, si conoscono, si amano e si abbandonano subito come pesci rossi in un acquario. Se è vero che i pesci rossi conservano la memoria solo per tre secondi per cui ogni giro in tondo nella boccia di vetro e ogni incontro con un altro pesce è sempre un’esperienza nuova e unica, questo vale per forza anche per gli esseri umani nelle loro vicende sentimentali? Scegliamo davvero questo meccanismo per spazzare via il dolore delle passate delusioni e lasciare sempre un barlume di speranza per le occasioni future, come recita la poesia “Sempre di nuovo - Again and again” di Rilke, illudendoci che ogni volta sarà una cosa nuova e diversa? Questa è la domanda di fondo che tenta di dare una spiegazione alla superficialità, all’egoismo, all’immaturità e all’inconsistenza di tanti rapporti. Che differenza c’è tra attrazione e amore? La risposta sembrerebbe essere l’impegno, la scommessa, la capacità di imparare dai propri errori, il saper vedere nei legami una possibilità anziché un vincolo, il saper superare la paura. Sarebbe stato bello se questa rassicurante morale fosse risultata convincente grazie a un modo di rendere avvincenti le storie di personaggi ai quali, invece di sentirci gradualmente affezionati fino all’identificazione, rimaniamo in qualche modo estranei. E questo è per un motivo molto semplice: la mediocre sceneggiatura non ha saputo rendere veri questi personaggi. Non occorre dedicare molto tempo a ciascuno per restituirne un’immagine profonda e a tutto tondo, e coerenza non vuol dire ridurre un personaggio a cliché quando non a una macchietta; le loro relazioni risultano o scontate e stereotipate oppure, tanto peggio, poco verosimili e prive di ogni complessità. Il tono del racconto oscilla costantemente tra dramma sociologico e commedia sexy ma senza riuscire veramente né a far riflettere né a divertire, e questo per la malcelata preoccupazione di dover rendere esplicito un giudizio morale su ogni personaggio. Gli intrecci girano a vuoto, il ritmo si perde, il coinvolgimento viene meno, l’attenzione anche. Il risultato finale è che si stenta a credere che la pellicola sia durata soltanto 85 minuti…
Voto: 22/30
 

 

Lunedì 31 Maggio

20:30

Prey For Rock & Roll

di Alex Steyermark, USA 2003, 35mm, 100'

Ha ancora senso il rock alla soglia dei quarant’anni? E’ancora sensato sognare di sfondare quando il successo non è ancora arrivato dopo anni e anni di pratica? A che punto tutto diventa ridicolo? Rinunciare e cambiare vita sarebbe davvero l’unica soluzione, il decisivo passo verso una piena e compiuta maturità? Il rock è per definizione una forza effimera ed estrema, o è soprattutto una spinta vitale e liberatoria? E’ per forza un mondo di evasione che deriva dal rifiuto del dolore o è l’unica dimensione in cui ci si sente vivi e al sicuro? Sono queste le domande che si pone Jacki, la leader di una girl punk-rock band nella Los Angeles degli anni 80. 4 splendide interpreti tra cui l’ammaliante angelo maledetto Gina Gershon, splendida dark-lady dall’aria vissuta come i tatuaggi che sfoggia in questo ruolo, e l’ex Tank Girl Lori Petty, che qui valorizza i risvolti più fragili, dolci e sofferti del suo personaggio, rendono vera e coinvolgente una vicenda che potrebbe presto scadere nel già visto. Più lento, riflessivo, amaro e intimista, e forse anche meno aggressivo e trasgressivo di quanto ci si potrebbe aspettare da un film biografico sul mondo del rock, il film riesce a rendere l’intensità della passione senza la foga dell’energia dirompente e incontrollata di un teenager, il forte desiderio unito all’esperienza della vita e al fantasma di un senso della rassegnazione che minaccia costantemente di prevalere, il profondo amore per la musica come valore in sé senza che a questo si debba accompagnare necessariamente uno sconfinato talento. L’obiettivo si posa lentamente di volta in volta sulle emozioni e sui problemi di ciascun personaggio di cui sa rendere l’umanità nel suo profondo spessore e nelle minime sfumature, evitando accuratamente di scadere nel cliché o nel macchiettismo. E quando si giunge al momento di temere che l’analisi psicologica stia per prevalere sulla visione d’insieme e il suo significato, ecco che arriva finalmente la musica a salvare, a esprimere e a trasfigurare quanto è veramente importante. E ciò che importa è il fatto di aver sempre creduto in se stessi nonostante il successo abbia tardato o non sia arrivato affatto, importa il fatto di aver sempre messo nella musica la vita e l’affetto che si è stati capaci di costruire insieme, proprio come se la band fosse un diverso tipo di famiglia. Anteprima italiana, il film esce nelle sale il 4 di Giugno.
Voto: 26/30
 

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18MO FESTIVAL iNTERNAZIONALE DI CINEMA GAYLESBICO