Introduzione
Due mezzi di narrazione per immagini.
Due sistemi in cui la rappresentazione può rasentare il massimo del
realismo oppure staccarsene totalmente per dar spazio ai più oscuri deliri
onirici.
Due media con una matrice comune: quella del rapporto immagine-movimento, e
quella degli incroci semantici tra linguaggi verbali e non-verbali. Fanno
parlare le immagini, imprimono a queste un movimento e un ritmo strumentale
a ciò che si vuole raccontare. Movimento e ritmo insiti nella tecnica di
riproduzione nel caso del cinema, e invece delegati allo “sguardo” del
lettore nel caso del fumetto.
Entrambi capaci di suscitare emozioni. Così vicini e così lontani il cinema
e il fumetto ci offrono esempi di convivenza degni di due fratelli. E così
come per due fratelli le scelte dell’uno hanno un’influenza e un certo
potere di indirizzo sullo sviluppo dell’altro, in un rapporto di reciprocità
diretta.
Ad un attento “consumatore” di fumetti quali Dylan Dog (o altre testate
della casa editrice Bonelli) non sfuggono i continui richiami a tematiche
cinematografiche oltre agli espliciti rimandi presenti nella creazione di
situazioni e nell’elaborazione dei personaggi. Ad una più attenta analisi si
scoprirà la natura “multimediale” che contraddistingue questa saga; in Dylan
Dog sono presenti richiami provenienti dalla letteratura, dalla pittura,
dalla televisione, in un processo di costante ibridazione del linguaggio.
Riflessioni simili si possono fare seguendo lo stesso percorso al contrario
arrivando al cinema partendo dal fumetto e dalle influenze di questo sul
mondo di celluloide.
Per quanto sia “semplice” e meno dispendioso, percorrere la strada che dal
cinema porta alla carta patinata; altrettanto ostico risulta intraprendere
questo percorso in direzione opposta, e trasporre personaggi e ambientazioni
proprie del fumetto sul grande schermo.
Il processo che porta i temi affrontati nelle pagine dei fumetti a
riversarsi sulla pellicola affonda le sue radici nel rapporto che legava il
“primo” cinema alla tradizione del romanzo popolare e dell’illustrazione. Da
allora questi due media hanno seguito linee di sviluppo che li hanno portati
a compenetrarsi sempre con maggiore frequenza e sempre più a fondo.
Fondante nell’analisi di questo rapporto tra Cinema e Fumetti risulta la
figura dell’eroe, o meglio, del supereroe, ed è di questa che andremo ad
occuparci nello specifico; dell’evoluzione che la ha caratterizzata e
dell’evoluzione che è stata propria della “messa in scena” della figura del
supereroe.
Superman

Superman è un fumetto solare, in cui sono facilmente
rintracciabili le esemplificazioni delle dinamiche sociali proprie del
fumetto classico. La descrizione della società rappresentata per mezzo di
stereotipi: il piccolo Clark Kent cresce a Smallville per poi trasferirsi a
Metropolis a fare il reporter, mestiere simbolo di una società in cui
l’informazione comincia a giocare un ruolo da protagonista. La stessa figura
di Superman è lo stereotipo dell’eroe classico “senza macchia e senza
paura”, un simbolo di mascolinità; nelle sue avventure ci sono i buoni e i
cattivi, nessuna via di mezzo. Superman è il supereroe figlio di un’epoca
che vede trasformarsi le linee guida su cui il “mondo” aveva costruito il
suo sviluppo; e sulle sue spalle la società ha depositato il peso delle
proprie paure. E lo ha eletto a “simbolo” di un nuovo strutturarsi della
società stessa.
Superman è stato uno dei primi supereroi dei fumetti ad essere oggetto di
una trasposizione cinematografica (la prima risale al 1948 a cui ne sono
seguite molte altre). La più famosa è quella del 1978 in cui l’uomo
d’acciaio è stato impersonato da Christopher Reeve.
Per far volare Superman sulla carta bastava disegnarlo, ottenere un tale
effetto che fosse verosimile sulla pellicola è stato sicuramente più
complesso.
È indubbio che siano state maggiori le difficoltà incontrate da Richard
Donner(1) nel far volare Christopher Reeve, che quelle che ha dovuto
affrontare Sam Raimi(2) nel far penzolare Toby Maguire tra i grattacieli di
New York
Uno dei primi effetti visivi ad essere utilizzato è stato il Chromakey o
Blue-Screen (Schermo Blu): un procedimento che consiste nel filmare, ad
esempio, prima una scena, per così dire, “aerea” che avrebbe costituito lo
sfondo, filmare poi l’attore che finge di volare su un fondale completamente
blu che non avrebbe impressionato la pellicola e poi sovrapporre le sequenze
girate per ottenere l’effetto della sagoma dell’attore che vola sullo sfondo
della sequenza aerea precedentemente girata. Macchinoso, ma un effetto dal
risultato spettacolare per l’epoca, e che ancora oggi mantiene la sua
utilità: viene usato per girare le sequenze che serviranno da base per gli
effetti visivi creati al computer.
Una figura epocale quella di Superman, uno standard, che ha monopolizzato
l’immaginario supereroistico di generazioni, ma che ora sembra accusare
forse delle difficoltà di adattamento ad un mondo che non è più quello che
lo ha visto nascere e sembra cedere il passo a delle figure che sembrano più
in sintonia con questa realtà.
(1)Regista di Superman – the movie
1978
(2)Regista di Spider Man 2002
Batman

Batman fu creato da Bob Kane nel 1939. I committenti (la DC
Comics) volevano un supereroe sulla falsariga di Superman.
Il Batman di Kane era molto diverso dal personaggio che nei decenni
successivi avrebbe preso corpo: era più “buffonesco” e più crudo. Buffonesco
perché lo stile grafico adottato, al limite del caricaturale, permetteva con
una certa agiatezza l’introduzione di cattivi dall’aspetto grottesco, dalle
sembianze clownesche o zoomorfe, come il Joker, il Pinguino o la Donna
Gatto. Crudo perché Batman era un giustiziere in un certo senso crudele,
quasi vampiresco, che poteva minacciare l’uccisione del nemico di turno e
talvolta farlo davvero.
Dunque un fumetto notturno, cupo, tetro, rispetto alla solarità di Superman.
Oltre a essere più realistico.
Proprio queste caratteristiche porteranno Batman a subire una trasformazione
negli anni ’50 e ’60 ad opera della matita di Dick Sprang, che ambientò le
avventure dell’uomo-pipistrello sempre più in ambienti diurni, e rese la
stessa figura del supereroe più conforme agli standard dell’epoca: più
virile, con un petto più potente e la mascella ad angolo retto (come
Superman). Anche i cattivi vennero normalizzati, in un restyling completo
del fumetto.
Il Batman di Tim Burton
(1989) (nonché il seguito del 1992) deve, dunque, veramente molto alla
dimensione propria del Batman originario (oltre che al cinema espressionista
tedesco: la Gotham City di Burton deve non poco alla Metropolis di Fritz
Lang).
Nei due film di Burton sulla saga dell’uomo-pipistrello non manca
un’estetica della citazione oltre al già citato riferimento alla dimensione
diabolico-clownesca-vampiresca del Batman delle origini. I riferimenti sono
innumerevoli. Degno di nota la scena in cui nella sala delle armature della
“dimora Wayne” compare Jack, il personaggio di Halloween:
La notte delle streghe (di
John Carpenter, 1978).
Nel secondo episodio Burton dipinge una sorta di corte dei miracoli quando
mette in scena la “tana” dove il Pinguino vive con la sua “banda del circo”,
un mondo di derelitti e ripudiati che ci richiama alla mente il mondo
anch’esso circense di Freaks
di Tod Browning (1932).
Il Batman di Burton è anche debitore nei confronti di quella che è la più
importante rilettura del mito dell’uomo-pipistrello: “The Dark Knight
Returns”(1986) di Frank Miller. In un mondo complesso e crepuscolare il
supereroe in crisi di identità si perde alla ricerca del suo ruolo in un
mondo che non è più “disegnato” con tratti semplici e riconoscibili.
È la crisi del mito dei supereroi, che vede dispiegarsi un mondo in cui il
supereroe può essere qualificato come un maniaco psicopatico; aspetto che la
figura “Batman/Bruce Wayne” incarna perfettamente; prima di altre figure che
verranno.
La dimensione psicotica è ripresa anche da Burton.
Scrive il critico Katsahnias:”[…]E’ un film che mostra l’Io e il SuperIo
freudiani su una modalità grottesca, clownesca e carnevalesca. […]”.
C’è infine la dimensione pop-art del Batman di Burton, in cui il regista si
ricollega alla serie televisiva cult degli anni ’60 (simboleggiata dalla
scena in cui il Joker fa irruzione nel museo).
Batman è il primo esempio in cui gli effetti speciali non sono usati tanto
per l’ottenimento di una forzata spettacolarità, quanto per restituire una
crudezza alle situazioni rappresentate, una crudezza che le pagine dei
fumetti non riuscivano a rendere a pieno.
Un uso della tecnologia questo che troverà il suo pieno sfruttamento in film
successivi, primo tra tutti X-Men.
X-Men
 
Nati nel 1963 dalla fantasia di Stan Lee (già padre di Spiderman
che vide la luce nel 1962), e tradotti in personaggi reali nel film diretto
da Bryan Singer uscito nelle sale nel 2000, gli esseri mutanti protagonisti
della saga degli X-Men segnano una fondamentale svolta nell’immaginario
proprio del supereroismo.
Il film come l’originale propone problematiche sociali complesse come il
razzismo e l’intolleranza.
L’adattamento cinematografico di questo fumetto ne rivela il lato oscuro e
metaforico ponendo sulle scene dei personaggi che non potrebbero essere più
distanti di così dalla figura del supereroe classico, così fragili e così
“umani” pur nella loro mutazione. Fragili: resi tali dal modo in cui vivono
i loro superpoteri, visti più come una condanna che come un dono. Emarginati
dall’umanità, per il cui “bene” combattono, impaurita dalla presenza di
queste creature. Il loro potere-handicap ne fa dei diversi incapaci di
rapportarsi agli altri, anche perché gli altri non permettono loro di farlo.
Un capovolgimento totale della prospettiva quindi, in cui il personaggio
dell’eroe viene maggiormente scandagliato secondo dinamiche psicologiche.
L’eroe si schiera dalla parte del bene (o del male, a seconda dei casi) in
seguito ad una maturazione interna, al compimento di un percorso di
autoanalisi nel quale il supereroe cerca un suo posto nella società.
Calzante risulta l’esempio di Wolverine che dapprima sopravvive isolato
sfruttando la sua straordinaria forza e la sua “invulnerabilità” per
guadagnarsi da vivere con incontri di lotta (tematica proposta anche
nell’Uomo Ragno di Raimi), o lo shock che causa in Rogue la scoperta della
sua capacità di assorbire le energie vitali di chiunque la tocchi, tale da
spingerla a tentare il suicidio.
X-Men, come abbiamo già accennato, presenta un’ambientazione più cupa e più
dura di quella “cartoony” delle serie a fumetti, risultato raggiunto in
buona parte grazie ad un sapiente uso degli effetti; una crudezza resa anche
dalla particolare caratterizzazione della condizione dei personaggi tutti
più o meno menomati dai loro superpoteri (ad es. le lame di Wolverine che
escono dalle nocche causano dolore).
In questo film sono presenti oltre 500 sequenze con effetti speciali, oltre
ad un set interamente virtuale. Grazie all’applicazione di protesi digitali
e alla profusione delle più disparate tecniche di computer grafica, gli
attori vengono trasformati nelle creature mutanti.
Per ciò che concerne questo aspetto più tecnico risulta interessante seguire
la creazione del personaggio di Mystique. Capace di trasformarsi, alterando
i suoi connotati, in qualsiasi persona il personaggio di Mystique eleva
all’ennesima potenza la caratteristica del “trasformismo” presente in
numerose figure supereroiche, mettendola in primo piano con il proprio
corpo. Un superpotere il suo che rappresenta la “base” della figura di ogni
supereroe: quell’identità segreta che ogni super-personaggio tenta a tutti i
costi di mantenere tale (tematica riproposta in maniera interessante nello
“Spiderman” diretto da Raimi) e che nel personaggio di Mystique viene
esaltata ed esibita con le camaleontiche trasformazioni che sono proprie di
questa mutante.
Il suo corpo completamente ricoperto di scaglie mobili, ha richiesto un
lavoro partito da una serie di riprese dal vero per arrivare ad un
personaggio 3D complesso e fotorealistico.
Per far apparire il personaggio più realistico si è proceduto con un
intervento che comprendeva anche dei ritocchi alla forma e alle dimensioni
dei modelli in cui Mystique si trasforma per meglio “fonderli” l’uno
nell’altro. Per ogni patch sulla superficie del modello di partenza ne
corrisponde un’altra del modello di destinazione, questo ha permesso di
ottenere per quanto riguarda il morphing 3D sul personaggio delle
transizioni omogenee e senza “cuciture”. Ogni volta che Mystique si
trasforma le scaglie che ne ricoprono il corpo si scuotono in un movimento
agitato, l’effetto tridimensionale è ottenuto tramite l’utilizzo di software
di modellazione e di rendering come il Maya che ha permesso di animare una
ad una le singole scaglie realizzando cicli di animazione in keyframe.
L’illusione creata sullo schermo è tale da rendere le fantastiche
trasformazioni dei personaggi talmente realistiche da mettere lo spettatore
in condizioni di accettare senza riserve l’universo fantastico dei mutanti
di X-Men.
Spiderman

Sicuramente meno cupo rispetto a Batman e a X-Men l’ultimo film
ispirato alla saga dell’Uomo Ragno diretto da Sam Raimi ha il merito di
delineare più accuratamente i tratti della figura di un supereroe che
incarna in se le caratteristiche di “umanità” di cui abbiamo già accennato
in riferimento ad altri personaggi.
Quello nato nel 1962 dalla fantasia di Stan Lee e Steve Ditko era uno
Spiderman per nulla dissimile dagli altri supereroi che popolavano
l’universo Marvel.
Peter Parker, morso da un ragno radioattivo, acquista poteri sovrumani;
“automaticamente” decide di schierarsi dalla parte del bene e di mettere le
sue nuove capacità al servizio dell’umanità.
Il film diretto da Raimi ha il merito di affrontare le tensioni riguardanti
la presa di coscienza circa una nuova condizione di esistenza a cui può
essere sottoposto un qualunque uomo che scopre di non essere più lo stesso.
Tutto il film è un lungo tragitto verso una presa di coscienza completa.
Il primo pensiero, esaltato e incosciente: usare i nuovi poteri per far
soldi, il novello Uomoragno si iscrive a degli incontri di lotta: con i
soldi che (sicuramente) vincerà potrà comprarsi un auto e risollevare le sue
sorti di studente sfigato.
Già, il novello supereroe non sa ancora di esserlo un eroe; di salvare il
mondo e di combattere il Male non sembra importargliene un gran che.
Quello che gli fa muovere i primi passi è un impulso prettamente egoistico.
Da notare sono gli sforzi profusi da Peter Parker nel tentativo di disegnare
un look per il suo alter ego, come un cercare di disegnarsi un’identità, di
definire qualcosa che non si conosce (da notare che il nome gli verrà dato
dal presentatore degli incontri di lotta a cui partecipa).
Solo dopo un’importante perdita (tra l’altro scaturita da un atto di questo
suoi egoismo)Peter Parker deciderà, mosso da vendetta (e quindi ancora una
volta egoisticamente), di schierarsi e combattere il “male”.
Quindi tutto un percorso, non privo di sofferenze, prima di giungere al
preciso delineamento dei contorni della figura del supereroe. Percorso che
dura quanto tutto il film, perché solo dopo tutta la serie di vicissitudini
cui sarà sottoposto l’Uomoragno abbandonerà il suo egoismo di fondo;
imparerà a padroneggiare i suoi poteri dal punto di vista morale più che
tecnico, sarà costretto a comprendere le grandi responsabilità connesse con
i suoi grandi poteri e che questi sono si un dono ma anche una maledizione.
Il personaggio Uomoragno/Peter Parker, la sua maggiore forza/maggiore
debolezza diventano espressioni di una solitudine quasi assoluta, di una
malinconia che Raimi dipinge sapientemente nella caratterizzazione del
personaggio e del mondo che lo circonda.
Un ulteriore merito del film è quello di saper fondere tra loro in una
giusta proporzione le ultime tecnologie della computer grafica e il tratto
semplice anacronistico e raffinato del fumetto ad ottenere un qualcosa di
nuovo che nel rapporto tra cinema e fumetto non si era visto.
Tutto ciò affrontando due tematiche esplicite e ostiche: le presa di
responsabilità e la metamorfosi. Un tema etico e una paura antica.
Conclusioni
Come si è evoluta quindi la figura irregolare, nebbiosa e
multifacce del supereroe?
Si nota anzitutto un cambiamento del mondo che circonda questa figura, un
mondo non più ostile di quanto non lo fosse già, ma sicuramente con un
maggior numero di sfaccettature e di lati nascosti, un mondo in cui quel
bagliore ottimistico che illuminava i tempi precedenti al nostro si è
affievolito o è cambiato in qualcos’altro. In un mondo così la figura del
supereroe si scontorna in un eroismo meno plateale, in una forma che diventa
più mentale e pronta ad assumere nuovi contorni. Lontanissima dal supereroe
canonico delle epoche passate.
In questo nuovo ordine di cose è l’atteggiamento dell’uomo che è cambiato.
Ben affrontato in un film come “Unbreakable” questo tema svela tutta
l’abissale distanza che intercorre tra un odierno superuomo e il superman
classico.
Un mondo quello che si è venuto a formare che il supereroe non riesce più a
sorvolare e a guardare dall’alto e in cui, senza via di scampo, finisce con
l’invischiarsi, senza più lo scudo di un ideologia.
Si annulla la distanza tra il comune uomo-massa e il supereroe, in una
radicata disillusione, in un ostentato e disperato realismo, che sembra
smontare pezzo dopo pezzo ciò che precedentemente era stato costruito.
Tutto ciò è espresso alla perfezione in “Watchmen”(1), fumetto dalla storia
cupa e intrisa di atmosfere Noir.
Con un richiamo ossessivo al tema del tempo Watchmen (letteralmente
Sentinelle o anche “uomini orologio”) ci traghetta dalle forme passate alle
forme future che non sono ancora dell’immaginario supereroico.
In un mondo creato ad hoc, il vero supereroe è l’arma perfetta in dotazione
all’esercito americano. Dr. Manhattan, questo è il nome del personaggio, ha
però oltrepassato il limite del supereroe, è arrivato al limite del
superuomo nietzcheano, al di là del bene e del male. Quella che doveva
essere una sentinella non lo è più, ha perso ogni contatto con il mondo
degli uomini che avrebbe dovuto proteggere elevandosi più in alto, più in
alto di tutti al limite del divino.
– miniserie realizzata nel 1986 da Alan Moore e David Gibbons)
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