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I L'animazione per adulti. Da Fritz The Cat a Eric Cartman. Analogamente al cinema tradizionale, il cinema d'animazione ha attraversato, agli albori della propria esistenza, una fase meramente “attrazionale”, che prevedeva una sostanziale predominanza dell'aspetto estetico e spettacolare su quello drammatico. Risulta perciò difficile individuare il target al quale si rivolgeva il cinema d'animazione delle origini, costretto a confrontarsi con un pubblico ancora lontano dallo sviluppare un senso critico autonomo ed incline ad assimilare l'esperienza cinematografica come pura sollecitazione visiva. In quest'ottica possiamo affermare che i lavori di McCay e dei suoi contemporanei erano destinati ad un pubblico nel pieno di un'infanzia non anagrafica quanto “percettiva”. Appare dunque chiaro che il cinema d'animazione “per adulti” nasce in opposizione all'esigenza, avvertita per lo più dalle major del cinema ed in particolare dalla Disney, di creare storie animate che si rivolgessero ad una fascia di pubblico pre-adolescenziale. E' con il raggiungimento del monopolio sul lungometraggio d'animazione, ottenuto dalla Disney sul finire degli anni '50, che si comincia ad associare l'idea di film animato unicamente ad un pubblico di giovanissimi. Pellicole come “La Carica dei 101” o “La Spada Nella Roccia” , due dei maggiori successi degli anni '60 nel campo dell'animazione mainstream, appaiono concepite pensando ad un pubblico infantile e contengono momenti puramente attrazionali (si pensi al duello di magia tra Merlino e Maga Magò ne “La Spada Nella Roccia”) volti a catturare l'attenzione dei più giovani. In contrasto con i colossal firmati Disney, gli anni '60 vedono dunque emergere dal calderone dell'underground artistico pellicole che non possono essere assimilate alle avanguardie e tuttavia si servono del cinema d'animazione per veicolare messaggi rivolti ad un'audience consapevole e colta. E' il caso, ad esempio, di “Yellow Submarine” (1968), di George Dunning, che proietta un'icona pop (i Beatles) in un universo ipercromatico e chiassoso, in un'opera che, pur presentando un'estrema stilizzazione dell'immaginario psichedelico, non dimostra, rivista oggi, i propri anni. A portarci vicino all'argomento principale della nostra trattazione è “Fritz The Cat” (Ralph Bakshi-1972), esperimento di lungometraggio animato narrativo, fondamentale per l'evoluzione di certo cinema d'animazione irriverente e caustico, che ironizza sui luoghi comuni e sulle nevrosi sociali del proprio tempo attraverso la figura bislacca di un gatto iscritto al college negli Stati Uniti dei tardi anni '60. Gli anni '70 e '80 vedranno l'ibridarsi sempre più profondo di animazione “commerciale” e animazione d'avanguardia, che troverà la propria sublimazione nel formato del videoclip animato; i tentativi di produrre un cinema narrativo rivolto ad un pubblico di adulti che si serva della flessibilità formale dell'animazione rimarranno comunque pochissimi. Alla fine degli anni '80, un decennio che aveva visto il trionfo delle sit-com nel palinsesto televisivo americano, Matt Groening, aspirante scrittore convertito al fumetto, realizza, con la sponsorizzazione della Fox, la prima serie animata “per adulti”. “The Simpsons” , il cui primo episodio fu trasmesso nel 1989, rappresenta la chiave di volta della produzione d'animazione seriale e codifica un linguaggio formale e stilistico dal quale attingeranno tutte le serie successive, da “Beavis and Butthead” (Mike Judge- 1993-1997), a “Futurama” dello stesso Groening, fino a “South Park”, i cui autori, come potremo approfondire in seguito, applicheranno la “formula-Simpson” (la serializzazione, l'estrema stilizzazione dei personaggi) ad una poetica dirompente e personale. L'opera di Groening, e più in generale la produzione seriale animata degli anni '90, si serve dei ritmi e delle soluzioni narrative codificate dalla sit-com lungo l'arco dell'intero decennio per definire l'impianto drammatico degli episodi, ma, con notevole spirito sperimentale, utilizza l'elasticità formale dell'animazione per abbattere i limiti di messa in scena inevitabili nella produzione dal vero. L'estrema flessibilità del mezzo adottato da Groening, permette all'autore di costruire un universo parallelo, un'America fittizia e “gialla” (i personaggi della serie, pur essendo in tutto e per tutto umani, sono di colore giallo e, secondo la tradizione del cartoon classico, hanno quattro dita) del tutto simile a quella reale, nella quale ambientare storie dall'intreccio paradossale ed ingegnoso. Diversamente dalle sit-com alle quali i Simpson si ispirano dal punto di vista formale (l'ambiente famigliare, l'estrema riconoscibilità di personaggi e ambienti sono tratti comuni alle produzioni seriali “comiche” animate e non), l'opera di Groening contiene tutti gli elementi della più caustica satira sociale; la critica all'americano fannullone ed indifferente, il cinismo con cui vengono mostrate le falle del sistema sociale americano, la ridicolizzazione del sistema scolastico sono elementi che ritroveremo nelle serie nate sulla scia dei Simpson (si pensi ad esempio a “The Family Guy”, trasmesso per qualche tempo anche in Italia), quasi che l'animazione seriale si sia fatta carico di affrontare problemi che la sit-com media ha sempre rifiutato. Sotto questi auspici e da queste presupposti nasce nel 1997 “South Park”, opera degli studenti universitari Matt Stone e Trey Parker, destinata a suscitare controversie inedite nella storia del cinema d'animazione.
II South Park: l'idea, la genesi, il successo. Matt Stone e Trey Parker si definiscono “two average guys from Colorado” e fanno risalire la propria amicizia ai tempi dell'università, quando entrambi frequentavano un corso di cinema. La comune passione per le opere dei Monty Pyrhon, convince i due a realizzare nel 1991 un cortometraggio animato dal titolo “Jesus vs Frosty”, che contiene in nuce quelli che saranno gli elementi costitutivi di South Park. Nel corto, un ragazzino di nome Kenny, che possiamo ricondurre ad un prototipo di Cartman, dona la vita ad un pupazzo di neve malvagio che cercherà di uccidere chiunque si pari sulla sua strada, fino ad uno scontro finale con Gesù che lo decapiterà con una aureola rotante. E' la struttura narrativa stessa del cortometraggio che lascia intravedere il futuro dei due cartoonist; l'ambientazione montana, l'ironia spregiudicata ed eccessiva, l'utilizzo di un sistema iconografico a metà tra il pop ed il religioso (tra il sacro e l'osceno, si direbbe), sono le fondamenta dell'intera produzione di Stone e Parker, inclusa quella strettamente cinematografica (i due lungometraggi dal vero “Cannibal! The Musical” e “Orgazmo”.). La realizzazione tecnica di “Jesus vs Frosty” non sembra essere il problema principale degli autori, che si affidano a banali ritagli di cartoncino animati in pixillation, mentre utilizzeranno la computer animation per l'intera serie di South Park. Il cortometraggio riscuote un insperato successo negli ambienti underground (Stone e Parker sostengono che George Clooney ne abbia fatte decine di copie da regalare agli amici) ed attira l'attenzione della Fox e di Comedy Central, che dopo il successo ottenuto da “I Simpson” e “King Of The Hill” (Mike Judge), cominciano ad intuire le potenzialità in termini di responso di pubblico delle serie animate. Dopo una sorta di episodio pilota chiamato “The Spirit Of Christmas”, utilizzato poi da Comedy Central come augurio di Natale per gli spettatori, Stone e Parker inaugurano la prima stagione di South Park con “Cartman Gets An Anal Probe”, che stupisce il pubblico americano grazie ad una formula vincente che amalgama oscenità, ironia e straordinaria semplicità. South Park è tutt'ora presente nei palinsesti americani ed è giunto all'ottava stagione al ritmo di un episodio a settimana..
III Visioni infernali: l'estetica del brutto. Il successo dello show deve molto all'impatto visivo del lavoro di Parker & Stone, che presentano i propri personaggi a due dimensioni, i corpi composti sostanzialmente da figure piane semplici, le espressioni stilizzate in pochi, riconoscibilissimi, tratti. Anche l'animazione di personaggi ed ambienti risulta minimale, costruita eminentemente al computer utilizzando Corel Draw per la realizzazione delle tavole ed una piattaforma digitale per l'animazione e la post-produzione, in modo da conferire al prodotto finito un'aspetto infantile, quasi si trattasse di una serie di ritagli imprecisi in movimento. L'utilizzo di strumenti digitali permette al team creativo di South Park di mantenere i tempi di lavorazione entro limiti davvero ristretti, arrivando a produrre addirittura una puntata a settimana, riuscendo a confrontarsi, come vedremo nell'ultimo paragrafo, con temi di strettissima attualità. Pur nell'intento di assoluta semplificazione, di comunicazione iconica immediata, non mancano momenti di compiacimento estetico, riconducibili ad una cultura trash/underground (non dimentichiamo che il primo film del duo Stone e Parker fu distribuito dalla nota Troma Videos) che sicuramente ha influenzato la realizzazione della serie animata. Indicativo in questo senso è il lungometraggio “South Park- Bigger, Longer & Uncut”, del 1999, nel quale le visioni deliranti e grottesche di Parker e Stone trovano spazio e sublimano nella battaglia finale tra i bambini ed il fantasma di Saddam Hussein, in una summa, se non concettuale, almeno estetica dell'universo di South Park.
IV Meet the parkers. I personaggi. Pare plausibile che il gradimento che il pubblico ha dimostrato nei confronti della serie derivi anche dalla sostanziale inconicità dei personaggi, fondamentalmente imperturbabili ed uguali a loro stessi, tanto che l'effetto comico è ottenuto spesso con l'introduzione di comportamenti inattesi o incoerenti nell'agire di un personaggio (si pensi all'esilarante Cartman “buono” di “Xmas In Iraq”-ep617). Se si escludono i quattro protagonisti della serie, Kyle, Stan, Cartman e Kenny, i quattro bambini che costituiscono il fulcro della maggior parte degli episodi, ci troviamo di fronte ad un sistema di caratterizzazioni piuttosto semplice; ad un primo sguardo pare che ogni personaggio secondario rappresenti l'estremizzazione di un carattere più o meno deteriore dell'animo umano. Mr. Garrison è un insegnante frustrato, sul baratro della malattia mentale, gravemente dissociato, Jimbo e Ned sono due reduci del Vietnam, ossessionati dall'autodifesa ed insensatamente cinici, l'agente Barbrady è un poliziotto ignorante e perennemente distratto. La lista di caratteri secondari che costellano South Park potrebbe essere lunghissima ed in ognuno di essi potremmo trovare una caratteristica predominante che ne identifica la ragione di esistenza all'interno del surreale mondo creato da Parker e Stone. Accanto a questa categoria di caratterizzazioni, i cui rappresentanti sono presenti in modo più o meno continuativo all'interno della serie, troviamo i personaggi “one-off”, quelli, cioè, che fanno la propria comparsa all'interno dello show in un numero esiguo di episodi, quando non in uno solo, e che sono responsabili dell'aspetto surreale e sovversivo dello show. Che giungano a salvare la città, come Mr Hankey The Christmas Poo, saggio escremento dotato di vita, ospite fisso della puntata di natale, o ne minaccino la tranquillità, come nel caso della cantante/attrice Barbara Streisand, che gli autori dello show ammettono di odiare, queste presenze sostanzialmente immanenti contribuiscono a creare una “mitologia” di South Park che contempla allo stesso tempo Dio (sotto forma di incrocio tra un armadillo ed un ippopotamo), un Gesù anchorman, Babbo Natale, Satana e Saddam Hussein e che rappresenta il tratto stilistico di maggior interesse dell'opera ed il vero elemento di innovazione rispetto alle serie animate precedenti. Infine i protagonisti, quattro studenti delle elementari uniti da un'amicizia non priva di contrasti, che rappresentano per lo spettatore la lente attraverso la quale leggere la realtà sociale di South Park. Eric Cartman, il personaggio dalla caratterizzazione più complessa nell'intero show, è viziato, cinico e razzista, talmente poco consapevole della propria ingenuità da risultare spregiudicato e prepotente anche con chi rappresenta l'autorità. Kyle Broflovsky è l'intelligente del gruppo, ossessionato dal fatto di essere ebreo, ha un rapporto problematico con la spiritualità, che lo porterà, nell'episodio che analizzeremo per intero, ad assumersi personalmente le colpe della popolazione ebraica. Stan Marsh è un bambino americano medio, troppo equilibrato per far fronte agli avvenimenti di South Park, tenta disperatamente di utilizzare la razionalità per risolvere i problemi. Kenny Mc Cormick è timido e riservato, eppure straordinariamente caustico nelle sue rarissime uscite; indossa una felpa che gli impedisce di esprimersi in modo del tutto comprensibile e, senza che questo costituisca in alcun modo un evento straordinario per chi lo circonda, muore in ogni episodio per risorgere nel successivo.
V Fil-ass-ofia: un'epica dell'osceno Il problema dello sguardo dell'autore è ovviamente centrale rispetto alla critica cinematografica; intuire la posizione del regista nei confronti della storia, il suo legame con i personaggi, il suo riconoscersi o meno nei dialoghi e nelle azioni della messa in scena, è un mezzo tra i più importanti, se non il più importante, per decifrare i messaggi di un'opera ed apprenderne i linguaggi. Nel caso di South Park e di certo cinema comico, si pensi ai Monty Python, lo sguardo dell'autore è instabile ed imprevedibile, beffardo si direbbe,. e la volontà di provocare lo spettatore, di minarne le certezze, diventa importante quanto quella di suscitare l'ilarità. Analizzare il corpus di episodi di South Park nella speranza di trovare uno sguardo unitario, un messaggio preciso, è un esercizio mentale assolutamente sconsigliabile, dal momento che appare chiaro che la strategia di Stone e Parker è quella di confondere il nemico, di non lasciarsi scovare, di non dichiarare la propria posizione in nessun caso. E sotto quest'ottica lo spettatore è il nemico, o meglio, l'avversario dell'autore che, come in una partita di scacchi, attacca o fugge secondo strategie che, per quanto riguarda South Park, risultano tanto imperscrutabili quanto, a ben guardare, perfettamente oliate. In ogni episodio della serie, l'alternarsi di punti di vista e l'inversione sistematica di bene e male rappresentano il motore delle vicende e danno vita ad un vortice inarrestabile di provocazioni, di abbattimento forzato dei taboo, di violenza visiva ai danni dello spettatore. Sebbene a fronte di queste affermazioni, possa sembrare logico sostenere che South Park esiste in quanto provocazione scevra di messaggi, che l'intera serie è un semplice divertissement sovversivo, occorre considerare la natura del mezzo destinato ad accogliere l'opera di Parker e Stone. L'esperienza cinematografica e ancor di più quella televisiva impongono allo spettatore una passività nella ricezione dei messaggi, che viene superata da South Park con le armi della provocazione tout-court e della mutevolezza semantica; lo spettatore è obbligato a confrontarsi con l'opera per poterla apprezzare, è costretto a pensare per ridere di episodi e dialoghi spesso pieni di inquietante ferocia. La tattica è quella del situazionismo di matrice punk, del risveglio delle coscienze tramite l'assalto nichilista, il rovesciamento dei valori e la distruzione della moralità convenzionale. La definizione di “satira sociale”, spesso utilizzata per definire South Park, diventa quindi insufficiente se si analizza l'impatto che l'opera è destinata ad avere sullo spettatore; pur con inevitabile approssimazione, possiamo definire la serie “satira umana”, nella misura in cui lo spettatore è costretto a confrontare la propria umanità con quella presentata sullo schermo e a riconoscersi negli eccessi di cui è reso partecipe.
Volendo riconoscere a South Park un'unicità espressiva, ci scontriamo con il fatto che non ci sembra che al panorama mediatico statunitense manchi la cultura della provocazione, dell'oltraggio sovversivo e dell'oscenità mirata; decine di personaggi pubblici, di programmi televisivi e radiofonici, di comici di varia estrazione, non hanno remore a dirigere la propria satira su argomenti taboo, a rompere le regole dello “scherza coi fanti...”. Dal caustico ed intollerante Howard Stern, al provocatorio Michael Moore, dai Simpsons, con la loro ironia amara, giù fino a Jerry Springer, profeta del white trash e del cattivo gusto, l'establishment americano permette, entro limiti difficilmente comprensibili, ogni tipo di espressione, anche la più cruda. Che cosa, dunque, rende South Park diverso? Qual è la cifra dell'innovatività della serie? South Park, semplicemente, non dà al pubblico ciò che il pubblico si aspetta. Risposte. Stone e Parker pongono e si pongono domande senza preoccuparsi di rispondere, evitando di schierarsi, non rivelando mai il bersaglio della satira, non ponendo una tesi. South Park non vuole dimostrare niente, non intende mettere a nudo il marcio della realtà sociale americana, non si lamenta delle tasse, della guerra, dei repubblicani o dei democratici, ma, con gusto allucinato da “Hellzapoppin” frulla insieme icone pop, cattivissimo gusto, disagio, intolleranza e nichilismo per restituire una realtà parzialmente digerita, costituendo di fatto uno specchio deformante che, imperscrutabile, non fornisce risposte. Lo stesso pantheon distorto cui abbiamo già accennato, che vede incontri sul ring tra Gesù e Satana, Babbo Natale torturato dagli Iracheni, un ragazzino immortale ed una four assed monkey (scimmia-a-quattro-culi), è il riflesso della confusione anarchica e del soverchiamento morale costituito da South Park, che scherza con i fanti, trucida i santi e non ha amici né nemici. Quando un messaggio c'è, quando, cioè, Stan tenta di riportare sulla buona strada i propri amici con parole piene di buonsenso (ad esempio in "Cartman's Silly Hate Crime”ep-401), l'ingenuità e la semplicità dello sguardo del bambino appaiono deboli rispetto alla girandola di eccessi che l'ha preceduto, creando, per contrasto, un'atmosfera grottesca, come a sottolineare che, di fronte alla follia, la ragione non può niente.
Per come abbiamo affrontato fino ad ora la matrice concettuale del lavoro di Stone e Parker, South Park potrebbe risultare un coacervo poco coerente di punk mal digerito, aspirazioni surreali da quattro soldi e provocazione fine a sé stessa. Difficile negare la natura provocatoria ed irriverente della serie, difficile scacciare la sensazione che tutto sia fine a sé stesso, che South Park “funzioni” in virtù del fatto che non significa alcunchè. Ed in effetti non è possibile disgiungere una lettura critica di South Park dalla presa di coscienza dell'esistenza di un margine consistente di totale libertà creativa, di genuina passione per l'osceno ed il provocatorio nel lavoro di Stone e Parker, un processo creativo fieramente anarchico che è senza dubbio parte della cifra stilistica della serie e al quale la serie deve parte della propria fortuna. Eppure si intuisce tra i dialoghi ed i paradossi uno spirito fieramente antagonista, una volontà di creare un contraddittorio solido, di indurre lo spettatore a pensare, a guardarsi intorno ed accorgersi della propria South Park, una città di provincia, una quiet, little, redneck, mountain town come tante altre.
VI “Passion Of The Jew”. South Park come instant-show. Uno degli aspetti maggiormente sorprendenti di South Park è la capacità dello show di rielaborare la strettissima attualità in modo intelligente e spesso anticipatore delle tendenze di opinione destinate a formarsi nel pubblico. Quando il ferro è ancora rovente, quando, cioè, l'ondata emotiva suscitata da un avvenimento catalizzatore di attenzioni mediatiche non si è ancora esaurita, Eric Cartman e i suoi amici hanno già affilato le proprie armi ed hanno scovato i lati contraddittori e surreali dell'evento. E' il caso di“Osama Bin Laden Has Farty Pants”ep-509, andato in onda a meno di due mesi dall'attacco delle torri gemelle, o “Passion Of The Jew” ep-804, episodio che ironizza sul film “The Passion Of The Christ” (Mel Gibson 2004) soltanto un mese dopo l'uscita della pellicola nelle sale americane, cavalcando con cinismo e sagacia l'ondata di psicosi generatasi intorno all'opera di Gibson. Proprio di quest'ultimo episodio mi pare opportuno proporre un'analisi più approfondita, dal momento che “Passion Of The Jew” non solo dimostra lo smisurato potenziale di instant-show di South Park, ma contiene tutti gli elementi caratterizzandi della serie a livello di sceneggiatura, dialoghi e messa in scena. Ciò che si nota da subito nell'analisi di un episodio della serie è la tendenza ipertrofica della sceneggiatura, che si espande “ad albero” a partire da due trame distinte che generano ramificazioni in diverse direzioni. Nel caso dell'episodio da noi analizzato, da un lato abbiamo il litigio tra Cartman e Kyle sulla natura antisemitica del film di Gibson, che porterà Cartman a fondare un fan club di “The Passion” dai connotati Hitleriani e Kyle a supplicare la comunità ebraica di South Park di scusarsi per l'uccisione di Cristo, mentre dall'altro troviamo Stan e Kenny in viaggio verso Malibu per incontrare Mel Gibson e chiedere il rimborso dei biglietti del cinema. A partire da questi due “filoni”, già piuttosto ricchi di implicazioni, si svilupperanno una serie di avvenimenti che, come spesso accade nella serie, porteranno ad un finale corale nel quale vengono sciolte, con un intervento retorico di Stan che quasi sembra confondersi nella vorticosa instabilità dell'episodio, le problematiche affrontate nella storia. L'incipit è indicatore di quali ferite aperte della morale comune americana si andranno a toccare nell'episodio; i ragazzi giocano fra di loro, immaginandosi esploratori spaziali, ma da subito percepiamo che Cartman non è dell'idea di coinvolgere Kyle nel gioco, dal momento che, a suo dire, gli ebrei non conoscono il gioco di squadra. In un dialogo spassosissimo, intriso di quel fanatismo al quale Cartman dimostra spesso di essere incline, Kyle viene messo al corrente del fatto che il nuovo film di Mel Gibson racconta che gli ebrei sono gli uccisori di Cristo ed in quanto tali devono essere odiati. Il tema dell'odio razziale viene così introdotto attraverso lo sguardo ingenuo di Cartman, che in “The Passion” ha trovato una conferma delle proprie teorie antisemite, e di Kyle che, dopo aver visto il film, terrorizzato, comincia a sviluppare un forte senso di colpa a causa delle proprie radici ebraiche. Al contrario di Kyle, che vede nel film di Gibson la conferma delle teorie para-naziste di Cartman, Stan e Kenny, che nell'episodio si fanno portatori di un buonsenso che, possiamo ipotizzare, rispecchia il punto di vista degli autori, non si lasciano imbrogliare da “The Passion” e, convinti di poter riavere i propri soldi da Mel Gibson, arriveranno a scoprire che il regista è in realtà uno psicopatico, ossessionato dal dolore e dall'idea della tortura. In questa caratterizzazione eccessiva, nell'estremizzazione dei caratteri che la cultura popolare ascrive ad una “celebrità”, troviamo uno dei topos narrativi di South Park; Parker e Stone estremizzano i tic sociali e le nevrosi collettive dando ad esse il volto di un simbolo della cultura pop, utilizzando così lo sconfinato (ed inimmaginabile per un italiano) ascendente che le celebrities hanno sullo stile di vita e sugli interessi degli americani. La dimostrazione di questa tendenza “estremizzante” e della volontà di portare alle estreme conseguenze i caratteri deteriori della natura umana, è ravvisabile nella reazione dei cittadini di South Park di fronte ai discorsi che Cartman rivolge loro dopo averli riuniti nel nome di “The Passion”; la folla, fermamente convinta della propria buona fede, non si rende conto nemmeno di fronte all'evidenza che Cartman non si riferisce ad un'evangelizzazione delle masse, ma piuttosto ad un eccidio. Costruita con i canoni della commedia degli equivoci, l'escalation di follia omicida/genocida di Cartman di fronte all'evidente idiozia dei suoi concittadini assume toni di grottesca crudeltà; quando il ragazzino esclama “E' una cosa di cui non parlare ad alta voce fino a quando non li avremo messi sui treni diretti ai campi”, solo una donna, subito zittita, si chiede che cosa significhi quella frase. La marcia del popolo di South Park, guidato da Cartman che inneggia “Wir mussen die Juden ausrotten”, verrà fermata solo dal discorso di Stan, che riporterà la folla alla ragione, dimostrando, così, l'estrema volubilità degli animi degli “adulti” di South Park. L'intera puntata, dunque, ironizza sulla possibilità di un gruppo di ragazzini delle elementari di condizionare un'intera cittadina, mettendo così in luce la vena sostanzialmente pessimistica della poetica di Stone e Parker che, al contrario, ad esempio di Groening con The Simpsons, non concedono via di scampo all'idiozia umana. Il fatto che “Passion Of The Jew” sia stato trasmesso mentre il film di Gibson era ancora nelle sale in America, è un esempio della capacità di South Park di infilarsi nella quotidianità dello spettatore e di presentargli un mondo che è in tutto e per tutto quello che trova fuori dalla porta di casa, costringendolo con armi subdole ma indubbiamente efficaci a prestare orecchio al lento ma inesorabile sgretolarsi della società.
Riccardo Fassone
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